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Nicaragua. La terza volta di Daniel Ortega

La terza volta di Daniel Ortega
ARTICOLO

Daniel Ortega ha giurato come presidente ieri in una Plaza de la Revolucion di Managua addobbata di fiori, quasi a ricordare le nuove parole d’ordine che l’ex-leader guerrigliero e sua moglie Rosario Murillo (che è anche poderosa portavoce presidenziale), hanno impresso alla loro longeva azione politica: amore per dio e per gli uomini, benessere, pace, solidarietà, peace and love (per la gioia del vecchio cardinale Obando y Bravo, il nemico acerrimo d’altri tempi divenuto buon amico della coppia presidenziale). La piazza era gremita ma l’opposizione ha disertato la cerimonia di investitura, in polemica prima per la (ri)candidatura di Daniel (cui una Corte suprema molto amica aveva decretato l’inapplicabilità degli articoli della costituzione che impedisce più di due mandati presidenziali per di più non consecutivi), poi per l’esagerata vittoria nelle elezioni di novembre. Allora il candidato del Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln), dato largamente in testa da tutti i sondaggi, fu decretato vincitore con oltre il 62% del voto. Una quantità apparsa eccessiva e considerata, dall’opposizione, fraudolenta.
Ad accompagnarlo sul palco di Managua c’erano una decina di capi di stato e affini, fra cui quelli degli altri paesi centro-americani e il principe ereditario spagnolo Filippo di Borbone. Ma le star, a fianco di Daniel, erano altre due: il venezuelano Hugo Chavez, il grande benefattore di Ortega, e l’iraniano Mahmoud Ahmadi Nejad, impegnato in una tournée latino-americana che lo porterà oggi all’Avana dove incontrerà Raul e anche Fidel Castro. Chavez è stata una vera manna per Ortega da quando è tornato al potere, dopo diversi tentativi falliti, nel 2007 (prima lo aveva esercitato per 11 anni dal ’79, vittoria nella guerra di liberazione e cacciata di Somoza, fino al ’90, quando fu sconfitto a sorpresa dalla signora Violeta Chamorro ma soprattutto dalla guerra sporca dei contras foraggiati da Ronald Reagan). Le cifre sono naturalmente ufficiose ma si parla di 500 milioni do dollari l’anno con cui il Venezuela chavista ha sostenuto a vario titolo il programma e il governo di Daniel. Soldi, quelli del Venezuela e anche quelli dell’Iran, che sono serviti a fare la fortuna del business nica (schierato per la prima volta, in novembre, a fianco dei sandinisti un tempo temutissimi «comunisti»), della nomenclatura sandinista (almeno stando alle malelingue) e anche per lanciare una serie di programmi sociali in favore degli strati più poveri della popolazione (sempre stati massicciamente al fianco del Fsln).
Il risultato, ritrmi di crescita alti (intorno al 4.5% l’anno), consensi vasti per Daniel (e Rosario) che non promette ora, logicamente, «grandi cambiamenti» per i prossimi 5 anni. E perché dovrebbe? m.m.

 

da “il manifesto”

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