Menu

TAV ed emergenza rifiuti: due facce della stessa medaglia

 

In Campania siamo nuovamente, per l’ennesima volta, in una situazione insopportabile, sia sotto il profilo sociale che quello ambientale, per la popolazione campana e in particolare per quella napoletana, di mancanza di smaltimento dei rifiuti con tonnellate di immondizia che staziona per le strade della città. Un “film” già visto e che ora si ripropone in tutta la sua drammaticità. Il Governo Berlusconi lo ha affrontato già in passato in modo demagogico, non risolutivo, apparente e momentaneo, lo stesso sta rischiando di fare la neo Giunta comunale di De Magistris: eloquenti i suoi proclami di qualche giorno fa di risolvere il problema in cinque giorni senza però neanche avere i mezzi di cui poteva disporre il Governo Berlusconi. Si continuano a proporre soluzioni fuorvianti, pericolose e dannose come l’apertura di nuove discariche, la costruzione e il potenziamento degli inceneritori (anche se tentano un azione accattivante chiamandoli termovalorizzatori). La popolazione campana si ribella, è ne ha tutto il diritto, di fronte a chi non ha il coraggio e/o la volontà politica di prendere il toro per le corna.

Situazione analoga in Val di Susa dove si vuole costruire la linea ferroviaria ad alta velocità che collega Torino a Lione, parte del “Progetto Prioritario 6” finanziato dall’Unione Europea che attraversa trasversalmente il continente fino al confine ucraino. Le popolazioni locali resistono opponendosi al progetto di devastazione ambientale e sociale che colpirà i loro territori, lo fanno da anni e lo stanno facendo in questi giorni. Anche in questo caso un neo eletto sindaco di centro-sinistra, Piero Fassino, non si oppone, anzi l’inizio dei lavori e la violenza della polizia di lunedì mattina contro i manifestanti dei presidi in Valle.

In Campania solo la produzione di rifiuti urbani è pari a quasi 3.000.000 di tonnellate annue, circa un chilo e 500 grammi pro-capite al giorno, di questi circa il 35% è composta da sostanze organiche, costituendo così la frazione più rilevante, prima ancora della carta e cartone, della componente indifferenziata e di plastica, vetro, metalli, legno, tessili e ingombranti messi assieme. La Campania non è dotata di nessun sistema di trattamento dei rifiuti organici (siano essi di compostaggio o digestione anaerobica), per questo vengono inglobati nelle cosiddette “ecoballe”, aumentandone fortemente il grado di umidità e quindi non trattabili negli inceneritori, stazionando così, in centinai di migliaia di metri cubi, per le campagne della regione. Oppure smaltite in discariche per la maggior parte fuori norma e che si vogliono ampliare, con tutti gli evidenti problemi di inquinamento da percolato, di odori molesti e dei potenziali problemi sanitari per le popolazioni locali. Parallelamente a questo si vuole dare avvio alla messa in esercizio di altri tre inceneritori oltre a quello di Acerra (Napoli Est, Salerno, Giugliano), per la gioia delle lobby economiche a questi interessati e dei loro protettorati politici. Gli impianti di incenerimento (anche i cosiddetti termovalorizzatori, che a differenza dei semplici inceneritori producono anche energia elettrica ma non diminuiscono l’emissione di inquinanti) produco diossine, furani, ceneri contenenti mercurio, cadmio, nichel, zinco, cromo, ferro, argento, arsenico, stagno. Autorevoli studi medici ed epidemiologici stabiliscono che in prossimità di inceneritori, il rischio di leucemie e cancri aumenta vertiginosamente. A questi gravi danni per la salute pubblica vanno aggiunti quelli ambientali di deposito di tali elementi nei terreni e nelle acquee, oltre alla produzione elevata di CO2. Un quadro aggravato dall’opera delle “ecomafie” che “aprono” continuamente discariche illegali dove smaltire i rifiuti di industriali conniventi, del sud e prevalentemente del nord, che eludono così le leggi ambientali con sostanziali risparmi di denaro.

A fronte di un quadro di questo tipo le popolazioni campane e i comitati locali chiedono da anni un piano regionale di smaltimento e trattamento dei rifiuti, basato prevalentemente sulla raccolta differenziata, sul riciclaggio e il compostaggio che è rimasto totalmente lettera morta.

