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A Nairobi si spara ancora. Molte le zone d’ombra

Un’esplosione e colpi d’arma da fuoco sporadici sono stati uditi all’alba in provenienza dal centro commerciale Westgate di Nairobi dove, secondo fonti di sicurezza locali, le forze speciali keniane stanno combattendo “contro uno o due assalitori” localizzati nei piani superiori dell’edificio. Eppure già ieri sera il governo aveva assicurato che “la situazione è pienamente sotto controllo” e che le forze speciali “non incontrano più alcuna resistenza” all’interno del Westgate, teatro di un attacco terroristico dal pomeriggio di sabato. Sul suo account Twitter il ministero dell’Interno ha precisato che “le nostre forze stanno accuratamente controllo l’edificio”, aggiungendo che “pensiamo che tutti gli ostaggi sono stati liberati”. A questo punto rimane incerta la sorte della sessantina di persone disperse così come l’entità dell’operazione di sicurezza ancora in corso. Gli assalitori potrebbero anche aver nascosto ordigni all’interno del centro commerciale.

Nell’attacco, secondo l’ultimo bilancio ufficiale diffuso dalle autorità keniane, sono rimaste uccise almeno 62 persone mentre i feriti sarebbero 200. Tra le vittime è stata confermata la presenza di 16 cittadini stranieri, tra cui sei britannici, due indiani, due canadesi, un sudafricano e un peruviano. Dieci sospetti sono stati arrestati “per un interrogatorio” sull’attacco rivendicato dagli insorti somali di Al Shabaab.

Altrettanto incerte sono le informazioni in circolazione sull’identità degli assalitori, di cui tre sarebbero rimasti uccisi, e sulla loro sorte. Secondo il centro keniano di gestione delle crisi, “lo statuto degli elementi ostili rimane tutto da confermare” mentre il ministro dell’Interno Joseph Ole Lenku ha precisato che tutti i terroristi “di diverse nazionalità erano uomini, tra cui alcuni si erano vestiti da donna”. Da New York, dove parteciperà all’Assemblea generale dell’Onu che si apre oggi, il ministro keniano degli Esteri, Amina Mohamed, ha dichiarato che tra gli assalitori c’erano due o tre giovani statunitensi di origine somala e una donna britannica “già coinvolta più volte in atti terroristici simili”. La presunta sospetta, sulla quale sta indagando la polizia keniana, si chiama Samantha Lewthwaite, vedova di uno dei kamikaze degli attentati di Londra del 2005. In un’intervista rilasciata all’emittente panaraba Al Jazeera, il capo della diplomazia keniana ha sottolineato che “al Shabaab non ha agito da solo (…) l’assalto di Nairobi fa parte di un campagna internazionale di terrorismo da parte di Al Qaida”. I miliziani somali al Shabaab hanno legami con al Qaida e in passato avevano più volte minacciato attentati sul territorio se Nairobi non avesse ritirato le proprie truppe dalla Somalia.

Nelle prossime ore il presidente keniano Uhuru Kenyatta si esprimerà ufficialmente sulla situazione. In un intervento televisivo il suo vice, William Ruto, ha ribadito che “il terrorismo va combattuto e sconfitto” e che il Kenya “difenderà il suo territorio ad ogni costo”, ringraziando il popolo keniano per “la solidarietà e i sacrifici patiti”. Dal canto suo il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha insistito sul fatto che al Shabaab “rappresenta una minaccia per il continente africano e per il mondo intero” e ha rinnovato l’impegno del suo governo “a fare della sicurezza l’intervento prioritario” per ricostruire il paese del corno d’Africa.

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Addis Abeba e Kampala sono in stato di allerta: l’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi, ancora in corso al quarto giorno e con un bilancio di almeno 62 morti e centinaia di feriti ha rimesso in agitazione i comparti della sicurezza di tutta l’Africa orientale.
Uganda ed Etiopia, in particolare, sono in prima linea: entrambe combattono al fianco dei soldati somali e del governo di Mogadiscio contro al Shabaab e il fatto che gli insorti islamisti abbiano colpito al cuore la capitale keniana alimenta il timore dell’inizio di una ‘strategia regionale’ da parte dei miliziani.
A Kampala, questa mattina, gli ugandesi hanno trovato posti di blocco negli snodi principali e nei pressi delle sedi governative. Secondo Paddy Ankunda, portavoce dell’esercito, “si tratta dell’attivazione di un protocollo di emergenza” ideato dopo il doppio attentato che, nel 2010, causò 77 vittime tra gli spettatori di una partita di calcio della coppa del mondo in un luogo di ritrovo della capitale.
Ad Addis Abeba intanto, il principale partito di opposizione Medrek ha diffuso una nota in cui chiede il ritiro dell’esercito nazionale dalla Somalia. “Finchè i nostri soldati rimarranno sul territorio – ha spiegato un responsabile del partito al Sudan Tribune – il nostro paese sarà un bersaglio privilegiato dei terroristi”.
Dopo una prima campagna militare, dal 2006 al 2009, le truppe di Addis Abeba hanno varcato nuovamente la frontiera nel 2012, per sostenere l’offensiva contro al Shabaab, in particolare nelle regioni occidentali della Somalia.
Gli insorti hanno minacciato più volte l’Etiopia, affermando di voler vendicare “l’invasione” ma finora il paese non è stato bersaglio di attacchi.

Notizie riprese dall’agenzia http://www.misna.org

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