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Crociata ideologica o lotta di classe?

La caduta del governo gialloverde ha eccitato non poco e, in qualche caso, galvanizzato l’opposizione (si fa per dire) parlamentare e buona parte del cosiddetto popolo della sinistra. Ci sono giornali, interventi pubblici e post che auspicano la creazione di un CLN per liberare l’Italia da Salvini e soggetti politici e sociali che chiamano all’unità di tutte le forze democratiche per una crociata antifascista. C’è infine, e non poteva mancare, il proclama del PD di Zingaretti che si accredita come l’unico vero argine alla possibile deriva rappresentata da un governo di destra.

Nell’etereo, evanescente ed evenemenziale mondo mediatico bisognerebbe, almeno ogni tanto, ricordare che comprendere significa soprattutto saper distinguere, e questo dovrebbe valere, in particolare, quando si tratta di politica. In Italia, però, non è sempre così. Nella realtà del mainstream giornalistico e mediatico odierno, al paziente esercizio dell’analisi rigorosa, all’attenta valutazione delle differenze, al saper cogliere le specificità dei contesti nei quali si vive e si opera, sono subentrate sapienti e meno sapienti costruzioni di stereotipi che velano ideologicamente i fatti e le questioni reali. Questo processo illusionistico e ipertrofico finisce col produrre e diffondere quella che sembra essere l’unica e solida “realtà”. Il tutto avviene grazie a forme di propaganda sempre più ossessive e pervasive, congegnate esclusivamente per ottenere consenso e per generare ricadute sul breve e brevissimo periodo. Per mezzo dei media maistream e dell’uso sapiente della rete, un intero mondo di stereotipi e pregiudizi si trasforma in senso comune ovvero nella percezione intersoggettivamente condivisa del “reale”.

Giornali e telegiornali mainstream, social media e trasmissioni di approfondimento, partono da premesse già date per scontate e da logiche legate a una serie di prassi vincolanti, dettate da canoni ritenuti, pertanto, fissi e immutabili. In tale contesto, competere politicamente significa decidere solo chi, vincendo un’elezione, dovrà gestire il governo, pur sapendo che la direzione politica è già stata decisa altrove (esempio celebre quello del pilota automatico imposto dalla governance UE).

In altre parole, si tratta della dissociazione tra governo della cosa pubblica e potere reale su di essa.

Tale trasformazione è frutto della trentennale e vincente lotta di classe dall’alto che ha portato la borghesia europea e occidentale a costruire istituzioni e forme politiche del tutto funzionali ai propri interessi, divenuti, perciò, assolutamente vincolanti, sacri e intangibili. L’esempio più chiaro di questo successo è certamente la costruzione della UE ordoliberista. Con il trionfo della grande borghesia transnazionale si è affermata compiutamente l’ideologia del TINA (There is no alternative), ovvero del pensiero unico che non ammette alternative al libero mercato.

Questo trionfo ideologico è stato reso possibile dall’annichilazione politica dalle classi subalterne, portatrici d’interessi opposti e alternativi a quelli della borghesia, distruzione portata a compimento dopo il crollo del comunismo e il venir meno dell’alternativa sistemica al capitalismo.

 

Per tutte le suddette ragioni, anche l’attuale congiuntura politica italiana va analizzata alla luce di queste sommarie e brevissime premesse di contesto.

Il principio propagandistico agitato nell’attuale crisi politica è il seguente: il fascismo è alle porte e c’è un ampio arco di forze sinceramente democratiche e antifasciste che, se si presentano unite, possono “salvare l’Italia” da questa deriva. Il parossistico e ipertrofico bailamme politico – mediatico seguito alla crisi di governo ha fatto in modo che la prossima campagna elettorale venga concepita e vissuta come una vera e propria guerra santa.

 

In realtà, la surrettizia premessa che giustifica questa sorta di crociata ideologica è del tutto falsa.

Da un punto di vista storico, il fascismo, nato giusto un secolo fa, è figlio di un contesto assai diverso da quello attuale. Nella sua affermazione giocò un ruolo di primo piano la paura che il comunismo, affermatosi in Russia con la rivoluzione d’ottobre, dilagasse in Europa e nel mondo. Nel giro di pochi mesi, la borghesia europea tremò di fronte al moto spartachista in Germania, al “biennio rosso” in Italia e al breve governo bolscevico in Ungheria.

Possiamo veramente pensare che l’odierna conflittualità sociale sia in grado di destabilizzare il quadro politico – istituzionale esistente o che sia addirittura in grado di produrre un’alternativa possibile rispetto ai rapporti di classe esistenti? Certamente no. Al contrario, la coscienza che le classi popolari hanno oggi dei propri interessi e il tasso di conflittualità che esprimono sono ai minimi storici. Ergo, la borghesia non abbisogna di forme dittatoriali obsolete, per il semplice fatto che la governance politica è saldamente nelle sue mani e non s’intravvede all’orizzonte nessuna avvisaglia di cambiamento possibile.

Ciò a cui assistiamo da tempo è, invece, lo svuotamento e lo sfinimento di ogni residua forma di sovranità popolare, unitamente alla sempre più feroce stretta autoritaria a danno dei lavoratori e di ogni movimento di protesta, ma questo è un processo in atto da decenni e che esula dall’attore politico di turno, sia esso di destra, di centrodestra o di centrosinistra (vedi pacchetto Treu, Jobs act, G8 di Genova, decreto Minniti, decreti Salvini, tentativi vari di stravolgimento della Costituzione ecc.). La dittatura, quella del capitale e del mercato, è invece già qui, è reale e si fa sentire ogni giorno sulla pelle di milioni di persone.

La seconda parte della premessa su richiamata è poi, se possibile, ancora più falsa. Dagli anni Novanta in avanti, la scena politica italiana consiste in una sorta di competizione tra pezzi di classe dirigente, rappresentanti frazioni della borghesia, che si dividono plasticamente al momento delle elezioni per candidarsi a dirigere al meglio la lotta di classe dall’alto imposta dai vincoli UE, salvo poi riabbracciarsi, in parlamento o in qualsiasi altro consesso, qualora gli interessi della borghesia nazionale o transnazionale vengano messi in discussione.

A solo titolo d’esempio, basterà ricordare il voto sul TAV di qualche giorno fa che ha visto affermarsi una larghissima maggioranza trasversale per il sì, una vera e propria ammucchiata spaziante dalla Lega al PD, da Forza Italia a Fratelli d’Italia, e passante per +Europa. Al termine della votazione ci sono state pacche sulle spalle e calorose strette di mano. Si potrebbe aggiungere anche la questione dell’autonomia differenziata che vede Lega e PD schierarsi, ancora una volta, dalla stessa parte.

Sposare l’ipotesi di un fronte unico a guida PD per battere la destra fascioleghista che avanza, significherebbe, per le classi popolari, farsi rappresentare dal nemico di classe.  Un nemico che ha bastonato duramente fino al giorno prima e che, se vincerà, tornerà a bastonare il giorno dopo la vittoria elettorale.

È tempo di costruire una rappresentanza politica autonoma e indipendente che tenga assieme le molteplici e variegate istanze delle classi popolari che subiscono ogni giorno la dittatura del mercato, patendo sfruttamento, disoccupazione, precarizzazione, bassi salari e continui tagli allo stato sociale. È tempo di Potere al Popolo!

*Potere al Popolo, Verona

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1 Commento


  • Pietro

    Quindi De Magistris è fuori da questo ragionamento, vero?

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