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Lager Fiat. La situazione di Melfi

Melfi, la verità degli operai
di Michele Azzu da: l’Espresso online

Dipendenti malati di tumore spostati in reparti pericolosi. Come ritorsione per aver difeso i colleghi licenziati. E’ l’accusa che viene dallo stabilimento Fiat in Basilicata. Dove si parla anche di ricatti e minacce da parte dei ‘preposti aziendali’. E spunta un audio registrato di nascosto, dove un caporeparto ammette le discriminazioni politiche

Comincia tutto con un flash. Davanti alla macchina fotografica ci sono gli operai con le magliette rosse Sata, il direttore sta nel mezzo e tiene le braccia conserte sul doppiopetto. Sulla sinistra si vede una vecchia Punto, col numero uno sul parabrezza, al lato opposto c’è la nuova Punto. Era il maggio del 2010, e allo stabilimento Fiat Sata di Melfi si raggiungeva il traguardo dei cinque milioni di auto prodotte, che faceva della fabbrica uno dei siti automobilistici più produttivi al mondo.

Le foto sono fatte così: un giorno le guardi e ti rendi conto che tutto è cambiato. E anche se è passato solo un anno e mezzo da quel giorno di festa, a Melfi gli operai non sorridono più. Gli italiani hanno visto nel servizio di Claudio Pappaianni, andato in onda su Servizio Pubblico di Michele Santoro, il preposto aziendale Francesco Tartaglia minacciare un operaio: «Io ti stacco la testa e la appendo in piazza». Tartaglia è lo stesso che la sera del 14 luglio 2010 fece partire la contestazione che portò al licenziamento di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, della Fiom, colpevoli di aver «interrotto la produzione» con uno sciopero.

Melfi è un antico paese lucano, su cui domina il castello, che la notte rimane illuminato. Da lì i normanni potevano vedere cosa accadeva nel paese, e se vi affacciate oggi e guardate a valle potrete vedere cosa succede nello stabilimento Fiat Sata. A un chilometro dalla fabbrica c’è un capannone isolato, la ex Itca, dove vengono trasferiti gli iscritti Fiom o gli attivisti, dice il segretario lucano Fiom Emanuele De Nicola: «Abbiamo denunciato come sindacato quei trasferimenti, con cui si vuole confinare chi è tesserato al nostro sindacato». Secondo De Nicola: «Sono una decina i licenziati della Fiom dal 2010, mentre con la “mobilità interna” chiunque può essere spostato di reparto senza preavviso».

Come Marco Forgione, anche lui della Fiom, che a 30 anni ha avuto un tumore ai polmoni: «La mia cartella clinica dice che non posso stare vicino alle polveri e ai solventi», dice, «ma mi hanno messo in lastratura, alla Itca, dove non posso respirare bene». Marco chiede spiegazioni del trasferimento al caporeparto, che ammette: «Vi hanno messo qui perché appartenete a quella sigla sindacale».

Alle polveri della saldatura della ex Itca, hanno trasferito anche Michele Corbusiero, che nel 2010 ha avuto un infarto: «Io sto male al lavoro, e nonostante il certificato medico mi lasciano lì. Un preposto aziendale dovrebbe occuparsi della produzione», continua, «ma qui a Melfi ha potere di vita e di morte su tutti noi». Gli operai Fiat, gli stessi che posavano in quella vecchia foto, ora denunciano una situazione drammatica: «Siamo trattati come schiavi, siamo carne da macello. A Melfi se vuoi continuare a lavorare», dice ad esempio Lucio Schirò, operaio: «Non devi vedere, sentire e parlare». Ma ora, molti operai, a stare zitti non ce la fanno più.

L’udienza e la ritorsione
Marco Forgione, si diceva, è stato operato per un cancro ai polmoni e adesso è invalido al 75 per cento. Ha 30 anni, un grosso cane e – dice – ha «Sempre lavorato sodo». Però non deve stare esposto a fumi, polveri sottili, solventi. Infatti era stato assunto come categoria protetta e lavorava in catena di montaggio da sette anni. «Senza mai saltare un giorno», racconta: «Andavo a lavorare anche con la febbre, non mi vergogno a dirlo». Poi accade qualcosa. Nel luglio 2010 tre operai vengono licenziati per avere bloccato la produzione con uno sciopero. Inizia il processo e alcuni colleghi vanno a testimoniare a favore dei tre. Tra loro, Marco. Che ne paga le conseguenze: «Mi hanno trasferito in lastratura alla ex Itca, per allontanarmi dalla catena di montaggio», dice, «come hanno fatto con altri della Fiom, e lì sto a contatto con le polveri che non posso respirare».

Il gestore operativo, invece di rimetterlo al montaggio, lo dichiara ‘incollocabile’. Marco si lamenta col suo caporeparto Gaetano Perrini, in questa discussione registrata: «Aggravare la mia condizione di salute significa non potere più tornare indietro». Il caporeparto, che nella conversazione dice di non avere deciso lui il trasferimento, risponde: «Voi avete pagato delle colpe perché appartenete a una sigla sindacale […] Non è per altri motivi che vi trovate qua».

https://www.youtube.com/watch?v=339PKZb2Jb4

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