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Podemos si piazza nel ‘mainstream’ economico

I presenti a una conferenza di Nacho Álvarez, il portavoce economico di Podemos, nel Circolo dell’Economia di Barcellona il 9 giugno, hanno potuto comprovare che il programma economico della nuova sinistra spagnola condivide molte cose con gli ultimi rapporti del dipartimento di analisi macroeconomica del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Scioccante, vero? Però, prima che vi lanciate a scrivere commenti del tipo: “Già s’era capito che questi avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di installarsi alla Moncloa”, bisognerebbe aggiungere che gli ultimi rapporti del FMI sono dure critiche contro l’austerità radicale, contro il libero movimento dei capitali, contro l’estrema disuguaglianza e il suo impatto catastrofico sulla crescita e persino contro le privatizzazioni disegnate per ridurre i deficit fiscali. Uno dei rapporti, proprio come è stato commentato in un precedente articolo su CTXT, adddirittura si intitola: E’ ufficiale: il neoliberismo esiste.

Vale a dire che il FMI –almeno nelle sue esposizioni teoriche—si è voltato contro gli elementi essenziali del progetto neoliberista segnalando un punto d’inflessione nel paradigma che ha dominato la politica economica dai tempi di Margaret Thatcher e Felipe González (Thatcher almeno si è ritirata dal dibattito). Podemos può essere la formazione politica che meglio rappresenterà quello stesso  punto d’inflessione. Álvarez ed economisti come Bob Pollin, che ha lavorato con Podemos (e con Obama) all’elaborazione di un New Deal verde, condividono abbastanza terreno con Maurice Obstfeld, l’economista in capo al FMI, recentemente giunto da Berkeley, e ancor più che il suo predecessore Olivier Blanchard, un ammiratore segreto di John Maynard Keynes. Obstfeld è stato forzato a prendere le distanze dalla relazione sul miraggio  del neoliberismo. (“Quell’articolo è stato molto mal interpretato; non rappresenta un cambiamento significativo nella strategia del FMI”, ha detto in un’intervista ufficiale del Fondo). Però il fatto che pochi non sarebbero daccordo sul fatto che il FMI dica che  il neoliberismo possa essere un “miraggio” è abbastanza significativo.

Detto in altro modo, Podemos è già il partito della moderazione, molto vicino al nuovo mainstream che impera nei principali centri di pensiero macroeconomico a Washington e nel resto degli USA, ma non a Berlino. La realtà del dibattito economico in questi momenti è così lontana da quel titolo di prima pagina del giornale madrilegno che si chiama La Razón –“La moderazione del PP contro il radicalismo di Podemos”–, che uno prova pena per i suoi lettori.

Questo è un momento in cui gran parte del mainstream si è appuntato quella frase che Keynes ha detto in una conversazione con qualche pezzo grosso dell’ortodossia britannica tra le due guerre, che doveva somigliare abbastanza all’editoriale de La Razón e non solo per il blazer e la cravatta del club del golf. “Quando i fatti cambiano, io cambio opinione. E lei che fa?”, ha chiesto capziosamente il grande economista inglese.

Come gli economisti del FMI, il Circolo dell’Economia, sotto la tutela di Anton Costas, è cosciente che manca trovare soluzioni diverse dalla vecchie ricette di tagli duri e liberalizzazioni. “Una cosa interessante è che già si può parlare del capitalismo un’altra volta”, ha detto Costas durante un momento di riposo della giornata, riferendosi al suo nuovo libro sul nuovo capitalismo dei  monopoli. Come il neoliberismo, capitalismo prima era una parola che si poteva ascoltare solo all’alba in qualche osteria mal illuminata di Lavapiés.

