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Privatizzazioni invasive. Arriva il Testo Unico (seconda parte)

La ritirata dello Stato dall’intervento diretto nell’economia ha comportato  un riposizionamento degli attori economici nello scacchiere economico e produttivo. Il sistema di finanza pubblica, ad esempio, organizzato intorno alle cosiddette Banche di Interesse Nazionale (BIN), a loro volta investite dalla privatizzazione del settore, in rapporto collaborativo col polo privato di Mediobanca,  ha trovato ampia possibilità di partecipazione, con differenti modalità, ai processi di privatizzazione, conquistando un ruolo decisivo negli equilibri economici del paese.

Il coinvolgimento del sistema bancario nel risiko delle privatizzazioni è un aspetto portante della mutazione delle caratteristiche della finanziamento del sistema economico e produttivo: l’ingresso del capitale bancario-finanziario in luogo del sistema di finanza pubblica. In realtà, soggetti economici prosperati sotto l’ombrello protettivo pubblico, divengono protagonisti in proprio.

La centralità assunta dal sistema bancario nel riposizionamento della politica industriale, successivo alla prima fase della privatizzazione, è segnata dall’ingresso delle fondazioni di derivazione bancaria nell’acquisizione di un ruolo proprietario e gestionale decisivo nella privatizzata Cassa Depositi e Prestiti (CdP). In breve, la CdP da istituto legato essenzialmente alla gestione del risparmio postale per il finanziamento agevolato agli investimenti degli Enti Locali, nel 2003, sotto la guida del ministro Tremonti, con la trasformazione in Spa accorpa al proprio interno il patrimonio di partecipazioni pubbliche residuate dalla fase delle privatizzazioni degli anni ’90. Un patrimonio comunque cospicuo valutato intorno ai 18 miliardi, con articolazioni in larga parte del sistema del sistema infrastrutturale e dei servizi a rete, dall’ENI ai porti, e con una liquidità considerevole ottenuta dalla gestione del risparmio postale.

Se le privatizzazioni degli anni ’90 hanno avuto nel sistema di holding costruito intorno all’IRI il punto di riferimento, le politiche di privatizzazione dal 2000 hanno visto nella CdP un fondamentale momento di definizione. Passaggio di testimone con importanti differenze di funzione:  le privatizzazioni in ambito l’IRI hanno segnato la liquidazione di componenti produttive e sociali nonché politiche legate al mondo convenzionalmente definito della “prima repubblica”, l’affermazione della CdP , progressivamente cresciuta di rilevanza nelle politiche industriali, segna il passaggio della finanza pubblica nel circuito dei mercati “globalizzati” e nelle dinamiche della finanziarizzazione, di cui le privatizzazioni sono strumento.

Il ruolo della Cdp e quello di soggetto organico ai processi di integrazione economica continentale, con una visione che travalica gli ambiti della politica nazionale, in un contesto in cui la stessa nozione di politica nazionale andrebbe riformulata, e quindi connesso agli scenari della competizione.

Il martellante susseguirsi di moniti al nostro paese da parte delle istituzioni europee per misure di rientro dal debito pubblico, ha rappresentato e tuttora permane l’argomento portante alla richiesta di nuove dismissioni del patrimonio pubblico. In realtà, con le privatizzazioni, che abbiamo già visto ininfluenti anzi addirittura dannose per le politiche di rientro dal debito, si misurano e si rafforzano i rapporti gerarchici tra paesi  e relazioni tra componenti della borghesia finanziaria.

La traiettoria delle privatizzazioni, come abbiamo provato ad argomentare, si alimenta e definisce il proprio percorso nella generale crisi del processo di accumulazione e nella contestuale crescita della competizione per il recupero di margini di profittabilità. La manifestazione della perdurante crisi che dal 2008 attanaglia, con diversa incidenza, l’intero mondo capitalistico, giudicata da taluni  la più profonda della storia del capitalismo, segna un passaggio decisivo nelle strategie di contrasto alla caduta di profittabilità, con una intensificazione dei processi di privatizzazione estesi progressivamente a tutti gli ambiti della vita sociale.

