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Turchia: editorialista critica censura, costretta a lasciare

L’editorialista di un quotidiano turco ha verificato in prima persona la correttezza della sua tesi sull’assenza di libertà di stampa in Turchia, dopo che il quotidiano per cui lavorava ha rifiutato di pubblicare un suo pezzo sul tema. Gonul Tol, un’accademica che lavora a Washington, ha interrotto la sua collaborazione con il quotidiano Aksam per preservare la propria “etica professionale” al termine di una vicenda che ha provocato un acceso dibattito sui media turchi. “Il fatto che il mio pezzo non sia stato pubblicato dimostra ancora una volta l’ovvio” ha detto Tol ad Afp.

L’articolo si concentrava sulle reazioni a un rapporto di Freedom House, secondo il quale il Paese ha assistito al più grave peggioramento della libertà di stampa in Europa. L’ong con sede negli Usa, che si occupa di vigilare sulle libertà di stampa, ha declassato lo status della stampa in Turchia da “parzialmente libero” a “non libero”, mettendo il paese nella stessa categoria di Libia, Sud Sudan, Ucraina e Zambia, dopo che un numero altissimo di giornalisti è finito dietro le sbarre.

Il governo di Recep Tayyip Erodgan ha respinto con rabbia il rapporto, accusando Freedom House di orchestrare una campagna per dipingere la Turchia come un regime autoritario che imbavaglia la stampa. Ma quel che ha irritato in particolare Tol sono state le accuse, sollevate dalla stampa filogovernativa, che il declassamento fa parte di un complotto ebraico per infangare il Paese a maggioranza musulmana. “Facciamo un test sul rapporto” scrive Tol nel suo editoriale respinto, che è stato poi pubblicato su altri media online. “Se questo pezzo viene pubblicato così com’è, senza interventi dei capiredattori, allora la libertà di stampa in Turchia è superiore a quanto che afferma Freedom House”.

Hasan Karakaya, editorialista del quotidiano islamico Yeni Akit, ha accusato Freedom House di mettere Israele in buona posizione nella sua classifica, perchè il suo presidente è ebreo e Israele sostiene finanziariamente l’ong. “Ci si può aspettare che la Turchia finisca in buona posizione nel rapporto di Freedom House sui media mondiali quando David Kramer, un ebreo, o James Woolsey, un capo della Cia, o Donald Rumsfeld, un barone del settore farmaceutico, sono alla guida dell’ong?” ha scritto, non senza argomenti. Ma i fatti parlano da soli: la Turchia è il paese al mondo con il più alto numero di giornalisti detenuti e negli ultimi anni non si contano i giornalisti cacciati dai loro direttori per motivi politici e i media – tv, giornali, radio, riviste – chiusi grazie a una legislazione ‘antiterroristica’ che dà mano libera al governo.

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