Nel suo intervento al Circolo dell’Economia, Álvarez ha presentato un grafico che dimostrava che un programma molto più graduale di riduzione del deficit di quello del PP (proprio come propone Podemos) sarebbe più efficace nel lungo periodo per controllare il debito pubblico spagnolo perchè non asfissierebbe la crescita. Ha precisato che l’economia spagnola non cresce più di altre della zona euro grazie all’austerità dei primi anni del governo del PP, ma grazie alla rilassatezza degli anni del suo declivio e a “una pausa nell’austerità”. “Negli anni ottanta, i paesi latinoamericani hanno fatto tagli troppo rapidi per uscire dalla loro crisi di debito; hanno perso dieci anni di crescita; ci può succedere la stessa cosa”, ha detto Álvarez.

Parte di quei dieci anni persi, bisognerebbe aggiungere, è stata la moratoria sui miliardi di dollari di debito sovrano. Questo è esattamente il timore che esprimeva il FMI a Washington in aprile, quando ha precisato che un eccessivo zelo nel taglio della spesa e dell’investimento pubblico possono deprimere ancora di più la domanda e aggravare il pericolo di stasi strutturale e, come risultato inevitabile, moratorie sul debito.

Il Fondo rifiuta da due o tre anni che rapidi tagli fiscali possano incoraggiare la crescita, un’idea per lo meno originale conosciuta come la “contrazione espansiva”, secondo l’ossimoro dell’economista italiano che vive ad Harvard Alberto Alesina (e di Jean-Claude Trichet, il cui immobilismo nella BCE durante il periodo 2010-11 è stato un regalo per Mariano Rajoy e l’inizio della fine per il PSOE).

Dopo aver comprovato il successo della formula salomonica nel discorso die George Osborne nelle elezioni britanniche del 2010, Rajoy è salito sul carro della contrazione espansiva con quello slogan elettorale del 2011: ”Austerità sí, crescita pure”.

Da quando ha commissionato quello studio nel 2013 sugli enormi moltiplicatori fiscali chiusi nel baule delle idee passate di moda durante il periodo neoliberista, il FMI ha cercato di convincere l’euro-ortodossia che Keynes e Joan Robinson non erano ‘dummkopfen’ (stupidi) al servizio della City londinense ma esseri intelligenti. Per questo ha consigliato che i programmi di riduzione del deficit siano portati avanti in maniera soft per non uccidere la crescita. La moderazione in questi momenti pericolosi è andare molto dolcemente con l’austerità, aumentare l’investimento pubblico se possibile, e proporre modi per evitare fughe di capitali.

Nella seguente parte del suo intervento, Álvarez ha scommesso sulle politiche tributarie destinate a combattere l’estrema disuguaglianza spagnola. Logico per un partito di sinistra. Ma pure questo è mainstream. Il FMI avverte ripetutamente nei suoi ultimi studi del grave pericolo dell’estrema disuguaglianza della distribuzione del reddito per la crescita, perché ha un impatto negativo sulla domanda aggregata e, allo stesso tempo, crea problemi sul lato dell’offerta perché la stasi della rendita delle classi medie e lavoratrici rende sempre più inaccessibile l’istruzione superiore per la maggioranza dei cittadini. Per questo, il FMI già invita i paesi a cercare forme per ridurre la disuguaglianza, anche se non è molto chiaro come le sue ricette di  smantellamento degli accordi collettivi possano raggiungere quel risultato. Il pericolo della disuguaglianza per la crescita già preoccupa pezzi grossi del mainstream, da Larry Summers e Brad de Long a Robert Gordon. Álvarez ha pure sostenuto che non sarà possibile tornare alla crescita e alla creazione dell’impiego se non si comincia a “mettere mano“ agli onnipotenti mercati finanziari. E’ esattamente ciò che sostiene il FMI nei suoi ultimi consigli sulla piena liberalizzazione dei capitali e la sua difesa del controllo sul capitale.

 

Andy Robinson

E’ laureato alla London School of Economics in Scienze Economiche e Sociologia e in Giornalismo alla UAM-El País. E’ stato corrispondente di La Vanguardia a New York e oggi esercita come inviato speciale per questo periodico.

 

originale: http://ctxt.es/es/20160608/Politica/6635/nacho-alvarez-economia-fmi-neoliberalismo-distribucion-desigualdad.htm

traduzione di Rosa Maria Coppolino

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