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Un piano B per non andare da nessuna parte

Dopo l’incontro celebrato a Parigi il 23 e 24 gennaio scorsi, le persone e le forze politiche unite in quello che si conosce come il “Piano B per l’Europa” si sono trasferiti a Madrid il 19, 20 e 21 di febbraio. L’avvio di queste iniziative rivela innanzi tutto la situazione precaria nella quale si trovano l’Unione Europea e l’incerto progetto d’integrazione del continente. 

Per quanto si cerchi di sorvolare sulla desolazione sociale esistente, sul fallimento dell’unione monetaria, sul caos politico all’interno dell’Europa, risulta impossibile non avvertire un malessere generale e non sentirsi in obbligo, per coloro che si sentono di sinistra, di dire qualcosa sul problema di fondo, le contraddizioni sulle quali si fonda l’attuale Unione.

Su ciò si fonda il cosiddetto Piano B, sorto dopo il disastro rappresentato dalla capitolazione del governo Tsipras nei confronti della Troika nel luglio dello scorso anno.

A sinistra ciò ha avuto ampia ripercussione, anche se nel nostro paese, in particolare, si è voluto stendere un velo di silenzio sulle analisi e sulle conseguenze di quanto accaduto. Sono state appena celebrate le elezioni generali e il tema condizionante europeo non è stato oggetto del dibattito generale e delle proposte dei partiti, e nell’imbroglio dell’investitura si elude sistematicamente la risposta che il nuovo governo dovrà dare alle esigenze della Commissione Europea, che pretende nuovi tagli e ristrutturazioni senza alcun freno, indipendentemente dal governo che si configurerà.  http://planbeuropa.es/llamamiento/

Rispetto al Piano B si mobilitano molti personaggi noti di diversi paesi. Si percepisce immediatamente che esistono due posizioni ben differenziate, la cui convivenza non potrà durare ancora molto. Da un lato, ci sono quelli che avendo correttamente compreso la natura politica e ideologica dell’Unione monetaria e le sue inevitabili conseguenze, evidenziatesi in Grecia e in altri paesi periferici come la Spagna, ritengono non ci sia altra possibilità che smantellare l’Eurozona, che ciò avvenga tramite un accordo collettivo tra i paesi europei o per iniziativa unilaterale dei paesi strangolati dall’euro. Partecipanti al forum di Parigi come Oskar Lafontaine, Costa Lapavitsas, Fréderic Lordon o Zoe Konstantopoulou hanno espresso la loro cristallina posizione a favore della rottura dell’Unione Monetaria.

Però, insieme a loro, all’iniziativa partecipano altre persone e organizzazioni le cui proposte non sono chiare, così come le loro reali intenzioni politiche, perché non prendono posizione sulla risposta da dare all’euro e neanche sulla forma attraverso la quale farla finita con il progetto dell’unità europea intrapreso a partire dal Trattato di Maastricht del 1992. In alcuni casi parlano con disinvoltura di “salvare l’Europa da se stessa” caricandosi sulle spalle una responsabilità che i popoli non gli hanno mai affidato, chiedendo invece il contrario, come hanno potuto dimostrare ogni volta che i popoli sono stati consultati. Si è arrivati ad affermare che il Piano B riunisce due anime, e occorre riconoscerlo senza sottovalutare le differenze che esistono all’interno di ognuna di queste. (In una recente intervista  Oskar Lafontaine ha mostrato una chiara presa di distanza dagli obiettivi difesi da Yanis Varoufakis, famoso ex-ministro greco che ha abbandonato i negoziati tra il governo Tsipras e la Troika).

Ma i promotori dell’incontro di Madrid appartengono senza dubbio alcuno al settore delle anime in pena, di quelli che non sanno se salire o scendere, a giudicare dal documento di convocazione. La stampa si è prestata a fare da altoparlante ad un appello per la riforma dell’Unione Europea attraverso la formulazione di un piano B. Vista la lista dei primi firmatari, numerosi, riconosciuti, alcuni con legittima autorevolezza, altri che ricoprono importanti incarichi, non sorprende questa irruzione nei media, legata soprattutto al nome di Varoufakis.

Nell’appello è facile individuare l’origine ideologica della sua elaborazione, nonostante il fatto che alcuni, disposti a firmare un po’ di tutto, si lascino sedurre facilmente quando si parla di democrazia o di questioni economiche per non rimanere isolati nel limbo dell’ignoranza. Sono i difensori del no ma anche del sì, tanto frequenti in politica. Quelli che si trovano bene nella confusione e che cercano coerenze con argomenti spuri.

Per molti di questi occorre criticare con durezza l’Unione Europea per le sue carenze politiche, ma non proporre la sua liquidazione. Paradossalmente denunciano i disastri per i lavoratori e le altre classi popolari provocati dalla globalizzazione imposta dall’eurozona, ma affermano che la globalizzazione ha comunque il merito di aver stimolato “l’internazionalismo”. Affermano che le soluzioni non possono essere nazionali, né che occorra restituire la sovranità agli stati-nazione, perché si tratterebbe di una cosa ormai superata storicamente, salvo che per i governi di ogni paese che la usano per meglio bastonare i propri popoli appoggiandosi all’internazionalizzazione del capitale. Pensano che non c’è realmente soluzione ai problemi dell’Europa e dei paesi membri nel contesto dell’unione monetaria, ma che siamo comunque tutti sfortunatamente governati dalle esigenze e dai dogmi del neoliberismo e che quindi convenga forse inventare riforme non di struttura e che non prevedano la rottura.

