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Ospedale religioso truffa la Regione Puglia: arrestato il prete fiduciario


Svolta nelle indagini sul lebbrosario fantasma Miulli di Gioia del Colle (Bari) con l’arresto di monsignor Domenico Laddaga, reggente fiduciario dell’ente ecclesiastico da oltre venti anni, e di Saverio Vavalle, dirigente della Colonia hanseniana. L’ospedale con sede legale in Acquaviva delle fonti (Bari) ha il suo Centro nazionale per la cura degli hanseniani a Gioa del Colle e opera in convenzione con la Regione. Oltre ai vertici dell’ospedale anche altre otto persone tra imprenditori e dipendenti risultano indagati. La procura di Bari ha inoltre disposto il sequestro giudiziario di immobili e beni apparteneti all’Opera Pia Miulli del valore di oltre due milioni e mezzo di euro: si ipotizzano i reati di truffa aggravata finalizzata alla illecita percezione di finanziamenti e rimborsi ai danni dalla Regione Puglia, alla quale il centro convenzionato costava circa sette miloni di euro l’anno.
Un’altra inchiesta non ancora conclusa vede sempre coinvolto lo stesso monsignor Laddaga ma anche il vescovo di Altamura,Gravina e Acquaviva Mario Paciello e risultano indagati il presidente della regione Vendola e due ex assessori alla Sanità. In questo caso gli inquirenti vogliono chiarire i termini di un accordo transattivo chiuso con l’Ente per un importo di 48 milioni di euro, a fronte di prestazioni sanitarie rese al di fuori del tetto di spesa in regime di convenzione. In base a quanto emerso nell’inchiesta sul lebbrosario dagli accertamenti eseguiti della Guardia di Finanza, gli indagati avrebbero predisposto fatture gonfiate sull’acquisto di beni e macchinari ospedalieri e falsificato i costi di gestione della struttura; il lebbrosario disponeva infatti di oltre 60 dipendenti tra medici e infermieri e di circa 300 posti letto .
Si è accertato però che i ricoverati effettivi non superavano le dieci o venti unità a seconda del periodo dell’anno, mentre quelli fittizi che servivano a giustificare la sopravvivenza del centro erano una cinquantina. 
E di questi “lebbrosi” nessuno in realtà avrebbe avuto bisogno delle cure in regime di ricovero, trovandosi in uno stadio della malattia non più virulenta per il quale sarebbe stato sufficiente una cura domiciliare o ambulatoriale. 

Per rendere credibile nel XXI secolo la sopravvivenza del maxi centro di cura del morbo di Hansen, l’ultimo rimasto in Italia oltre a quello specialistico di Genova, gli ammalati sarebbero stati invogliati a prolungare il più possibile il ricovero, godendo di una diaria di circa trenta euro e di un vitto senza particolari restrizioni caloriche. 
Un ex paziente riferisce di essere entrato nel lebbrosario a 16 anni e che, pur non essendo contagioso, vi sarebbe rimasto per oltre venti anni convinto che vivere nel lebbrosario fosse la soluzione migliore per sé e per i propri parenti.

Nel frattempo il vescovo Paciello avrebbe dichiarato il proprio rammarico per l’accaduto precisando che aveva, di propria iniziativa e senza prevedere le decisioni dei giudici, nominato una commissione di indagine interna sulla trasparenza della gestione e degli atti in vista del rinnovo della convenzione con la Regione.
Adesso la sua maggiore preoccupazione non è per le indagini, ma per «l’immagine che i mezzi di comunicazione potrebbero dare di un sacerdote che, come formica infaticabile e laboriosa, nel silenzio, ma a costo di grandi sacrifici ha dato alla Puglia, al Meridione e alla Sanità Italiana una struttura ospedaliera tenuta in alta considerazione e che gestisce una struttura per malati di lebbra, unica in Italia».

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