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Napoli. Dimensione metropolitana, piani territoriali di coordinamento e beni comuni

 

Premessa

Nello sviluppo del presente articolo, partiamo da un’interessante esperienza avviata da alcuni mesi a Napoli e, più precisamente, a Santa Fede, uno degli spazi liberati dove da novembre è in atto la costruzione di un momento di riflessione e confronto “misto”, ossia di tipo politico e tecnico sulla Città Metropolitana.

L’avvio è stato contrassegnato da una critica alla “legge Del Rio” e si è giunti alla necessità di capire “se” e “come” estendere a livello metropolitano gli aspetti più avanzati dell’esperienza napoletana in rapporto sia al tentativo lanciato lo scorso anno di “vertenza metropolitana” (nata intorno alla richiesta d’impiego dell’avanzo libero di bilancio) sia alla possibilità d’intervenire nella parte iniziale dei processi – soprattutto quando riguardano le direttrici dello sviluppo – e non quando essi sono già compiuti.

Quest’ultimo, come si sa, è un punto debole dell’iniziativa sindacale e di Movimento che ci pone sin dall’inizio in un’ottica difensiva e aumenta le difficoltà di mobilitazione e proposte alternative.

Gli incontri di Santa Fede hanno coinvolto strutture di Movimento, tecnici progressisti, spezzoni di sinistra alternativa e del sindacalismo conflittuale.

In particolare, molto utile è stato l’apporto di qualificati architetti/urbanisti che hanno contribuito ad affrontare le tematiche legate all’avvio dell’iter di approvazione del Piano Territoriale di Coordinamento della Città Metropolitana all’interno di una visione antiliberista di metropoli che è oggetto del primo paragrafo dove s’inserisce l’esperienza napoletana in un più ampio contesto di raffronto anche con altre Città Metropolitane con particolare attenzione alla critica del significato del policentrismo.

Nel secondo paragrafo, accenniamo ad alcuni aspetti del Piano Territoriale di Coordinamento dell’ex-Provincia di Napoli soffermandoci sulla proposta di alcuni emendamenti particolarmente qualificanti;

nell’ultimo paragrafo, ci soffermiamo sulla prevista “densificazione abitativa” che, date le caratteristiche strutturali della Città Metropolitana di Napoli, può essere foriera di ulteriore e mascherato consumo di suolo oltre che di mire speculative.

Un’altra finalità che ci si prefigge con questo contributo è quella di iniziare ad approfondire ed articolare il punto 10 del programma di Potere al Popolo relativo al “diritto all’abitare, alla città, alla mobilità” per dare un maggior respiro alla nostra presenza e intervento territoriale.

  1. Per una critica della visione liberista di metropoli attraverso l’analisi di alcuni aspetti dei Piani Territoriali di Coordinamento delle principali Città Metropolitane e nell’attuale rapporto centro-periferia.

Nella critica alla visione liberista di metropoli, per la parte del Tavolo più marcatamente classista, è stata centrale la critica al “policentrismo” che è il cardine di vari Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali e dei Piani Strategici Metropolitani approvati o in corso d’approvazione.

Ad es., nel PTC della Città Metropolitana di Napoli, in corso d’approvazione, più volte s’adoperano espressioni come “riassetto policentrico”, “sviluppo locale policentrico”, ecc., oppure nelle linee-guida per la predisposizione del Piano Strategico della Città Metropolitana di Roma Capitale (approvato con deliberazione consiliare n. 29/2015) ricorrono obiettivi come quello di “dare al territorio un assetto policentrico”.

Quest’aspetto è di particolare delicatezza per le Città Metropolitane superiori ai tre milioni di abitanti (Roma, Milano e Napoli) ed è molto spesso legato alla disaggregazione del Comune capoluogo in Municipi che, nel caso, delle tre principali Città Metropolitane del Paese è facoltativo e non obbligatorio come per quelle inferiori ai tre milioni.

In realtà, dietro pompose espressioni come riequilibrio del territorio, riqualificazione delle periferie – condivisibili in linea di principio ma non attuabili nell’attuale modello di sviluppo – si nasconde una grossa operazione di “spending review territoriale” con cui ci si pone l’obiettivo di smantellare alcuni servizi del Comune capoluogo con una compensazione a perdere sotto il profilo quali/quantitativo in Comuni dell’hinterland di cui alcuni assurgono a “poli attrattori” di nuove centralità più controllabili e gestibili all’interno di una diversa e più funzionale gerarchizzazione territoriale.

Insomma, si tratta di uno spostamento parzialmente sostitutivo di servizi e non aggiuntivo, a maggior ragione in una fase, come quella attuale, di taglio della spesa pubblica di tipo sociale.

