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Il programma della lista “Napoli non si piega”

NAPOLI NON SI PIEGA 

..i nostri diritti contro i loro profitti….. 

Alcuni elementi di discussione programmatica per la Campagna Elettorale amministrativa del Comune di Napoli.

La presenza della lista elettorale Napoli non si piega…i nostri diritti contro i loro profitti… è una positiva anomalia nello screditato panorama della campagna elettorale napoletana.

Essa è nata dalla collaborazione attiva di alcune organizzazioni (Comunisti/Sinistra Popolare, Sinistra Critica, Rete dei Comunisti) e tanti compagni ed attivisti sociali, che pur non facendo parte di alcuna formazione, sono stati presenti nello scontro politico cittadino. La lista ha offerto la candidatura a sindaco ad una figura che, con la sua azione, ben rappresenta i diritti dei lavoratori, cioè l’avvocato Pino Marziale difensore in tantissime occasioni di operai, precari, cittadini contro i soprusi dei padroni.

In premessa vogliamo affermare che la competizione elettorale amministrativa non è risolutiva dei tanti problemi dei cittadini se non accompagnata dal protagonismo dei movimenti, da vertenze sociali e sindacali e da una battaglia culturale più complessiva che punti alla costruzione organizzata del conflitto metropolitano.

Da che parte stare! 

L’obiettivo primario della lista è quello di costruire anche a livello di rappresentanza istituzionale una vera opposizione che difenda i diritti dei cittadini senza sconti, chiunque sia che governi la città. Purtroppo da molti anni a Napoli centro-destra e centro-sinistra, anche dividendosi in consiglio comunale, hanno sempre gestito le risorse finanziare in comune accordo, riferendosi agli stessi centri di potere (Banche, Finanziarie, Imprenditoria edile etc).

Noi crediamo che una lista elettorale deve prima di tutto dichiarare apertamente quali interessi vuole tutelare. Data la ristrettezza del bilancio non è possibile recuperare risorse esclusivamente dalla razionalizzazione delle spese. Per venire incontro agli interessi degli strati in maggiori difficoltà bisogna necessariamente colpire le rendite ed i profitti.

E’ possibile per una amministrazione comunale operare scelte di questo genere? Secondo noi si! Si tratta di trovare il metodo per far pagare le imposte comunali principalmente ai detentori di redditi più elevati, a chi detiene tante case, magari anche risultanti sfitte. Il comune deve scovare gli evasori, magari proprietari di barche e di auto costosissime, ma risultanti nullatenenti.

E’ possibile per una amministrazione comunale fronteggiare la corruzione? Secondo noi sì, anche se le leggi nazionali lasciano aperte tante possibilità di eluderle. Ad esempio in questi giorni in Parlamento tutte le forze politiche stanno cambiando le leggi delle imprese consentendo l’uso della trattativa privata senza pubblicità per appalti fino a 1.500.000 €. Gli effetti sul mercato saranno dirompenti: la sottrazione dalle gare di una quota pari al 75% di lavori pubblici, senza alcuna forma di pubblicità, aiuterà di sicuro la già dilagante corruzione.

E’ possibile per una amministrazione comunale risparmiare sul bilancio? Secondo noi sì, senza tagliare i servizi sociali, ma eliminando tutte le consulenze esterne che servono solo a dare stipendi ad amici e parenti; inoltre, assumendo i lavoratori delle ditte esterne si risparmiano i profitti  degli intermediari.

E’ possibile per una amministrazione comunale combattere il precariato? Secondo noi sì, a cominciare dai precari del comune stesso; non si tratta di spese aggiuntive ma solo di normative contrattuali diverse

Contro la città della paura! 

Le nostre società sono precipitate in un incubo. Il martellante ed invasivo tema della sicurezza ci spinge ad una dimensione blindata della nostra vita e delle relazioni umani e sociali che intratteniamo. Il rom, il nero, il diverso, il disoccupato diventano, di volta in volta, i nemici da cui difendersi e proteggersi. Dal profondo della società viene avanti una confusa, per quanto contraddittoria, domanda di sicurezza che viene interpretata dai poteri forti e dai mastodontici apparati repressivi in chiave di ulteriore militarizzazione della società. Anche a Napoli iniziano ad avvertirsi segnali di questo genere. Dai veri e propri pogrom di Ponticelli contro i rom, alla caccia all’immigrato scatenata a Pianura e nei Quartieri Spagnoli, alle aggressioni contro ragazzi e ragazze, nel centro storico, catalogate come diverse, al ripresentarsi, in forma esplicita, di un paradigma culturale e comportamentale informato al peggior clericalismo oscurantista. Anche l’amministrazione comunale non ha brillato per il suo comportamento e per la conseguente azione amministrativa e legislativa. Sono rimasti inevasi i tanti progetti di integrazione annunciati pubblicamente e si sono arenate le relazioni vere con le problematiche che attanagliano gli immigrati e le variegate fasce di precarietà e di disagio sociale. Emerge – quindi – con nettezza la necessità di una mobilitazione diffusa su questi temi che non può limitarsi al mero aspetto culturale ma che deve, necessariamente, intrecciarsi con gli aspetti sociali che attengono alla materialità delle condizioni di vita e di lavoro. Solo contrastando sul terreno materiale il razzismo, la xenofobia e il sessismo potremmo radicare nella società gli anticorpi necessari a fronteggiarli.

