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Morte accidentale di un pensionato

La riflessione su quanto è accaduto in seguito alla promulgazione del Decreto ‘salva-banche’ può ben cominciare riportando uno stralcio delle dichiarazioni rilasciate dal funzionario di Banca Etruria – una delle Banche coinvolte dal Decreto – raggiunto dal quotidiano La Repubblica: “..Io Luigino me lo sento sulla coscienza perché mi sono comportato da impiegato di banca e, se fossi stato una persona che rispettava le regole, non gli avrei fatto fare quel tipo di investimento..”. E poi, il funzionario, ad aggiungere ancora: “..Avevamo l’ordine di convincere più clienti possibili ad acquistare i prodotti della banca, settimanalmente eravamo obbligati a presentare dei report con dei budget che ogni filiale doveva raggiungere. L’ultimo della lista veniva richiamato pesantemente dal direttore..”.

Si tratta della prima ‘morte accidentale’, il primo ‘malore attivo’ dell’era ‘bail-in’. Il bail-in, un vocabolo anglosassone dal significato sibillino che, tuttavia, nasconde in sé tutta la banalità del male che ci circonda. Un male che assume due forme fondamentali, una che riguarda la comunicazione, il linguaggio e la rappresentazione della realtà; l’altra, che attiene alla concreta condizione di chi, nel tentativo di gestire la propria esistenza nelle maglie del capitalismo contemporaneo, vede cingere la propria quotidianità dal cappio, sempre più stretto, del debito.

La comunicazione ed il linguaggio. Una realtà che viene distorta e violentata con la pretesa di far credere che non vi è nulla di anomalo se un pensionato, assurto al ruolo contemporaneo di ‘risparmiatore’ o, meglio ancora, di ‘obbligazionista’, sia posto in un’ideale e sostanziale comunità di destini con chi riceve dividendi miliardari o specula sui mercati finanziari. E poi un ministro dell’economia che ritiene opportuno, di fronte alla tragedia di chi decide di togliersi la vita, parlare di interventi umanitari per alleviare le ‘conseguenze sui risparmiatori’ dei salvataggi delle banche. Producendo, in questo modo, un ulteriore capovolgimento della realtà: i soggetti più fragili, vittime di un sistema perverso in cui il sorriso rassicurante del consulente si trasforma in una porta chiusa nel momento in cui i nodi delle follie speculative vengono al pettine, trattati, dai loro governanti, alla stregua di imprudenti automobilisti responsabili delle loro disgrazie.

L’esistenza a debito. Individui sempre più soli di fronte ad un sistema che, diffusa l’illusione liberale del soggetto padrone ed artefice unico del proprio destino, propone come sola strada praticabile per la costruzione della propria esistenza la partecipazione al casinò della finanza. Mutui trentennali per poter avere un tetto sopra la testa, credito al consumo per poter accedere a beni apparentemente irrinunciabili, fondi pensione nella speranza di non passare nell’indigenza gli ultimi anni della propria vita, ‘obbligazioni subordinate’ come tranquilla modalità per conservare i risparmi di una vita di lavoro. Tutto questo ammantato di una ‘normalità’ che parla, in realtà, di vite gettate in pasto ad un sistema – quello finanziario – dove l’imperscrutabilità dei centri di potere coincide con la possibilità di distruggere migliaia di esistenze con un solo click. O con un solo Decreto.

Fornendo un inquietante preludio di quel che capiterà a seguito di una crisi bancaria dal prossimo gennaio in poi – quando entrerà in vigore al norma sul Bail-in voluta dall’Unione Europea – le modalità di ‘salvataggio’ della Banca Etruria e delle altre banche segnalano un rilevante salto di qualità del sistema. Un salto di qualità per cui, in nome di una fasulla volontà di ‘tutelare i contribuenti’, i soggetti che erano tradizionalmente al riparo dai rischi della finanza vengono sostanzialmente privati delle protezioni di cui godevano. Una proletarizzazione della classe media a colpi di esposizione al rischio, crisi bancarie e ‘decreti risolutori’, dunque. Questo è il capitalismo nelle sue forme odierne.

E quali sono i meccanismi operativi dell’attuale sistema? In primo luogo, tornando alla ‘confessione’ del funzionario di Banca Etruria, è importante capire quali siano state le pressioni che il direttore ‘che ordinava di convincere i clienti’ ha a sua volta ricevuto. Ovvero, quale era il set di obiettivi aziendali imposti al direttore, il quale poi richiamava pesantemente l’ultimo dei funzionari perché questo non si facesse scrupoli nel garantire il rispetto degli obiettivi settimanali? Non è così complicato intravedere la risposta: la necessità era quella di garantire realizzi consistenti e di brevissimo periodo a prescindere dal rischio e dalla voragine che si andava aprendo sotto i piedi degli ignari risparmiatori. E per trasformare un pensionato come Luigino in un soggetto, nei fatti, partecipe dell’irrazionalità delle scelte finanziarie operate dalla banca è stato sufficiente offrire un volto rassicurante e dei moduli incomprensibili con cui sancire la subordinazione di una vita umana e del suo futuro all’alea dei mercati finanziari. In secondo luogo, la ricerca ossessiva degli obiettivi aziendali di cui sopra descrive un sistema la cui riproduzione, nel senso Marxiano del termine, è oramai fondata su una continua catena di Sant’Antonio a cui non sottende la generazione di valore ma da cui promanano, invece, i germi delle crisi di domani.

In un sistema di questo tipo, l’ingiustizia va di pari passo con la distorsione di concetti quali quello di ‘responsabilità’. Si avanza la folle pretesa che un pensionato, un piccolo risparmiatore, abbia competenze giuridico-finanziarie che gli consentano di interpretare correttamente il funzionamento di strumenti complessi. Complessi al punto da risultare, spesso, oscuri agli stessi operatori del settore. Queste pretese competenze, o, più semplicemente, l’accettazione che ‘il mondo di oggi funziona così’, rendono persone come i risparmiatori colpiti dal Decreto ‘salva-banche’ responsabili, quasi colpevoli, per il destino che gli è capitato. Colpevoli di non esser stati sufficientemente in grado di valutare il rischio connesso alle ‘obbligazione subordinate’ offerte loro in modo, così rassicurante, da funzionari come quello di Banca Etruria. Funzionari, esecutori, che si sarebbero potuti tranquillamente trovare dall’altro lato della scrivania e che oggi avvertono il peso della morte sulla loro coscienza.

Assistiamo, apparentemente impotenti, al dispiegarsi di una realtà, quella prodotta dal capitalismo contemporaneo, in cui le mostruose asimmetrie nella distribuzione del potere sono mascherate da concetti perversi quali quello della ‘responsabilità individuale’. Allo stesso tempo, nessuna punizione esemplare è prevista per chi si rivela responsabile di veri e propri inganni ed è vicino alle leve che decidono del destino dei più. Ne, tantomeno, alcuna conseguenza è prevista per i costosissimi organismi deputati al ‘controllo’ di quest’ultime responsabilità.

La nuda vita è, dunque, in balìa dei gorghi del capitale finanziario e, le sofferenze che l’accompagnano, oltre ad essere inferte senza scrupolo alcuno sono imputate in nome di una folle sentenza di colpevolezza.               

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