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Medio Oriente. Minacce di guerra o riformulazione di egemonie?

L’atto terroristico americano compiuto contro il generale iraniano Soleimani, responsabile della sicurezza, e del vice comandante delle milizie irachene Al Hashed Al Shaabi, (trad: mobilitazione popolare) Abu Mahdi Almuhandes, e di altri ufficiali che erano in loro compagnia, rappresenta in sé l’aggravamento della situazione medio orientale ed un incremento della tensione nei rapporti tra l’amministrazione USA e la Repubblica Islamica Iraniana. Tensione iniziata proprio con la posizione presa dal presidente Trump sull’accordo sul nucleare.

Il popolo iracheno, che è stato vittima di un embargo di 12 anni e di due guerre mosse dall’alleanza mondiale sotto il comando Usa, dal mese di ottobre vive una rivolta pacifica e popolare che chiede la fine dell’occupazione co-gestita da Usa – Iran e il riconoscimento della piena sovranità dello stato iracheno.

Questa rivolta è stata fronteggiata con le armi da parte di chi sta al governo e di chi lo sostiene dall’esterno, anche quando è arrivata davanti all’ambasciata Usa a Baghdad, nella zona verde. La protesta popolare rischia di portare a una crisi globale. Ma la vera crisi, forse, è fra le due potenze Usa e Russia, con la prima che non considera l’Iran il suo principale nemico, ma uno strumento contro la Russia.

Tuttavia, la mancanza di una concreta reazione russa su quanto successo nell’ultimo periodo, dagli attacchi israeliani alla Siria, ed in particolare alle postazione iraniane, o ad Hezbollah in Libano, coperta da formali dichiarazioni di condanna non può essere considerata la prova della ricerca di un accordo, ma è sicuramente la prova che non si arriverà allo scontro tra le due potenze. E da questo punto di vista, alle potenze minori come Iran e Israele, sono state dettate le linee guida generali. Potrebbero verificarsi, come spesso avvenuto, un attacco aero o il lancio di qualche razzo, ma nient’altro, e tutti concordano sul fatto che non si arriverà ad una vera guerra.

Lo dimostra la notizia, riportata da diverse agenzie di stampa locale e internazionale, che dopo l’assassinio di Soleimani, Trump ha inviato un messaggio, tramite la Svizzera, alle autorità iraniane promettendo di togliere tutte le sanzioni in cambio dell’assenza di reazione alla morte di Soleimaini! Infatti le focose dichiarazioni iraniane parlano di un assassinio sul territorio iracheno come dire: tocca a voi rispondere! cioè ai filo iraniani in Iraq o in Libano o a Gaza nonché in Siria. E subito il parlamento iracheno ha deliberato che non vuole più forze straniere, cioè Usa ed Iran, nel paese e Trump, uomo d’affari, ha risposto che non se ne andranno finché gli iracheni non li avranno ripagati per la “protezione” garantita fino ad oggi dalla presenza delle basi militari Usa sul territorio iracheno.

Quindi restano da controllare i sentimenti dell’opinione pubblica irachena ed iraniana e forse anche di quella araba. Alcuni vedono le manifestazioni popolari come guidate dall’emotività, non c’è razionalità nelle reazioni di massa, ma sono certi che si calmeranno presto con un missile di Gaza o dello Yemen. In attesa di decidere come spartirsi gli interessi nella regione, le due potenze continueranno a garantire una certa stabilità tra Israele e Iran.

Rimane l’impressione che la prepotenza americana abbia raggiunto il culmine con il bombardamento della città di Baghdad, una provocazione per tutti gli iracheni: migliaia sono scesi in piazza chiedendo di cambiare l’autorità al potere e di porre fine al conflitto americano-iraniano sull’Iraq.

Il bombardamento americano non aiuterà il movimento popolare, è un duro colpo a tutti gli sforzi dal basso per un vero cambiamento in Iraq. Gli iracheni sono divisi fra chi sostiene la lotta delle masse popolari e giustifica la necessità che possa anche essere armata, e chi sostiene le forze popolari che chiedono il ritiro di tutte le armi delle milizia, mantenendo solo l’esercito nazionale. Ci si aspettava una buona riuscita della trattiva con il governo, ma i fatti contro l’ambasciata americana a Baghdad e il successivo bombardamento americano hanno reso tutto più difficile. Le giuste rivendicazione del movimento giovanile popolare iracheno e i suoi nobili obiettivi sono le vere vittime del deterioramento della situazione.

Va ricordato che, dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, è iniziata una piena cooperazione e uno stretto coordinamento tra Stati Uniti e Iran nell’occupazione dell’Iraq e nella distruzione dello stato iracheno. Gli Stati Uniti hanno consentito ai sostenitori dell’Iran presenti in Iraq di impadronirsi del potere a Baghdad ma, soprattutto, lo spiegamento, sotto varie giustificazioni, tra cui combattere l’ISIS e il terrorismo, di milizie affiliate alle Guardie Rivoluzionarie iraniane guidate e dirette dal defunto Soleimani.

Qui ci poniamo la domanda: quali saranno le giustificazioni e le reazioni all’assassinio politico di Soleimani, al di là di quelle presenti sui media? Questa azione ha aumentato il grado di tensione non solo tra americani e iraniani, ma anche tra i paesi e i popoli della regione e i paesi del mondo in generale, perché lo stato di tensione in questa delicata regione ha gravi ripercussioni sugli interessi di tutti i paesi del mondo; i prezzi del petrolio, ad esempio, sono aumentati immediatamente. Ma gli Usa stanno davvero dichiarando guerra all’Iran? È giunta davvero al termine la collaborazione tra i due Stati e la spartizione dell’egemonia e dell’influenza sull’Iraq e sugli altri paesi della regione?

Molte sono le domande poste dall’assassinio di Soleimani: scoraggerà l’Iran dal perseguire la sua politica di esportazione della rivoluzione, di sostegno alle fazioni della resistenza e ai partiti settari che hanno contribuito a far nascere al fine di colpire la stabilità in quei paesi…?

La verità è che nessuno vuole la guerra, né l’Iran, né gli USA né gli stati del Golfo Arabo, né alcun paese del mondo a causa delle gravi conseguenze per tutti tranne che per l’entità sionista fondata sulla violenza, sulla guerra e sulla distruzione di tutti i popoli della regione, che continua a negare i diritti nazionali del popolo palestinese.

Pertanto anche questi ultimi eventi saranno superati, nonostante la loro gravità, senza scivolare in uno stato di guerra totale, ma porteranno ad una riformulazione dei rapporti tra le due parti all’insegna dei loro interessi e di un accordo finalizzato a reprimere i movimenti nazionali arabi in Iraq, in Libano e in altri paesi arabi e a rilanciare l’allineamento settario che serve i loro interessi ed è coerente con la loro strategia e con quella dell’entità sionista riguardo agli affari arabi in generale… e il prossimo futuro lo dimostrerà!

 

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