La linea ad alta velocità Torino-Lione (anche se sarebbe più corretto dire Settimo Torinese-Lione) prevede poco più di 250 km di tratta ferroviaria. Di questi, solo nel tratto in territorio italiano lungo 69 km (43 km di tratta italiana più 26 km di tratta internazionale su territorio italiano), circa 50 km dovrebbero passare in un totale di 5 gallerie a doppia canna di circa 9 metri di diametro ciascuna, oltre ad alti 50 km di gallerie per servizi vari (ventilazioni, ispezione, camini, discenderie, rifugi, ecc.). In alcune parti della tratta internazionale, le gallerie passeranno a circa 2.500 metri di profondità sotto le montagne alpine. Per costruirla saranno necessari milioni di metri cubi di calcestruzzo, tra rivestimenti delle gallerie e viadotti, che saranno realizzati con materiali ricavati in parte dal materiale di risulta dello scavo delle gallerie, in parte da cave apposite lungo il fiume Po. Nella tratta internazionale, che percorre in parte anche il territorio italiano, si prevede il passaggio di quasi 300 treni al giorno tra passeggeri e merci (1 treno ogni 4,8 minuti circa), e sulla tratta italiana circa 270 al giorno (1 treno ogni 5,3 minuti circa). Questo solo per citare alcuni dati tecnici, che danno comunque l’esatta misura dell’impatto ambientale e sociale della TAV Torino-Lione, sia per la costruzione che quando sarà in esercizio. Infatti avrà un impatto ambientale pesante per l’inquinamento da rumore e vibrazione che colpirà tutte le forme di vita lungo il tragitto e comporterà nuove pericolose variazioni dell’equilibrio idro-geologico; violenterà il territorio con “corridoi di servizio industriale” larghi almeno 300 metri, fasce in cui risulterà distrutta qualsiasi possibilità presente e futura di abitare o svolgere attività economiche; richiederà finanziamenti pubblici ingentissimi, dell’ordine di miliardi di euro; prefigura investimenti fortemente concentrati la cui gestione costituisce ormai, di regola, terreno fertile per la corruzione e le infiltrazioni mafiose; porterà elevati profitti a speculatori e costruttori, ma successivamente, in esercizio, sarà con molta probabilità economicamente in perdita come dimostrano grandi opere simili (ad esempio il tunnel della Manica), e perciò richiederà altro denaro pubblico per coprire il deficit.

In sostanza, due questioni, come molte altre, che hanno tutto il loro carattere completamente inquadrabile all’interno della contraddizione capitale-natura all’interno dell’attuale modello di sviluppo.

La produzione capitalista ha la necessità di compiere la fase ultima della rotazione del capitale, attraverso la circolazione delle merci e quindi la commercializzazione di queste. Le merci, nel sistema capitalistico, hanno bisogno di circolare, come hanno bisogno di circolare i mezzi di produzione quali la forza lavoro, le materie prime, l’energia. La circolazione delle merci in questo sistema economico/sociale è necessaria alla loro valorizzazione e commercializzazione. Inoltre anche se è nella produzione di una merce che risiede il profitto e non nella commercializzazione, più sarà rapida e maggiore la sua circolazione e la sua commercializzazione più cicli di rotazione del capitale si compiranno e quindi maggiori saranno i profitti. In questo si comprende anche la realizzazione della TAV, come si comprende la produzione dei rifiuti, e quindi la necessità del loro smaltimento attraverso la creazione di sempre più discariche o degli inceneritori, in un sistema che accelera la circolazione delle merci e la riduzione, indotta o reale, della vita di queste, accelerando quindi il loro consumo. La sovrapproduzione di rifiuti è il prodotto della commercializzazione della produzione capitalista che deve indurre necessariamente al consumismo.

Il capitalismo non solo include la natura, ma anche la subordina ai disegni della produzione del plusvalore e della valorizzazione del capitale, non ponendosi limiti, piegandola alle sue necessità: la produzione capitalista si nutre di un mondo naturale a lui necessario su grande scala. Come non si pone limiti sulle questioni ambientali e sociali in generale, tra cui la salute pubblica e la devastazione dei territori.

La sfida crediamo quindi risieda nella percezione unificante del conflitto, nella costruzione di un soggetto di trasformazione. politica e sociale. Sta qui l’elemento che unisce le lotte della popolazione della Val di Susa a quelle di Napoli e dei comuni vesuviani.

Due facce della stessa medaglia!

* Rete dei Comunisti

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *