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Nazionalizzazione e rottura delle compatibilità capitalistiche. In piazza, a Roma, il 20 ottobre!

Con un Appello – diffuso agli inizi del mese di settembre –  un ampio arco di forze politiche e sociali ha indetto una Manifestazione Nazionale, a Roma, per il prossimo sabato 20 ottobre.

Al centro degli obiettivi di questo appuntamento di mobilitazione c’è il rilancio della parola d’ordine – un vero e proprio programma di medio periodo – della Nazionalizzazione dei settori strategici della produzione.

C’è voluta la catastrofe di questa estate del ponte Morandi a Genova per riportare all’ordine del giorno – del dibattito pubblico e dell’agenda politica – l’autentico disastro sociale prodotto dalla lunga stagione di privatizzazioni, dismissioni, esternalizzazioni e depauperamento del patrimonio industriale ed infrastrutturale del nostro paese. Una sequenza che ha pesantemente segnato il corso economico del capitalismo italiano almeno negli ultimi 25 anni provocando non solo una deregolamentazione del lavoro e dei diritti ma anche un peggioramento della quantità e della qualità dell’offerta dei servizi pubblici ed essenziali,

Infatti – volendo periodizzare questa fase di ristrutturazione del Sistema/Italia – possiamo datare dal periodo di vigenza del governo Amato (1993) l’avvio della lunga serie di privatizzazioni che hanno modificato il volto e la struttura del capitalismo tricolore unitamente al complesso delle relazioni produttive, economiche e normative dell’Azienda/Italia. 

Abbiamo vissuto una intera fase della storia economica in cui soggetti finanziari famigerati come Société Générale, Rothschild, Crédit Suisse, JP Morgan, Goldman Sachs (ossia la cupola dei poteri forti del capitalismo internazionale) hanno fatto “il bello ed il cattivo tempo” cannibalizzando la struttura industriale italiana, dettando le condizioni della sua svendita, le conseguenti politiche antioperaie da applicare verso i lavoratori interessati da questi processi ed imponendo la linea di condotta da seguire la quale – seppur con approcci differenziati – è stata supinamente accettata ed applicata supinamente dal susseguirsi dei vari esecutivi di governo nel corso di questi decenni.

Del resto il consumarsi di alcune vicende simbolo degli ultimi anni – Alitalia, Ferrovie, Sip/Telecom ed Ilva in primis – hanno riproposto uno scenario economico in cui vige, unicamente, la logica del profitto a tutti i costi, l’abbandono di ogni parvenza di clausola sociale, l’assenza di una qualsivoglia forma di programmazione con una idea di sviluppo generale utile per la collettività ed il trionfo del feroce totem ultraliberista della “centralità del mercato”.

Il tutto è avvenuto in una congiuntura politica dove i processi di centralizzazione e concentrazione dei settori più forti della borghesia continentale (annidati attorno al nocciolo duro dell’Unione Europea) hanno favorito e spinto le dinamiche di spoliazione, ridimensionamento e declassamento dell’economia del nostro paese in direzione di una generale svalorizzazione della forza lavoro e della sua qualità salariale, normativa e professionale. Un processo scientificamente pianificato che è stato funzionale alla nuova divisione del lavoro e delle sue filiere lungo tutta la Eurozona in un contesto oggettivo di accelerazione di tutti i fattori della competizione internazionale tra blocchi e potenze globali.

 

Una possibile nuova qualità del conflitto di classe.

Non è quindi politicamente indifferente – in questa particolare congiuntura del conflitto nel nostro paese e nell’intera Unione Europea – che organizzazioni politiche, sindacali, associazioni ed il variegato universo dell’associazionismo indipendente assumano, rilancino e riqualificano lo slogan (ed il conseguente programma) delle Nazionalizzazioni.

Una apertura di dibattito che – paradossalmente, ma non troppo – inizia ad enuclearsi in questi mesi mentre non riuscì ad emergere negli anni dell’esplosione dell’ultima grande crisi internazionale (2007/2008) a causa dell’allora vigente egemonia di un asfissiante clima culturale ed ideologico alimentato da una “sinistra” che non aveva ancora maturato, fino in fondo, i caratteri della sua crisi/fallimento e di una sua impossibile riedizione teorica, politica ed organizzativa (se non in modalità farsesca e tragica come, purtroppo, potrebbe palesarsi oggi!) .

E’ evidente, quindi, che l’agitare ed il sostenere questa battaglia – da parte di un primo consistente settore di blocco sociale – assume un valore politico alto. Ancora di più se questa consapevolezza e questa mobilitazione sarà parte di una più avanzata lotta generale ancorata ad un programma di alternativa di classe non solo per porre un deciso stop alle privatizzazioni ma per far consolidare una rottura nei confronti della filosofia dell’austerity e dell’insieme dei diversificati dispositivi antisociali della UE e dei signori dell’Euro.

Riveste, a questo proposito, particolare importanza – per i suoi auspicabili risvolti  politico/pratici nei confronti del sindacalismo conflittuale, delle lotte popolari e dei movimenti sociali – il Programma di Alternativa di sistema: uscire dalla UE, dall’Euro, costruire l’Area Euromediterranea, recentemente adottato dalla Piattaforma Sociale Eurostop, il quale individua nelle lotte per imporre la Nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia un punto programmatico serio e costitutivo per quell’indispensabile “accumulo delle forze e strutturazione di un nuovo movimento operaio e popolare” in grado di imporre un “altra economia” ed “una nuova configurazione geo/politica dei popoli del Mediterraneo”.

Con questo approccio la Rete dei Comunisti sta contribuendo alla costruzione concreta di questo appuntamento unitario articolando e generalizzando la sua azione politica e militante in ogni ambito sociale e nell’insieme della società.

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