Si tratta di una nuova edizione della politica TINA (There is not alternative) praticata recentemente dal governo Tsipras. Tutto ciò ci ricorda il vecchio e astuto revisionismo, ammantato di sensibilità sociale ma rassegnato e impotente al momento di cercare alternative a ciò che si denuncia. Cortine di fumo per alimentare l’oscurantismo, non lasciar vedere con chiarezza e nascondere le proprie vergogne. 

Ogni reazione all’attuale Ue è benvenuta, ma risulta penoso il fatto che tante firme illustri si accalchino per difendere un appello così povero, confuso, ambiguo e inutile. Molti cervelli per partorire un topolino quando la crisi europea colpisce con tanta forza e in alcuni paesi dell’Unione il dolore e le sofferenze inflitte a larghe fasce di popolazione toccano punte estreme e drammatiche, al punto che s’intravede l’opportunità per l’affermazione di opzioni sinistre, fatto che tra l’altro viene citato nell’appello.

Che in questa condizione si riconosca che l’Ue non è democratica e che la politica è dominata dai poteri economici è un grande risultato analitico anche se ci si è impiegato troppo tempo ad accorgersene. In effetti, l’Unione Europea e il sistema economico capitalista, nella sua versione più dogmatica e neoliberale della quale si nutre, non sono democratici. Ma ciò andrebbe spiegato limpidamente, senza nascondersi dietro distinguo e problemi. In Grecia, nel luglio dell’anno scorso, non c’è stato un colpo di stato finanziario, ma la capitolazione di un governo che, investito dai cittadini del compito di non negoziare e di non accettare nuove ristrutturazioni e tagli, ha piegato la testa davanti alla Troika accettando di strangolare con ancora più forza i lavoratori e le classi popolari.

Non aiuta neanche molto citare il triste problema dei rifugiati come relazionato alla natura dell’Unione europea, quando si tratta soprattutto di una situazione generata dall’imperialismo statunitense e dai torbidi e contraddittori giochi di molti altri paesi. Infine, dal punto di vista ideologico, dire che le istituzioni lavorano a favore di una piccola minoranza significa non aver capito che tale piccola minoranza rappresenta il potere della grande borghesia europea scossa da tensioni e lotte per il potere. Non è necessario ridicolizzare Marx per chiarire che nel capitalismo l’immensa maggioranza è sottoposta agli interessi della minoritaria ma potente classe dominante.

Con questo fondo analitico e la triviale conclusione della mancanza di democrazia nell’Unione europea, l’inanità delle proposte avanzate nell’appello è così manifesta che si potrebbe malevolmente pensare che il suo obiettivo non sia tanto quello di porre fine alla desolante situazione che l’Europa vive, ma di confondere la popolazione e dare ossigeno alle istituzioni europee. Di fronte al malessere e alle proposte più radicali che sono sorte, come la necessità che i diversi paesi recuperino la propria sovranità economica e monetaria e abbandonino l’Euro, in maniera coordinata oppure in ordine sparso, il Piano B occorre interpretarlo come un programma di viaggio verso il nulla. Come un tentativo di sviare l’attenzione dai veri problemi e dalle reali cause illudendo con false aspettative una popolazione disorientata, attraverso la potenza mediatica che tante firme illustre possono avere a disposizione proclamando il nulla.

L’ambiguità, la mancanza di rigore e di concretezza delle proposte alla base dell’appello non devono impedirci di riconoscere, come detto, che intorno al Piano B si muovono nomi di prestigio che hanno una posizione ferma e coerente sulle implicazioni dell’euro e con l’ineludibile necessità di porvi fine. Ogni reazione, ogni contributo alla lotta contro l’Ue attuale è benvenuta, ma il tempo a disposizione è limitato: non servono più dibattiti accademici né trovate senza fondamento quando è già dimostrato che la causa più decisiva del collasso dell’Europa è l’unione monetaria.

Data l’esistenza di nuclei di rifiuto dell’Europa di Maastricht e in conseguenza del fatto che i lavoratori si sono espressi in una forma o nell’altra massicciamente contro le conseguenze economiche e sociali della moneta unica, i firmatari dell’appello, con grande sensibilità politica e uno spiccato senso de “l’internazionalismo”, si propongono di creare uno spazio di confluenza su scala europea, per lottare contro il ‘modello’ attuale della politica delle istituzioni europee, rompendo con l’austerità e democratizzandole radicalmente affinché si mettano al servizio della cittadinanza.

Nobili propositi, anche se l’appello non si occupa di sviluppare una strategia per farla finita con l’austerità, né di dire come potranno i paesi schiacciati e costretti alla bancarotta eludere l’enorme debito, né come risolvere le gravissime contraddizioni che l’unione monetaria comporta, tra le quali i cambi fissi che hanno scatenato la crisi attuale provocando profondi squilibri economici e finanziari che non potranno essere corretti stante l’attuale sistema di cambio implicito tra le monete dei diversi paesi.

Nonostante il nostro disaccordo con l’appello per la sua ambigua posizione e le sue vaghe proposte, lo consideriamo comunque un contributo per risvegliare le coscienze dei cittadini sul cruciale tema dell’Europa. Questa coscienza è decisiva per affrontare e combattere la desolazione economica e sociale che domina in molti paesi.

Nel nostro paese tutti i tentativi di eludere la questione europea saranno frustrati. Eliminata dalla porta del dibattito politico, la questione dell’euro e dell’Ue rientrerà dalla finestra per la semplice ragione che la Troika minaccia con la sua forza la fragile e vulnerabile economia spagnola. I difensori di qualsiasi versione del cosiddetto Piano B dovranno sforzarsi ancora molto per uscire dalla retorica e per dare una risposta concreta e reale ai problemi reali e concreti del nostro popolo.

14/02/2016

Ramón Franquesa

Pedro Montes

Joan Tafalla

Diosdado Toledano

(Della “Plataforma salir del Euro”, Spagna)

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