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Eversione istituzionale

Quello che è accaduto l’altra sera a Torino (gente pestata tra i tavolini mentre beveva una birra all’aperto, incursioni dentro i bar per inseguire e braccare i “facinorosi della movida”) non può e non deve essere derubricato a un atto di follia dei “tutori” dell’ordine pubblico o a un semplice caso di sproporzione o abuso nell’uso della forza: ogni azione di pubblica sicurezza si radica in un contesto sociale, in una logica politica e in un clima generale, e alla luce di questi va compresa e spiegata.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una vera e propria escalation militare che ha visto fermi di polizia preventivi, fogli di via, daspo urbani a ripetizione, ogniqualvolta ci fosse l’occasione per manifestare dissenso verso politiche governative e intergovernative.

Dal corteo Eurostop del 25 marzo scorso, fino alle proteste di Taormina contro il G7, ogni protesta di piazza si è dovuta misurare con un apparato di sicurezza sproporzionato e sostanzialmente intimidatorio: militarizzazione del territorio, fermi e perquisizioni dei pullman, identificazioni in questura, fogli di via ecc. Evidentemente il diritto alla mobilità vale solo quando si vuol colpire il diritto di sciopero, non quando viene invocato per esercitare il diritto di espressione sancito dall’articolo 21 della Costituzione.

Quanto sta accadendo nel nostro Paese ha profonde radici sociali e un innesco politico. L’Italia odierna versa in condizioni disastrose: sette milioni di poveri, disoccupazione giovanile al 40%, undici milioni d’italiani che non si curano più per ragioni economiche, vertenze a ripetizione e migliaia di posti di lavoro in pericolo tra Alitalia, Ilva, Almaviva, solo per citare alcuni esempi, strade e scuole che cadono a pezzi. Ce n’è abbastanza per attendersi, dopo la breve tregua pre-elettorale concessa al governo dalla UE, una deriva greca, accompagnata da una crescita esponenziale del conflitto. Certamente il mantra del rientro nei parametri del debito pubblico verrà riesumato dopo le prossime politiche, con seguito di tagli draconiani a pensioni, sanità, scuola e servizi, privatizzazioni a raffica del pubblico che resta, cui seguiranno probabili licenziamenti di massa.

In questo quadro esplosivo, l’innesco che ha messo in allarme il governo e ha fatto precipitare la situazione verso una deriva repressiva sempre più acuta è stato il referendum del 4 dicembre: la vittoria del NO, nonostante la martellante propaganda di regime e la sproporzione delle forze in campo, ha reso noto a PD e alleati che il consenso non c’era più. La vittoria del NO è stata una gigantesca forma di protesta sociale che ha dimostrato ai poteri forti come non sia più possibile governare l’Italia con le magie della comunicazione e a colpi di tweet. Serve l’hardware, serve la repressione.

Di qui la ritirata strategica di Renzi e la nascita di un governo più “sobrio”, incolore e felpato, che licenzia un decreto da stato di polizia permanente, profondamente classista: sicurezza, “vivibilità dei territori”, “decoro urbano”, sono una vera e propria dichiarazione di guerra a poveri, marginali, migranti e antagonisti. Il ferreo controllo dei territori e delle autonomie locali, fallita la controriforma costituzionale renziana, viene introdotto per decreto mediante una vera e propria filiera della “sicurezza integrata” che ingloba regioni e comuni nella gestione dell’ordine pubblico.

Il dispositivo del ministro Minniti è il nuovo strumento coercitivo attraverso il quale, a fronte del disagio e della protesta sociale, il capitale tenta, ancora una volta, di mettere in atto le ultime ricette liberiste della UE: nuovi tagli, sottrazione di diritti, peggioramento delle condizioni vita e di lavoro delle classi popolari. Il PD ha dato un segnale inequivocabile, accreditandosi come forza d’ordine e braccio armato del capitale e dell’eurocrazia, scardinando dall’interno, svuotando la nostra Costituzione e attuando una vera e propria forma di eversione istituzionale.

Ora sta a noi, ai settori popolari massacrati dal neoliberismo e dalla crisi, riorganizzarci, accumulare le forze, l’intelligenza e le energie per opporci a questa deriva autoritaria. L’appuntamento costituente della piattaforma Eurostop che si terrà il primo luglio a Roma è un’occasione da non perdere.

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