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Bologna al tempo di Merola: arte e potere

Gaetano Rizzo, napoletano del 1899, la generazione mandata a morire sul Piave per gli interessi del capitale, era un pacifico sarto socialista, impegnato nel sindacato. Quando il fascismo prese il potere a suon di bastonate, cercò un contratto e mediò abilmente fino a strappare un accordo, trasferendo nella Corporazione la sua scienza di capolega. Fu tutto inutile. Il regime disegnò il sindacato sul modello del potere e lui si disgustò. Immediata, giunse così la reazione, ma il sarto subì i colpi senza arretrare, attese la sua ora e dal 27 settembre all’1 ottobre del 1943 oppose alle ragioni della forza, la forza delle ragioni umane del lavoro e dei diritti. Armi contro armi, vita contro vita, rivendicò il diritto di uccidere il potere e i suoi mercenari e non fu semplicemente un partigiano contro i nazifascisti. Fu un rivoluzionario e la sua lezione perciò non piace al potere, che continua impunemente ad ammazzare l’arte della vita libera.

Il concerto che, molto in sordina, in verità, Bruxelles dedica oggi al tema dell’Arte e del Potere è, nel linguaggio universale delle note, la messa in scena di un quotidiano e storico dualismo che qui da noi ogni giorno prende la veste multiforme di una battaglia dai mille volti. Una perfetta metafora dello scontro è, sul terreno dello sport,  il grande baraccone del calcio. L’arte, sul manto erboso, è la destrezza, la forza, l’eleganza del Napoli. Il potere è la Juve senza gioco degli scudetti rubati. In questa linea di principio si colloca la recente vicenda bolognese. Gli studenti che occupano una biblioteca universitaria, manifestando così il più profondo dissenso per la mercificazione del sapere, in un mondo che privatizza le biblioteche municipali, sono un’espressione nobile dell’arte della politica. Contro di loro, contro la forza delle loro ragioni, s’è levata, espressione desolante di una sconcertante povertà culturale, la forza bruta del potere.

Qui l’arte sono libri e biblioteche violate e in campo ci sono i mille volti del potere. Quello di un Prefetto fermo ai tempi di Rocco, di un Questore imbarbarito dai suoi ministri di riferimento, di questurini traditori dei propri figli e di un sindaco che arma i suoi scherani di armi proibite.

Anche a Bologna c’è un concerto sull’arte e sul potere. Solo che qui i temi dominanti sono due: da un lato il De Profundis per la democrazia, messo in scena dal sindaco Merola, e dall’altro una sorta di Dies Irae liberatorio, in cui un’arte senza scelta è di per sé rivoluzione. In questo senso, il concerto nostrano ha un protagonista assoluto: Merola, il “democratico”, al quale tocca a buon diritto il titolo guadagnato sul campo, dirigendo l’orchestra; il titolo incontrastato, di “sindaco boia”. Il Partito Democratico, di cui è degno figlio, tripudia. Per il PD, com’è noto, Gaetano Rizzo ha da mettersi l’animo in pace: i repubblichini sono da tempo i bravi ragazzi di Salò.

Si dice che la storia non si ripete. Non è vero, ma Merola e il PD, che ne sono convinti, scopriranno l’errore a proprie spese. Stanno allevando da tempo la nuova generazione di quei Gaetano Rizzo che prima o poi presenteranno il conto, perché, scrive il poeta, mettendo in versi una legge della storia, una salus victsis: nullam sperare salutem. Una sola salvezza per i vinti: non sperare alcuna salvezza. In questo condizioni erano i partigiani sui monti, di fronte all’invincibile armata degli Unni dalla croce uncinata e ai bravi ragazzi di Salò.

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