La questione metropolitana 

La moderna configurazione dell’area metropolitana napoletana, risultato degli ultimi devastanti processi di ristrutturazione economica ed urbana, ci consegnano un area territoriale profondamente manomessa in ogni suo aspetto. Gli anni alle nostre spalle hanno registrato non solo una desertificazione di ciò che residuava del vecchio apparato industriale e produttivo, con il consueto corollario di licenziamenti, cassaintegrazione e dilagante precarietà, ma una nuova geografia economica metropolitana che assegna al territorio cittadino una centralità nei moderni processi di accumulazione e valorizzazione capitalistica.

Per l’area di Bagnoli i progetti condivisi da centro-destra e centro-sinistra, prevedono una modifica radicale della pianificazione portando a zero il Parco pubblico e aumentando a dismisura la realizzazione di edilizia privata (700 nuovi alloggi) con una quota minima (10-15%) di edilizia pubblica. Per il Centro storico, con il PIU (Programma Integrato Urbano)si prevede la gestione
dei grandi contenitori storici e dei monumenti da parte dei Privati con
un cofinanziamento del 10%, che ovviamente le Imprese richiederanno sotto altra
forma in sede regionale, determinando definitivamente la privatizzazione del Centro Storico
patrimonio mondiale dell’Unesco. Il centrosinistra negli ultimi due anni ha
lavorato incessantemente su questa ipotesi, scartando tutte le manifestazioni
di interesse provenienti dai cittadini.

Per Capodichino si prospetta la possibilità di lottizzare l’intera area e propaggini
aereoportuali.

Napoli est è senz’altro uno degli elementi strategici degli investimenti, ove con l’applicazione delle indicazioni di Piano regolatore: PUA (programmi urbanistici attuativi, si prevede la più grande cementificazione della storia della nostra Città, senza un disegno urbano, che lo si lascia “liberamente” agli imprenditori/investitori,accorpando aree ex industriali e lasciando liberamente l’iniziativa sul piano delle destinazioni, ove il Comune gioca un ruolo assolutamente marginale e poi… proprio per restare sul terreno strategico ed esecutivo degli investimenti si prevede la realizzazione dell’inceneritore di Napoli est sempre con fondi pubblici ma realizzato e gestito da privati.

In tale contesto cresce la pervasività delle organizzazioni camorriste (come dimostrano le decine e decine di inchieste giudiziarie in corso) dentro gangli fondamentali dell’apparato economico, logistico della città ma, soprattutto, si palesa quell’intreccio tra politica ed affari che comunemente viene indicato con il termine di cricca.

Napoli non si piega ribadisce che rispetto agli interessi imprenditoriali devono avere la precedenza le esige dei cittadini, cioè edilizia pubblica, verde attrezzato, strutture sportive e di aggregazione giovanile. Il territorio deve avere strumenti di controllo dal basso sull’operato delle municipalità e dell’amministrazione comunale. Responsabilizzare comitati di cittadini alla sorveglianza della funzionalità delle strutture, significa far crescere la coscienza civica.

Un’altra politica per il lavoro e per il reddito è possibile! 

Costantemente ogni qual volta i movimenti di lotta, le organizzazioni sindacali e sociali hanno interrogato le amministrazioni locali circa le loro rivendicazioni in materia di occupazione si sono dovuti sorbire una ipocrita, quanto falsata, risposta la quale tendeva ad accreditare l’idea che gli Enti Locali non hanno titolarità in materia di politiche attive per il lavoro.

In realtà come tutte le grandi amministrazioni, il Comune di Napoli, oltre ad essere il committente di una miriade di opere pubbliche (di piccole e grandi dimensioni: dalla minuta manutenzione urbana ai lavori della metropolitana e dei grandi passanti ferroviari e stradali) incarna la proprietà delle cosiddette aziende partecipate le quali sono imprese (alcune anche delle vere e proprie SpA) con diverse migliaia di addetti.

