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Il Brancaccio è fallito? Meglio, adesso va dato un segnale di discontinuità

L’annullamento dell’assemblea già indetta per il prossimo 18 novembre, che ha chiuso ingloriosamente il percorso aggregativo (o quasi aggregativo) apertosi al Brancaccio, e, d’altro lato, la riuscita della manifestazione dell’11 novembre scorso con cui nelle strade della capitale si è palesato un fronte di opposizione alle politiche di questo governo e dell’Unione Europea, chiudono una fase e ne aprono una nuova. Il tempo delle valutazioni e degli indugi, del confronto tra diversi ambiti della sinistra è scaduto: ogni ulteriore melina, oltre che dannosa risulterebbe ambigua. Siamo entrati di fatto in un contesto pre-elettorale; e, rispetto alla scadenza delle imminenti elezioni politiche, occorre da subito prendere posizione. Il Pci lo ha fatto con una chiara dichiarazione del suo segretario nazionale, in cui si conferma l’intento di costruire “un’articolata lista unitaria comunista, anticapitalista, di sinistra alternativa”. Ciò significa che la lista promossa da Bersani/D’Alema, il cui lancio ufficiale è previsto per il prossimo 2 dicembre, non resterà l’unica opzione possibile alla sinistra del Pd. Le due liste qui menzionate non sono infatti unificabili, in quanto sono espressione di progetti politici radicalmente differenti.

La proposta politico-programmatica in cui il Pci si riconosce implica una scelta di campo netta, chiara, che pretende una rottura senza alcuna ambiguità con le politiche liberiste, con l’austerità, con le politiche imposte dalla Troika e supinamente accettate dai governi  negli ultimi anni. Ciò significa anche che non vi potranno essere concessioni a quanti spingono per  “un’unità quale che sia”: al di là di ogni buona intenzione, l’esperienza del decennio appena trascorso dovrebbe dirci che tali scorciatoie non pagano né politicamente né elettoralmente.  Dobbiamo “assumere il merito come discriminante”, precisa Alboresi: conseguentemente, è anche necessario offrire un’immagine che incarni adeguatamente tale merito, evitando quindi la riproposizione di quanti si sono resi responsabili delle scelte antipopolari di questi anni (ovunque collocati). Né può essere la tutela di parlamentari uscenti (ammesso che se ne abbiano) la preoccupazione preponderante: al contrario, bisogna soprattutto “dare voce e rappresentanza” alle avanguardie di lotta contraddistintesi nei posti di lavoro e nei territori, alla generazione precaria, a giovani, donne, uomini che hanno pagato e continuano a pagare i costi sociali della crisi capitalistica.

C’è in particolare un travisamento attorno al quale si mobilitano ragionamenti e pulsioni. Molti guardano al panorama disastrato della sinistra, ai mille rivoli in cui quello che era un grande fiume si è frammentato; e se la prendono con coloro che, a loro dire, non capirebbero il valore dell’unità, non dismetterebbero la loro pervicacia identitaria nonostante la prospettiva di una sconfitta certa determinata dalla disunione. A costoro va posto un semplice interrogativo: come mai la sinistra è così ridotta? Il panorama frammentato non è un accidente della storia a cui porre riparo con un impeto solidale e unitario. E’ il drammatico effetto di quello che la stessa sinistra al governo ha combinato in questi anni, con politiche che hanno approfondito le disuguaglianze, impoverito il Paese, svenduto il suo patrimonio produttivo, logorato il tessuto democratico e ridato fiato alle destre più retrive. Politiche che hanno allontanato dal voto e dalla sinistra una consistente parte di popolo. Oggi va dato un segnale di radicale discontinuità, sapendo che il lavoro di ricostruzione e rigenerazione non potrà essere cosa di un giorno. L’importante è non affidarsi a ricette e volti che appartengano ancora al problema e non alla soluzione. Sapendo che – ricorda ancora Alboresi – i passaggi elettorali  “per noi restano un mezzo e non un fine”.

  • Partito Comunista Italiano

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