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India. Toyota non ottiene il “pentimento” dei lavoratori

Blocco finito, la produzione può riprendere, gli operai possono tornare al lavoro. Non prima, però, di aver sottoscritto una sorta di “garanzia di buona condotta” ad personam. La maggior parte degli operai rifiuta di firmare e non torna in fabbrica.

Toyota Kirloskar Motor India (Tkm), sussidiaria della casa automobilistica nipponica che il 16 marzo scorso dopo scioperi, proteste e un lungo braccio di ferro con il sindacato aveva deciso di chiudere i due stabilimenti nello stato del Karnataka, vicino Bangalore e di mandare a casa circa 6.400 lavoratori, dopo 8 giorni di chiusura ha deciso di riprendere la produzione e il 24 marzo ha “invitato” i lavoratori a tornare in fabbrica. A condizione, però, di quell’impegno scritto sulla “buona condotta” e dopo aver licenziato 17 lavoratori sindacalizzati.

Più di qualcuno ha firmato e ha varcato i cancelli, ma la maggior parte – il 65 per cento della forza lavoro, vale a dire circa 4.200 persone – si sono rifiutati di tornare nelle due fabbriche e continuano a scioperare, rivendicando migliori condizioni di lavoro e un salario più alto. Il sindacato continua a dirsi disponibile ad un confronto con l’azienda – ricordiamo che la trattativa va avanti da 10 mesi e che ci sono stati sette incontri al ministero del lavoro di Karnataka – ma senza ricatti e condizioni imposte e chiede la revoca del licenziamento dei 17 lavoratori.

Intanto, visto che il blocco ha significato perdite in termini di profitto e che il braccio di ferro diventa sempre più duro, Toyota Kirkoskar Moror India corre ai ripari, come può correre ai ripari, in questo caso, il padrone di turno. Visto che per riavviare la produzione e tornare a sfornare automobili – 310.000 unità l’anno, prima del blocco, soprattutto per il mercato interno – le maestranze sono insufficienti, Tkm ha annunciato la contrattualizzazione di altri 1.000 lavoratori – in sostituzione di chi è in sciopero – che si vanno ad aggiungere ai 2.000 apprendisti che Tkm sta utilizzando dal momento della riapertura delle due fabbriche. E la lotta continua.

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