Inoltre, ed è bene ricordarlo, le amministrazioni locali della Campania, la Provincia e il Comune di Napoli in primis, sono state, nel 2002/2003, nonostante fossero rette da giunte di centrosinistra, i primi enti in Italia ad applicare, in materia di lavoro, le vergognose norme della Legge 30, con l’introduzione dei Job Center e dei Centri per l’Impiego le quali hanno fatto da apripista all’ulteriore ventaglio di provvedimenti e leggi che hanno disarticolato e depotenziato quel che ancora permaneva dei residui elementi di rigidità politica ed economica della forza/lavoro.

In questo condizione le varie amministrazioni comunali hanno riprodotto una azione di governo della forza/lavoro la quale ha dispiegato un mix di interventi fondato sulla privatizzazione di alcuni comparti, sulla esternalizzazione di fondamentali servizi sociali (particolarmente quelli legati all’assistenza ed al welfare), su una gestione clientelare di alcuni pacchetti di assunzioni (dagli LSU al reclutamento del personale nelle varie Società Partecipate fino ai vari concorsi la cui esplicazione è stata affidata al Formez) e su una segmentazione salariale e normativa di stampo autoritaria e differenziante, anche in relazione alle stesse tipologie contrattuali ufficiali, per il personale rimasto alle dipendenze dell’ ente/Comune.

La politica culturale del Comune di Napoli 

Il lungo corso politico (il centrosinistra con l’integrazione totale del PRC fin dal 1993) che ha governato Napoli ha sempre posto, almeno formalmente, la politica culturale tra le priorità dell’azione di governo. Una sorte di fiore all’occhiello che avrebbe dovuto accompagnare le magnifiche sorti del rinascimento napoletano.

Del resto le bellezze naturali, paesaggistiche e storiche del nostro territorio e l’intera produzione materiale ed immateriale che il variegato mondo della cultura, delle arti e dello spettacolo, che, da sempre, hanno positivamente caratterizzato la città di Napoli, meritano una valorizzazione, una larga socializzazione ed un impulso alla fruizione pubblica da parte delle istituzioni amministrative.

Fatta questa considerazione di carattere generale, che dovrebbe costituire la linea di condotta di una amministrazione che pone il fattore culturale tra le architravi fondamentali della sua governance, dobbiamo rilevare che l’intera gestione di questa questione non si è discostata dal complessivo impianto affaristico che ha informato e segnato la stagione amministrativa del centrosinistra partenopeo.

In tale contesto assumiamo come paradigmatica di questa vicenda l’intero capitolo della gestione dell’arte contemporanea la quale ha costituito un volano nei rapporti (anche sul piano internazionale) dell’enturage bassoliniano con un settore artistico (..e del mercato!) il quale ha goduto di uno spazio mediatico, di una disponibilità di ingenti risorse pubbliche e di una promozione a carico della collettività di proporzioni enormi.

Non è un caso che attorno all’affaire del Museo Madre, del PAN, dell’allestimento delle stazioni della nuova metropolitana o alla preparazione del Forum delle Culture del 2013 si sono addensati gli interessi, le consulenze e una pioggia di finanziamenti i quali hanno premiato, esclusivamente, un ristretto cenacolo di “artisti” assunti, all’onore delle cronache, alla stregua di nuovi giullari del principe.

Certo la posizione politica di Napoli non si piega è diversa ed antitetica a quella delle destre ed alla loro demagogia populista e stracciona.

Caldoro, Cosentino, Cesaro e il resto del blocco berlusconiano – attualmente – sia alla Regione Campania e sia in questa campagna elettorale comunale, contestano l’azione del centrosinistra auspicando (anzi per le competenze dell’Ente/Regione già sta avvenendo) una sostituzione delle vecchie consorterie affaristiche con uomini ed interessi legati alla propria sfera d’influenza.

Come è evidente non siamo in presenza di nessuna seria critica contenutistica, di valore etico e culturale ma si sta preparando, anche nel campo delle arti e della cultura, come dimostra plasticamente la vicenda del Teatro Trianon, la sostituzione dei componenti dei consigli di amministrazione e il dirottamento, verso i nuovi clienti, dei flussi di finanziamento.

Il tutto dentro una cornice teorica che punta al recupero dei peggiori stereotipi della napolitudine (vedi le dichiarazioni dell’Assessore Regionale alla Cultura, Marcello Taglialatela) dove prevalgono temi cari al clericalismo, al sessismo e ad una visione della dinamica dei rapporti sociali improntata al fatalismo ed all’accettazione passiva e subordinata dell’ordine sociale vigente.

