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Usa. Causa legale per brutalità poliziesca contro indignados

Al via a New York un’azione legale contro la polizia in seguito ai maltrattamenti dei manifestanti di Occupy Wall Street. Un avvocato specializzato in abusi commessi dalle forze dell’ordine, Ron Ruby, ha chiesto formalmente al procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance, l’apertura di un«’inchiesta completa e dettagliata» per fare luce sui maltrattamenti subiti dal suo assistito, Felix Rivera Pitre, venerdì scorso.

Dal video pubblicato sul sito ‘the Gothamist ‘ che segue con attenzione il movimento Occupy, è possibile identificare l’autore dei maltrattamenti, il vice ispettore Johnny Cardona, mentre afferra Rivera da dietro, lo gira e poi gli dà un pugno in faccia che lo fa cadere. Cardona, come risulta da un secondo video, analizzato dallo studente di legge in Florida, ma vicino al movimento ‘Occupy Wall Street«, Charlie Grapski, è stato protagonista di un altro episodio ai danni di una ragazza, che getta a terra prima di arrestarla.

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La testimonianza di una ragazza italiana, arrestata a New York, su Repubblica.

Il mio arresto a New York, pensando a ciò che accadeva a Roma

Ammanettata e portata in un ufficio di polizia perché non mi ero rapidamente spostata su un marciapiede invaso dagli indignados americani in Times Square. Nessuna violenza da parte dei manifestanti, ma in 45 siamo finiti lo stesso in una cella

di GIULIA BELARDELLI

NEW YORK – So bene che quello che mi è successo ieri sera è nulla, rispetto al delirio e alla guerriglia di Roma. Però lo racconto lo stesso 1) perché mi ha scioccato; 2) perché mi ha fatto riflettere molto, soprattutto pensando all’Italia. Ieri sera, con la minacciosa mole del mio metro e 58, sono stata arrestata. Non avevo disubbidito alle forze dell’ordine (anzi!) e non avevo compiuto azioni violente. Stavo semplicemente cercando di uscire dalla manifestazione di Times Square con una macchinetta fotografica al collo. Cercavo immagini e parole che mi ridessero speranza dopo aver visto la mia città in fiamme alla televisione.

Verso le 18:30 avevo lasciato la piazza e mi ero messa sulla 46esima strada insieme a due amici. Avevamo un cordone della polizia dietro che invitava la gente ad allontanarsi da Times Square dirigendosi verso est. Noi stavamo camminando insieme agli altri, qualcuno chiedeva ai poliziotti il perché di quell’ordine, visto che nessuno si era comportato in maniera violenta. “We have to clear the street, move folks, let’s move!”, era la risposta.

Poi, improvvisamente, il delirio. Ci hanno ordinato di spostarci verso sinistra e andare tutti sul marciapiede. Siamo andati e ci siamo fermati qualche secondo, giusto il tempo di rimanere imbottigliati in una calca incredibile. Cercavo in tutti i modi di uscirne e dirigermi verso la 6th Avenue, ma niente: ormai la polizia ci aveva stretto sotto un’impalcatura, mettendosi di lato e davanti. Una specie di rettangolo in cui eravamo in trappola. Stavo quasi finendo per terra quando un agente mi ha preso per un braccio. Lì per lì sono stata sollevata: pensavo che mi volesse aiutare a uscire. Invece mi ha storto l’altro braccio e infilato (male, tra l’altro) delle manette di plastica. Ero in arresto!

Continuavo a dirgli che non c’entravo nulla, che stavo cercando di uscire da lì, che sono italiana e blablabla. Niente da fare, in uno stato abbastanza pietoso mi ha buttato sul camioncino. Invano provavo a ripetere la solfa agli agenti di guardia, poi ho capito che era inutile. Hanno caricato una decina di donne e siamo partiti verso la stazione di polizia di Pearl Street a Downtown (ma questo l’ho scoperto dopo). Durante il tragitto ho realizzato che le manette mi stavano tagliando il polso. Le altre erano state più fortunate, alcune erano riuscite a togliersi le mani da dietro la schiena e a portarle avanti. Con l’aiuto di una ragazza senegalese (più spaventata di me, lei era appena scesa dall’aereo) ho fatto un paio di telefonate deliranti. Poi tutti in fila nel cortile per le foto segnaletiche, donne da una parte, uomini dall’altra.

Avrò dato le mie generalità una decina di volte e cambiato due-tre celle. Non so quante mani si sono passate il mio zaino. Mi hanno fatto togliere la felpa perché aveva dei lacci con i quali avrei potuto impiccarmi. Era la prima volta che entravo in una prigione in vita mia e mai avrei pensato di finirci come prigioniera. Cercavo di incrociare lo sguardo dei poliziotti, in molti lo distoglievano. Nel mio caso non risultava il nome dell’agente che mi aveva arrestato, per cui me ne hanno appioppato uno, il più grosso di tutti. Credo di aver fatto una foto segnaletica anche insieme a lui.

Dopo quasi cinque ore in cella e il divieto di proferire parola, mi hanno lasciato andare. Ho chiesto a un passante in quale parte di New York mi trovassi e quello mi ha risposto, prendendomi per pazza. Tra qualche settimana dovrò comparire di fronte alla Criminal Court di New York per rispondere di una “crinimal charge” mossa contro di me. Non so se ci sarà una multa da pagare, se avrò bisogno di un avvocato o avrò problemi con il visto. Da un lato mi dico di no, visto che non ho fatto assolutamente nulla di male.

Insieme a me sono state arrestate circa 45 persone; un’altra trentina in zona Washington Square. Alcune avevano dormito a Zuccotti Park negli ultimi giorni ma la maggior parte erano solo dei “supporter”. Durante la ressa, sotto quell’impalcatura, c’è chi ha preso manganellate e cazzotti in faccia. Ho visto gente arrivare in caserma con il sopracciglio spaccato e i vestiti a brandelli. Oggi leggo che a Roma, dopo tutta quella devastazione, ci sono stati qualcosa come 12 arresti e 20 fermi. Mi sento doppiamente spiazzata. Guardo all’Italia e non la riconosco: la mia generazione non è cresciuta con l’odore acre dei lacrimogeni, certe scene le ho visto solo nei film. Poi penso a questo Paese e al primo emendamento della sua Costituzione, e pure mi sento tradita. Cosa bisogna fare per essere parte della società civile e non farsi trascinare come pecore dalla storia? Ditemelo voi che avete fatto il Sessantotto. Io non ci capisco più molto.

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