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Primarie Pd a Milano, numeri esplicativi

Una prima sommaria analisi dei numeri emersi dalle primarie del PD svoltesi domenica 7 Febbraio in vista delle elezioni amministrative di Milano conferma il calo della partecipazione e la difficoltà complessiva di rappresentanza del sistema politico italiano, corroso all’interno dalla crisi dei soggetti politici e dalla crescita esponenziale del peso della cosiddetta “personalizzazione della politica”.

Rinviando ai prossimi giorni un’analisi più dettagliata è necessario far rilevare come tra il 2006 e il 2016 le primarie milanesi hanno perduto per strada 21.596 partecipanti: furono, infatti, 82.496 dieci anni fa, scesi a 67.499 nel 2010 per attestarsi adesso a quota 60.900.

In percentuale rispetto al totale delle cittadine/i iscritti nelle liste la rappresentatività è scesa dall’8% al 6,7% fino all’attuale 6,2%.

Nel 2006 si impose il prefetto Ferrante (poi sconfitto alle elezioni “vere” da Letizia Moratti) con 55.890 voti, pari al 5,4% dell’intero elettorato. Ferrante poi ottenne 319.487 voti alle elezioni: i voti ottenuti alle primarie rappresentarono così il 17,4% del risultato reale.

Nel 2010 (le elezioni si svolsero poi nel 2011) Pisapia ottenne 30.553 alle primarie, quindi il 3% sull’intero elettorato e poi fu eletto sindaco con 365.657 voti. I voti delle primarie valevano quindi l’8,3% del totale, con un segnale di crescita del voto d’opinione molto esplicita.

Nel 2016 Sala ha ottenuto 25.600 voti, il 2,6% del complesso degli aventi diritto: un calo molto netto quindi di vero e proprio dimezzamento nella capacità di rappresentanza nell’indicazione emergente dalle primarie. Verificheremo quindi come andrà le elezioni nel rapporto tra voto di opinione e quello di appartenenza.

Allo scopo di eseguire semplicemente una comparazione sommaria proprio dal punto di vista del rapporto tra voto di opinione e di appartenenza un riferimento interessante può essere quello con le elezioni del 1976, quelle della massima presa dei partiti di massa sull’intero elettorato.

All’epoca il PCI milanese contava su 89.569 iscritti e realizzò 380.217 voti: gli iscritti quindi contarono per il 23,55% sul totale, dimostrando la rilevanza assoluta del voto di appartenenza.

Si tratta di dati assolutamente indicativi da approfondire nel dettaglio.

Fin da adesso si può comunque ribadire il dato di perdita complessiva di rappresentanza dell’intero sistema, perché il fenomeno milanese rappresenta il prosieguo di un trend ormai stabilizzato da tempo anche nell’occasione delle elezioni generali e che il meccanismo delle primarie non sta certo contribuendo a migliorare.

Sarebbe interessante, infatti, analizzare i contenuti delle molteplici dichiarazioni rilasciate dai candidati a questa tornata di primarie milanesi: da questo punto di vista siamo ben oltre l’americanizzazione della politica. Per una larga parte delle parole spese in questo simulacro di campagna elettorale le candidate/i hanno parlato di loro stessi. Un fenomeno degenerativo ormai da considerare preoccupante.

Verificheremo quanto accadrà a Roma nelle prossime settimane, in una situazione così particolare e specifica dopo quanto accaduto sul piano della “questione morale” e del metodo seguito per la defenestrazione del Sindaco in carica.

Siamo di fronte a progressivi fenomeni di affermazione della logica del potere così come esplicitato da questo governo attraverso le deformazioni costituzionali e la legge elettorale.

Vale la pena insistere su questo argomento: la zona dell’indifferenza e del qualunquismo (non raccolto evidentemente neppure dai populismi più spinti) può minare alla base il sistema democratico e aprire la strada a soluzioni pericolose.

In queste condizioni con quale coraggio il presidente della Repubblica va da Obama ad offrire una presunta “leadership” italiana nella drammatica babele libica.

 Ormai, però, per i teorici della “vocazione maggioritaria” e della governabilità conta “vincere” e non certo la qualità dell’agire politico e tutto si riduce alla propaganda personalistica: fenomeno traversale come dimostrano le modalità d’intervento dello stesso M5S e, al massimo segno, del premier Renzi capace di muoversi in questo modo anche a livello internazionale.

E’ la politica del personalismo, dei sondaggi, della mistificazione televisiva e l’analisi di questo stato di cose anche nel concreto dei numeri appare del tutto insufficiente.

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