In questo scenario suonano, per certi aspetti confortanti, le parole del critico letterario Goffredo Fofi che, in un recente Convegno a cui hanno partecipato altri intellettuali non allineati al pensiero unico della governance bassoliniana, ha dichiarato. “Anche la sinistra è composta di chiattili e ruffiani” riferendosi al personale politico che ha animato le esperienze e la gestione del governo negli ultimi decenni. E, come se non bastasse, ha aggiunto “Il bassolinismo e il berlusconismo hanno dimostrato di essere uguali” nel mentre, i vari interventi, passavano a rassegna gli autentici disastri realizzati negli ultimi anni non solo a Napoli ma in tutta la Campania.

L’indispensabile passione civile e l’auspicabile mobilitazione per smantellare una visione della promozione e produzione culturale ristretta nelle mani di pochi eletti rinchiusi nella torre d’avorio è un punto qualificante dell’iniziativa che sosteniamo, come Napoli non si piega, dentro ed oltre la campagna elettorale.

Ridare parola, visibilità e strumenti a quanti – in condizioni socio ambientali difficili – provano a mettere in circolazione una produzione culturale vera, la meno succube possibile dalla generale ondata omologante e la più legata alla vita reale (e ai sogni!).

Connettere e sviluppare al massimo la cooperazione tra quanti (associazioni, laboratori, gruppi di quartiere, individualità…) si cimentano con queste passioni e professioni ma sono stanchi di trasformarsi in sudditi supplicanti quando vogliono legittimamente accedere all’uso di fondi e strutture pubbliche.

Sviluppare lo scambio e la socializzazione artistica e culturale con soggetti e contesti ascrivibili, prioritariamente, ai paesi dell’area del Mediterraneo puntando soprattutto alle esperienze che lievitano dal basso e fuori dal grande business internazionale.

Fondando su questa impostazione programmatica siamo impegnati nei luoghi di studio, di ricerca, nei centri di produzione culturale e nella società ad affermare un valore di uguaglianza e di civiltà.

Acqua pubblica senza ambiguità e mistificazioni 

La battaglia dell’acqua pubblica è la battaglia dei cittadini contro i poteri forti, una battaglia che va dal basso verso l’alto, che ha tanto da insegnare per chi vuole invertire il lungo corso del degrado economico e civile in questa città. 

Reclamare il diritto all’acqua pubblica significa innanzi tutto farla finita con le forme di gestione privatistica – come le società per azioni – al fine di iniziare un grande dibattito in città sugli strumenti per una gestione pubblica, solidale e partecipata da parte dei cittadini e dei lavoratori del servizio idrico.

L’obbiettivo dei poteri forti nella nostra città è la costruzione di una grande azienda privata, una “multiutility, che gestisca acqua, rifiuti ed energia da lanciare sul mercato finanziario ed azionario consegnandola nelle mani di poteri forti ed alla speculazione.

Nella sostanza in questo si sostanziava il piano del Polo Energetico dell’ex Assessore del Comune di Napoli, Cardillo, ed in questa direzione si è collocata la proposta dei successivi assessori di “ingrandire” l’Arin anche ad altre attività.

Per tale motivazione appoggiamo i movimenti di protesta e di lotta per l’acqua pubblica. Movimenti che per più di due anni hanno chiesto al Comune un tavolo tecnico per vagliare le proposte di ritorno all’azienda speciale come strumento di gestione controllata. Una richiesta che non ha mai avuto risposte concrete e chiarificatrici al di là delle periodiche dichiarazioni d’intenti rilasciate ai media, dagli amministratori di Palazzo San Giacomo, “a difesa dell’acqua pubblica”

Fino a quando l’Arin sarà retta da una forma societaria caratterizzata come una società per azioni, anche se formalmente di “proprietà comunale” i rischi di privatizzazione ulteriore sono sempre dietro l’angolo e torneranno a palesarsi con più spregiudicatezza e violenza.

Con i prossimi referendum sull’acqua si apre una grande possibilità affinché anche a Napoli ed in tutta la Campania si possa iniziare il percorso verso una gestione pubblica dell’acqua.

Vincere i referendum, costruire attorno a questo appuntamento una forte mobilitazione di popolo, è la condizione fondamentale, ma non basterà a bloccare del tutto le spinte affaristiche dei privatizzatori, dovremo ancora vigilare affinché sia salvaguardata la volontà popolare e si mettano in campo, con il protagonismo dei movimenti per l’acqua, esperimenti di gestione pubblica partecipativa.