Da rilevare come la crisi, ribadiamo di sovrapproduzione di capitali, esploda nella sfera finanziaria del debito privato, la vicenda dei mutui sub-prime americani, e attraverso le reti della finanza globalizzata e “intossicata” interagisca con il debito pubblico dei paesi PIIGS dell’U.E., ponendo la questione  dell’esigibilità da parte dei paesi creditori e l’urgenza, a fronte della esponenziale crescita di capitale fittizio prodotto dalla speculazione, di reperire fonti di valore reale: le cure lacrime e sangue imposte dalla Troika dell’E.U. ai paesi debitori è tutta incentrata sulla dismissione e privatizzazione di proprietà, beni e servizi pubblici.

L’accelerazione generata dalla crisi dei processi di “riforme strutturali”, realizzate con un’opera di sistematico smantellamento del modello sociale di Welfare State, pongono fine al sistema di relazioni sociali e politiche fondate sulla mediazione del conflitto di classe, proprio delle democrazie occidentali europee, con l’esautoramento, pressoché definitivo, dello stato dall’intervento diretto nell’economia. La funzione pubblica viene pertanto reinterpretata in relazione alla realizzazione delle condizioni migliori per i movimenti di capitale e la loro valorizzazione; lo stato, sempre più strumento delle classi proprietarie dominanti, è piegato alle esigenze dei mercati di cui diviene il garante della funzionalità.

L’unica mediazione pubblica che viene riconosciuta è quella esercitata nei rapporti di natura mercantile privatistica, la sfera dei diritti, novellata a partire dal riconoscimento delle disparità sociali e dalla legittima aspirazione all’emancipazione, viene obliterata dal primato della relazione di scambio monetaria: il diritto del consumatore in luogo del diritto del lavoratore. I servizi primari, sanità, scuola,  previdenza e financo la giustizia, si spogliano della loro valenza universale, fondamento della coesione sociale, con una strisciante, ma non per questo meno intensa, azione di privatizzazione/mercificazione.

In definitiva, l’esito ultimo del movimento della privatizzazione è l’ imporsi in tutti gli aspetti della vita sociale, sempre più al di fuori della mediazione pubblica, il rapporto di valorizzazione/sfruttamento capitalistico. A questo punto, se dovessimo rappresentare figurativamente l’incedere del processo privatistico dagli anni ’90, proporremo un movimento a spirale a raggio sempre più ampio, con pari estensione del contenuto sociale, dalle fabbriche Lanerossi, Alfa Romeo ecc, al sistema infrastrutturale centrale, energia, tlc, autostrade, e oltre, per giungere alla fase attuale dell’aggressione al sistema di servizi pubblici locali, aziende di servizio ma anche funzioni assistenziali. Un movimento, come l’abbiamo definito in apertura, di estensione e approfondimento del rapporto capitale/lavoro, con una sempre maggiore pervasività sociale che procede fino ad imporre il proprio “sigillo” mercantile/ privatistico alla stessa dimensione esistenziale.

Il coinvolgimento dell’intero apparato sociale e produttivo nella spirale del processo privatistico, dilata a dismisura la frontiera dell’accumulazione, non ponendosi più limiti, al di fuori della profittabilità, l’intero territorio urbano, da sempre centro irradiatore prioritario del rapporto di produzione capitalistico, si pone nelle diponibilità dell’investimento di capitale. Le metropoli in cui, a causa dei continui processi di inurbamento, si concentrano proporzioni sempre più alte della popolazione mondiale, sono il terreno privilegiato della valorizzazione capitalistica, delle risorse, in senso lato, rappresentate dal territorio. Le metropoli non sono solo centrali per la concentrazione  e disponibilità di forza-lavoro, ma per le possibilità di valorizzazione capitalistica del patrimonio economico-sociale, culturale, storicamente stratificatovisi.