Questa tendenza trova un’eccezione dove il capitale sente l’esigenza di avere un Comune Capoluogo forte come nel caso di Milano che nell’individuazione delle “zone omogenee1 non è stato scorporato e viene considerato come un’unica zona e nel Piano Territoriale di Coordinamento, approvato nel dicembre 2013, si individua, seppur con riferimento al policentrismo, una sorta di estensione del Comune capoluogo con la progettata istituzione di una “Città centrale” costituita da Milano e 24 Comuni a ridosso del capoluogo.

Del resto la Città Metropolitana di Milano, all’interno dell’attuale modello di sviluppo basato sulla competitività “export oriented”, è quella che con il 5,082 ha l’indice di competitività più elevato mentre la Città Metropolitana di Napoli occupa uno degli ultimi posti e quella di Roma, con un indice del 3,63, è più vicina alle zone basse della classifica che a quelle di testa.

Ciò significa che si va incontro ad un maggior squilibrio all’interno e tra Città Metropolitane.

Nel caso napoletano, un esempio di quanto sinora affermato emerge con molta chiarezza nel campo sanitario.

Negli ultimi anni sono stati chiusi alcuni presidi ospedalieri del centro città (si veda il San Gennaro) o chiusi vari reparti di altri ospedali come ai Pellegrini o all’Ascalesi per la costruzione di un nuovo Ospedale nella periferia est della città e in questa operazione sono stati persi numerosi posti letto.

Pertanto, sotto questo profilo, illuminante ci sembra l’affermazione di Harvey nel suo “Città Ribelli”: “la governance policentrica, riproducendo privilegi e poteri di classe, s’inserisce perfettamente nella strategia di riproduzione sociale neo-liberista”.

Nell’analizzare brevemente la teoria policentrica, c’è da notare che essa trae origine dagli scritti dell’economista tedesco Walter Christallier, scomparso nel 1969, le cui posizioni rispecchiano la città fordista dove è forte la gerarchizzazione territoriale e, quindi, non recepiscono i processi di decentramento produttivo e territoriale avvenuti nella seconda metà degli anni ’70 che hanno portato ad un cambiamento del tradizionale rapporto centro-periferia e, nel caso dell’area napoletana, anche al rapporto tra fascia costiera e zone interne che, una volta, ben si poteva descrivere con l’immagine della “polpa” e dell’ “osso”.

Del resto, anche a livello politico-istituzionale si è coscienti del mutato rapporto centro-periferia.

Ad es., nella recente relazione conclusiva della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle periferie, aldilà di varie accentuazioni securitarie, correttamente si afferma che “le periferie urbane non sono più definibili semplicemente come ambiti lontani dal nucleo storico della città o come polarità opposta alle aree centrali, ma come una condizione trasversale (evidenziazione nostra) che intanto riguarda l’espansione fisica delle città, particolarmente pronunciata negli ultimi due decenni, ma che comprende tutte quelle zone più densamente popolate, dove sono riscontrabili fenomeni di degrado, di marginalità, di disagio sociale, di insicurezza e di povertà”3.

E ancora: “gran parte degli abitanti del nostro Paese vive o lavora in periferia, ovvero in ambiti urbani o metropolitani caratterizzati in vario modo per conformazione fisica e per condizioni sociali, ma egualmente interessati da fenomeni di degrado, di marginalità di disagio sociale, insicurezza da una minore dotazione di servizi. – Tali fenomeni, pur se con minore frequenza, possono ricorrere anche nelle aree centrali o consolidate delle metropoli e delle grandi città italiane (evidenziazione nostra)4.

Queste affermazioni sulla “trasversalità” del rapporto centro-periferia che coinvolge anche le aree centrali o consolidate delle metropoli e delle grandi città italiane sono ancora più vere al Sud dove gli abitanti in quartieri con alto potenziale di disagio economico delle 14 Città Metropolitane (comprese quelle delle Regioni a statuto speciale) vedono ai primi quattro posti altrettante città meridionali e Napoli è al secondo posto con il 41,1% di residenti in quartieri ad alto potenziale di disagio economico equivalenti a 395.505 abitanti5.

Infatti la progressiva desertificazione industriale della zona costiera, i processi di decentramento produttivo che hanno coinvolto il Comune capoluogo sin dalla fine degli anni ‘60 hanno sicuramente influito su un’ “ossificazione” del territorio che insieme al delinearsi, soprattutto nel Comune capoluogo, di processi di gentrificazione hanno portato, da un lato, ad un’estensione delle periferie e, dall’altro, anche all’avvio di interessanti forme di autorganizzazione all’interno di una visione del territorio come bene comune.

A Napoli le pressioni per giungere ad una disaggregazione del Comune capoluogo – anche sotto forma di accorpamento delle attuali dieci Municipalità – ci sono e, sinora, il Sindaco metropolitano è stato abbastanza contrario, tuttavia non possiamo essere certi se tale opposizione dipenda da una chiara coscienza antiliberista o dalla preoccupazione di perdere prestigio in quanto Sindaco del Comune capoluogo.