L’uso antisociale dell’emergenza/rifiuti 

Oltre un decennio di Emergenza/Rifiuti hanno profondamente segnato Napoli, la sua area metropolitana e l’intera Regione Campania. Un gigantesco affare che ha fatto il giro del mondo e che ha coinvolto, a vario titolo, istituzioni, sistema dei partiti, mondo imprenditoriale, le diverse organizzazioni criminali e che ha contribuito, non poco, al generale declino etico, politico, economico ed ambientale della città.

Attorno a tale questione – che per molti aspetti richiama i limiti economici e di sostenibilità del modo di produzione capitalistico – si sono cimentati governi ed amministrazioni di centro destra e di centro sinistra, commissari straordinari di vario tipo, vertici dell’Esercito e della Protezione Civile. Insomma neanche la più sofisticata e complessa gestione bipartizan e consociativa, a Napoli come a Roma, non è stata in grado di affrontare risolutamente questa questione la quale, ad ogni intoppo della precaria filiera del ciclo dello smaltimento dei rifiuti, scoppia con il suo metilico corollario di mondezza e di veleni disseminati ovunque.

Sul tema dell’Emergenza/Rifiuti esiste un ampia e documentata pubblicistica, spesso redatta dagli attivisti e dalle comunità popolari che hanno dato corpo a mobilitazioni, a vertenze ed a vere e proprie rivolte, a difesa della salute, dei territori e del diritto alla vita. A questa narrazione rinviamo per il necessario approfondimento e per ricostruire, anche sul piano, della verità storica le lotte che negli ultimi anni hanno attraversato Napoli e la regione.

Napoli non si piega e i compagni che animano questa esperienza si riconoscono in questo percorso conflittuale e nelle importanti elaborazioni che i movimenti (..a partire dall’obiettivo di Rifiuti Zero) hanno elaborato collettivamente. In questi appunti vogliamo ribadire alcune idee/forze le quali – tra l’altro – sono il motore delle rivendicazioni e del protagonismo dei comitati e delle assise di cittadini stanchi di pagare un costo sociale economico ed ambientale non più accettabile.

Per cui, per davvero, senza se e senza ma:

  • Basta con la filosofia dell’incenerimento e della termodistruzione dei rifiuti, basta con l’apertura delle discariche e con il trasferimento dei rifiuti da un territorio ad un altro;
  • Avvio immediato, a partire dai grandi quartieri popolari, della Raccolta Differenziata dei Rifiuti, utilizzando le competenze e le professionalità acquisite dai lavoratori socialmente utili, dai precari dei vari di progetti di formazione lavoro (tra cui i disoccupati/lavoratori del Progetto Bros) e delle associazioni ambientali indipendenti che agiscono sui territori;
  • Nessun inceneritore né a Gianturco e né altrove ma realizzazione immediata di isole ecologiche e impianti di compostaggio di piccole dimensioni;
  • Messa in sicurezza e bonifica vera del territorio avvelenato ed inquinato da anni di sversamenti abusivi ed illegali a partire dall’operato criminale – anche se mascherato da “accordi legali” – dei grandi gruppi imprenditoriali del Nord, con i loro referenti politici e delinquenziali del meridione d’Italia;

Per concludere:

volutamente non ci siamo dilungati su tutto l’arco delle questioni, tra cui il grande affaire della Sanità e l’opera di demolizione in corso del servizio pubblico. Un nodo cruciale che se da un lato attiene all’azione amministrativa della Regione dall’altro comporta ricadute materiali importanti (chiusura degli Ospedali e dei presidi territoriali, aumento dei ticket, tagli dei servizi) sull’area metropolitana.

In questo contesto consideriamo positive le iniziative, che nei mesi scorsi, a Napoli e nelle altre province della Campania sono state proposte e praticate dal Comitato di difesa della Sanità Pubblica il quale attraverso una raccolta di firme e manifestazioni in alcuni territori ha posto il tema della mobilitazione contro i tagli varati dall’amministrazione regionale di Caldoro e contro le inadempienze che, anche l’amministrazione partenopea, ha maturato su questo versante.

In definitiva riteniamo che la movimentazione politica che auspichiamo, anche attraverso l’esperienza di Napoli non si piega, possa offrire ai compagni e agli attivisti sociali alcuni elementi di discussione per favorire, anche tendenzialmente, la costruzione organizzata del conflitto metropolitano il quale resta – prioritariamente – l’elemento costitutivo del nostro agire politico e sociale fuori da ogni suggestione elettoralista.

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