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I palestinesi nella gabbia del domatore Netanyahu

L’ingiustizia del destino dei palestinesi è così macroscopica che per non vederla la comunità internazionale si è bendata: la questione non esiste più.

Se i curdi sono soli, i palestinesi sulla scena internazionale lo sono ancora di più. Chiusi nella gabbia dell’occupazione israeliana di Gaza sono stati lasciati alle cure sanguinarie del domatore Netanyahu che ha avuto buon gioco a farli materialmente a pezzi e a dividerli politicamente.

È lui che sulla lavagna segna, di volta in volta, i buoni e cattivi – Hamas adesso è tra i buoni, il Jihad islamico tra i cattivi – con un criterio che risponde non più come un tempo soltanto a logiche securitarie e repressive, ma a quelle del suo tornaconto politico personale: si tratta di un gioco crudele e alla lunga anche pericoloso, quando un giorno la società israeliana si dovesse risvegliare dal coma in cui è stata precipitata in questi anni, come scrive anche il quotidiano Haaretz.

I civili palestinesi – sottolinea su il manifesto Michele Giorgio – fatti a pezzi da un missile in quanto palestinesi non fanno neppure più notizia. Almeno non tanto quanto i civili israeliani feriti dai razzi palestinesi lanciati da Gaza. Gli israeliani hanno per lo meno dei rifugi dove ripararsi, i palestinesi neppure quelli, così morti e feriti si contano a dozzine, con intere famiglie distrutte.

L’aspetto però più sconvolgente è che la questione palestinese non esiste più: è stata cancellata, insieme ai suoi morti. Esiste soltanto come un affare di sicurezza israeliana e qualche timida uscita europea di cui un esempio è la sentenza della Corte di giustizia che vuole il bollino «territori occupati» sull’export israeliano nel continente.

Merci che rappresentano, sul volume globale delle vendite dello stato ebraico all’estero, forse poco più dell’uno per cento. Ma basta anche l’uno per cento a sollevare da parte israeliana polemiche di ogni tipo: si troverà il modo di applicare l’etichetta sui prodotti scritta così in piccolo che non basterà per leggerla una lente di ingrandimento.

L’ingiustizia del destino dei palestinesi è così macroscopica che per non vederla la comunità internazionale si è bendata. Il fatto è che anche dentro ai palestinesi sembrano che non ci siano alternative alla disgregazione. Molti abitanti di Gaza e buona parte anche di quelli della Cisgiordania hanno perso fiducia nei confronti dell’autorità palestinese di Mahamoud Abbas controllata da Fatah.

La politica di conciliazione avviata con Israele durante il cosiddetto «processo di pace» si è rivelata un fallimento, le colonie ebraiche si sono moltiplicate e ampliate, la stessa opinione pubblica araba respinge la collaborazione securitaria tra l’Autorità palestinese e l’esercito israeliano in Cisgiordania. Per non parlare della corruzione che ha minato le istituzioni nel periodo in cui Fatah è stata al potere a Gaza, alimentando i risentimenti a favore di Hamas, giudicato più onesto.

In realtà Abbas ha fatto ben poco contro le colonie, non ha condotto la lotta contro l’occupazione e ha ceduto pure su Gerusalemme: così la pensano i palestinesi, e non hanno torto.

Ora anche Hamas è finito nella cerchia, assai provvisoria, dei «favoriti» di Netanyahu, come dimostra l’uccisione con un drone di Abu al Atta, comandante militare della Jihad islamico nella Striscia, e la decisione dei leader di Hamas di non partecipare alla risposta per l’assassinio di Atta.

Il domatore fa bene i conti sulla pelle dei palestinesi, ma anche tra i suoi nemici in Israele costretti a schierarsi con lui.

Ricostruire la casa palestinese per potere meglio fronteggiare Israele sembra essere la priorità ma finora non si è visto ancora molto di concreto.

Si può però individuare un denominatore comune tra gli abitanti di Gaza e quelli della Cisgiordania: sono in molti a chiedere cambiamenti politici radicali e un rinnovamento generazionale. Le vecchie organizzazioni – e anche Hamas lo è, visto che gli israeliani invitavano noi giornalisti stranieri a seguire i loro seminari sull’organizzazione già 30 anni fa – non funzionano più, sempre più stritolate nella morsa del domatore israeliano, il quale, di tanto in tanto, lancia la sua offa nella gabbia di Gaza come la Sibilla gettava a Cerbero una focaccia soporifera, per rendere libero il passaggio a una nuova fase di scorporo e annessione di territori palestinesi.

Tanto qui nessuno se ne accorge. Lo stato palestinese sembra scomparso. Non c’è n’è traccia per esempio in quello che è stato a un certo punto contrabbandato come l’«accordo del secolo» preparato da Washington e sostenuto dai Paesi del Golfo.

Ora sembra sia stato archiviato, ma questo piano seppelliva anche l’idea stessa di una Palestina indipendente dove la Striscia di Gaza era concepita come un’entità separata dalla Cisgiordania. Nessuno qui si rivolta per l’annessione di Gerusalemme, contro ogni risoluzione Onu, nessuno si indigna per la coppia criminale Trump-Erdogan, quest’ultimo un mestatore che ai palestinesi ha fatto più male che bene.

In compenso c’è sempre il coro americano ed europeo che Israele «ha diritto a difendersi per i lanci dei razzi e il terrorismo» dimenticando che l’ultima escalation l’ha innescata proprio Netanyahu.

Il domatore ha il senso del macabro e noi lo assecondiamo.

* da il manifesto

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