L’input per questa nuova fase della privatizzazione parte ancora una volta da uno dei centri del potere finanziario continentale, la Deutsche Bank, che nel suo rapporto del 2011, dedicato alla disamina delle privatizzazioni nel continente europeo, individua per l’Italia l’area delle aziende di servizio locali quella a “maggior potenziale di privatizzazione con un valore complessivo pari ad 80 miliardi di euro”, ed ancora, “particolare attenzione” viene rivolta agli edifici pubblici con un valore stimato di 421 miliardi e alla funzione nel processo di alienazione/privatizzazione che potrebbe svolgervi la CdP. In definitiva ,Deutesche Bank, valuta in 571 miliardi l’ammontare dei beni privatizzabili pari al 37% del Pil nazionale. Per inciso, si sottolinea la rilevanza del patrimonio immobiliare e la sua funzione, ribadita dalla vicenda della crisi dei cosiddetti mutui sub-prime, quale leva dei processi di finanziarizzazione.

La funzione sussidiaria dello stato nei confronti del capitale privato, anche in questo caso, si conferma con l’avvio dell’iter legislativo del Testo Unico dei Servizi Pubblici Locali con l’estromissione del pubblico dal ruolo attivo di gestione dei servizi: la funzione pubblica si ridimensiona ad ausilio nelle situazioni in cui non si determini la profittabilità dell’investimento privatistico. Il  ruolo pubblico nella gestione dei servizi locali di fatto viene interdetto da veti ed obblighi tutti ad appannaggio del gestore privato, a cui viene lasciato ampio margine nella definizione delle politiche tariffarie, scaricando sulla collettività con l’aumento dei costi  inefficienze ed incapacità gestionali.

Sul versante politico è chiaro l’intento di distruggere la nozione stessa di servizio pubblico, equiparando ogni forma di intervento nella gestione dei servizi ad antieconomica turbativa dei mercati, salvo richiederne l’intervento per garantirsi la redditività dell’investimento, oppure celarsi dietro la mancanza di fondi per investimenti a causa delle politiche di austerity imposte dai trattati europei, per lasciare mano libera al capitale privato. Tutto ciò mentre  la precarizzazione delle condizioni di vita imposte dalla crisi sistemica richiederebbero una presenza pubblica forte ed estesa. Intorno ad una riqualificata funzione pubblica nell’economia, intesa come prevalenza dell’interesse generale rispetto al profitto privato, si gioca una partita decisiva per un modello sociale alternativo. La centralità dell’intervento e della presenza del pubblico, in uno scenario di devastante privatizzazione economica, sociale ambientale, e il tema comune degli innumerevoli organismi di rappresentanza tematici, territoriali e vertenziali che popolano la scena del conflitto sociale. Costruire istanze di rappresentanza modulate su base territoriale o tematica con finalità di controllo diretto sullo stato del territorio e la qualità dei beni e servizi, può costituire attraverso il conflitto lo strumento per la rinascita di una cultura del pubblico e dell’interesse generale, contro la deriva privatistica del saccheggio e dell’impoverimento delle risorse.

In conclusione, l’indagine del processo privatistico, di cui questo intervento costituisce una superficiale lettura per temi, evidenzia il carattere dinamico dei rapporti, tanto con lo scenario internazionale da cui è sovradeterminato, in particolare con i processi di integrazione nel polo economico valutario dell’U.E. e nella affermazione di una borghesia europea a dominanza finanziaria che nel processo di integrazione colloca le proprie possibilità strategiche di competizione; quanto, sul piano interno nella rimodulazione delle funzioni dell’apparato pubblico in funzione delle necessità dell’accumulazione capitalistica, con una ritirata diffusa dalla proprietà e gestione di beni e servizi e l’affievolirsi delle possibilità di mediazione nei conflitti con politiche redistributive. Insomma, una ridefinizione complessiva del sistema di relazioni del dominio di classe e degli strumenti, a cui è urgente riprendere le misure.

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