Naturalmente ciò non significa una sorta di opposizione di principio ad un potenziamento e/o accorpamento delle attuali 10 Municipalità del Comune di Napoli ma all’interno dell’unità territoriale e politico-amministrativa dello stesso.

  1. Cenni sulla bozza di PTC della Città Metropolitana di Napoli e alcune delle osservazioni fatte dal “tavolo misto”.

L’ex-Provincia di Napoli, a differenza di altre, non s’è ancora dotata del proprio Piano Territoriale di Coordinamento che nell’ avviato procedimento d’approvazione prevede una fase di consultazione.

Si tratta di una classica “partecipazione burocratica” ben lontana da forme di democrazia reale, tuttavia s’è deciso di prendervi parte con autonome osservazioni che, in realtà, ci servono per affinare proposte di piattaforma metropolitana rispetto alle politiche abitative e ai beni comuni.

Pertanto, alcuni giorni fa sono state inviate 14 osservazioni precedute da un documento politico.

Uno dei motivi più importanti del nostro specifico interesse è dato dal fatto che nei Piani Territoriali di Coordinamento sono previsti anche i carichi insediativi residenziali dove è prevista una quota per il disagio abitativo su cui abbiamo fatto una specifica osservazione mentre abbiamo collaborato ad altri emendamenti/osservazioni sull’individuazione dei “beni comuni metropolitani” anche per valorizzare quelle esperienze di autorganizzazione sociale che iniziano a diffondersi fuori dai confini cittadini (si pensi all’esperienza di “Terra Nostra” a Casoria o de “Le Monachelle” a Pozzuoli).

Da notare che in una fase di de-regulation territoriale i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali spesso sono vecchi e non rispecchiano più l’effettiva situazione esistente sul terreno.

Ad es., il Piano Territoriale Provinciale Generale di Roma è stato approvato agli inizi del 2010 e, quindi, fa riferimento ai dati del censimento ISTAT 2001 come fonte più aggiornata non potendosi avvalere dei dati al 2011;

rispetto alla domanda residenziale fa proiezioni che si fermano al 2015.

Nel caso napoletano ci sono parti del PTC ferme al 2008, altre aggiornate e ciò genera anche una scarsa omogeneità del documento.

L’interesse politico ad aggiornare i Piani Territoriali è scarso perché sarebbe una delle strade attraverso cui rilanciare una cultura della pianificazione e ciò, in epoca liberista, è una sorta di bestemmia.

Noi, invece, abbiamo tutto l’interesse a rilanciare una pianificazione partecipata anche appoggiando forme di “urbanistica resistente” qualora si riesca ad interloquire con urbanisti sensibili alle esigenze del territorio.

Nello specifico dell’ osservazione proposta per la domanda residenziale, abbiamo chiesto che, all’interno del carico insediativo complessivo, venga aumentata la quota destinata al disagio abitativo di altri 20.638 alloggi passando dai 51.596 previsti a 72.234, nella proposta di modifica di altro articolo, a proposito della equidistribuzione sul territorio dei servizi, abbiamo precisato che essa deve avvenire “senza depauperare le dotazioni esistenti nei tessuti storici e consolidati”, ossia rifiutare la spending review territoriale citata in precedenza.

Per l’individuazione della categoria dei beni comuni metropolitani, con il contributo determinante di compagni dell’ex-Asilo Filangieri – un altro degli spazi liberati napoletani – è stata richiesta l’aggiunta di due nuovi articoli nelle norme tecniche d’attuazione del Piano dove, tra l’altro, si definisce la “Rete dei beni comuni metropolitani” come “componente strutturale del Piano a cui indirizzare specifiche politiche di rilievo metropolitano ispirate al dettato costituzionale, formalizzate entro processi decisionali partecipati con il coinvolgimento attivo degli abitanti del Comune e/o quartiere di pertinenza, sviluppate anche in modalità sperimentali ed informali di autogestione e co-responsabilità”.

Con i due nuovi articoli si vuole ottenere, tra l’altro, il riconoscimento degli “usi civici e collettivi urbani quale attualizzazione in area metropolitana degli antichi domini collettivi recentemente normati dalla L. 168/2017”6.

Si tratta di un punto di particolare interesse che andrà coordinato con la materia degli usi civici oggetto di tutela paesaggistica dove subentrano competenze regionali mentre nel PTC si potrebbe procedere ad un’accurata e aggiornata rilevazione sulle porzioni di territorio metropolitano gravate da usi civici.

  1. Per concludere

Le caratteristiche strutturali della Città Metropolitana napoletana impongono una grande attenzione alle politiche di densificazione residenziale evitando di farsi “affascinare” da espressioni come la “rigenerazione urbana” che, ad es., abbiamo sentito più volte nella discussione del Piano per Bagnoli, a tal proposito giustamente è stato osservato che “la rigenerazione è un lemma che nel linguaggio politico-urbanistico odierno è talmente abusato da aver perso un significato preciso, diventato il contenitore di tutto come del suo contrario”7 e oggi si tratta di un concetto che è diventato sempre più appannaggio di quelli che Harvey definisci i devoleper.

Infatti i Comuni della Città Metropolitana di Napoli con un basso indice di consumo di suolo sono soltanto cinque (Agerola, Lettere, Serrara Fontana, Pimonte e Visciano)8 e ciò è indubbiamente un riflesso dell’elevata densità demografica che insieme alla ridotta superficie determina anche un elevato numero di Comuni in un’area dove non c’è nemmeno una forte tradizione associativa comunale9.

Pertanto è chiaro che proprio sulla concezione della densificazione a livello locale si scontrano e si scontreranno le due posizioni che sono emerse pure nell’ambito della citata Commissione Parlamentare sulle periferie: da un lato, interventi di radicali demolizioni e ricostruzioni (dove, molto spesso, in maniera più o meno implicita, passa un aumento delle volumetrie) dall’altro, interventi di risanamento dei complessi esistenti con forti interventi di recupero edilizio, energetico e funzionale limitando la prima opzione (demolizione/ricostruzione) a casi-limite come, ad es., quello delle Vele di Scampia10.

Su quest’aspetto, occorrerà, da subito, una forte capacità d’intervento sia attraverso la presenza in Consiglio Metropolitano – purtroppo una sola Consigliera appoggia Potere al Popolo – che nella mobilitazione territoriale soprattutto per quelle aree che nel PTC dovrebbero essere oggetto di “densificazione abitativa” come la direttrice nolana e quella domitio-flegrea che dovrà fare i conti con l’apposito masterplan dove, ad es., nel giuglianese sono previste ben due aree di densificazione abitativa e dove si affida il pubblico interesse al partenariato pubblico-privato che trova una delle massime motivazioni nel solito ritornello sulla scarsità di risorse pubbliche.

1 Le zone omogenee sono richiamate negli statuti delle Città Metropolitane come articolazioni territoriali comprendenti più Comuni e sono “identificate sulla base di caratteri identitari e ragioni storiche, di contesti geomorfologici, naturalistici e paesaggistici, di relazioni funzionali e quadri economico-sociali che ne giustifichino la comune appartenenza” (art. 4 statuto della Città Metropolitana di Napoli); nel caso dello statuto della Città Metropolitana di Milano si prevede che “le zone dotate di autonomia amministrativa del comune capoluogo possono intrattenere rapporti di collaborazione e stipulare convenzioni con le zone omogenee limitrofe del comune capoluogo.” (art. 29 statuto). – Si tratta di quelle parti periferiche del Comune capoluogo che hanno un ruolo di “cerniera territoriale” con Comuni dell’hinterland. – Ad es., nel caso di Napoli. La Municipalità di Bagnoli Fuorigrotta che confina con la zona flegrea o quella di Ponticelli nella zona orientale che confina con una parte della zona vesuviana.

2 Per i dati riportati sugli indici di competitività delle principali Città Metropolitane si veda il Primo Rapporto della Scuola di Governo del Territorio su: “La competitività italiana. – Le imprese, i territori, le Città Metropolitane”. Ed. F. Angeli (2017).

3 Cfr. Relazione sull’attività svolta pag. 13

4 Cfr. Relazione sull’attività svolta pagg. 18-19

5 Cfr. Relazione sull’attività svolta pag. 24 tab. 3

6 La legge 20 novembre 2017 n. 168 contiene “norme in materia di domini collettivi” dove ci sono riferimenti alla proprietà collettiva, ai beni di collettivo godimento e agli usi civici.

7 Cfr. Paola Bonora in “Consumo di luogo-Neo-liberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia Romagna” Edizioni Pendragon pag.44.

8 Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie: “I dossier delle Città Metropolitane. – Città Metropolitana di Napoli” pagg. 72-74

9 Per la densità demografica ci si limita ad un raffronto con le altre due Città Metropolitane superiori ai 3.000.000 di abitanti: Roma con una superficie di 5.363,28 kmq ha una densità di 811,77 abitanti per kmq, Milano con una superficie di 1.575,65 kmq ha 2.042,46 abitanti per kmq, quella di Napoli ha una superficie più ridotta rispetto alle altre due Città Metropolitane (1.178,93 kmq) e un numero più elevato di abitanti per kmq (2.635,44).

10 Quartiere della periferia napoletana dove c’è un gruppo di case popolari a forme di vele che rappresentano una sorta di simbolo del degrado.

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