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Verona 7 dicembre. Sentenza per i poliziotti picchiatori

Venerdì 7 dicembre 2012 si svolgerà a Verona probabilmente l’ultima udienza del processo contro Luca Iodice, Antonio Tota, Massimo Coppola, Michele Granieri, Bartolomeo Nemolato, Ivano Pangione, Vladimiro Rulli e Giuseppe Valente, otto celerini del VII Reparto Mobile di Bologna accusati di lesioni gravissime per il pestaggio di Paolo Scaroni, ultras del gruppo Curva Nord Brescia 1911 avvenuto il 24 settembre 2005 al termine della partita Verona-Brescia [leggi intervista a Paolo].   

Nel nostro piccolo intendiamo rilanciare l’appello alla partecipazione al processo e sostenere con forza la battaglia per l’introduzione del reato di tortura e del codice identificativo per gli agenti delle forze dell’ordine di cui anche gli Ultras Brescia 1911 Ex-Curva Nord, si sono fatti portavoce.
Una battaglia di civiltà questa, che avanza inesorabilmente e a cui tanto hanno contribuito il coraggio e la determinazione dei familiari dei “morti di Stato”, come anche alcune sentenze quali quella sull’omicidio di Federico Aldrovandi e soprattutto quella sulla “macelleria messicana” di Genova, che pur non ponendo fine ai depistaggi e pur non arrivando ancora a consegnare i colpevoli a una giustizia degna di questo nome, hanno almeno assegnato a quei tragici eventi il loro vero nome.
Una battaglia cui tanto contribuisce pure il variegato movimento di quanti, dai licenziati ai precari fino agli studenti e ai no tav, si oppongono e resistono agli effetti più devastanti di una crisi, che vorrebbero imporci a suon di manganelli e lacrimogeni.
 
Dal resoconto degli  Ultras Brescia 1911 – Ex Curva Nord sull’iniziativa “Trieste: Per non dimenticare”
…Purtroppo, nessuno restituirà la vita a Stefano Furlan, a Gabriele Sandri, a Federico Aldrovandi, a Stefano Cucchi, e a tanti altri ragazzi uccisi dalla mano violenta e irresponsabile dello Stato; come del resto nessun risarcimento potrà guarire le devastanti ferite procurate a Paolo e alla sua famiglia. Ma c’è una cosa che tutti potrebbero/dovrebbero fare: non dimenticare (o meglio, impegnarsi nel ricordare) e – soprattutto – battersi affinché quanto successo a questi ragazzi innocenti non resti un sacrificio inutile e non accada mai più a nessun altro. E per far sì che questo si avveri, bisogna impegnarsi in una battaglia civile e di coscienza; quella per l’introduzione in Italia dei numeri di identificazione (per tutte le Forze dell’Ordine, senza distinzione) e del reato di tortura, come richiesto più volte dalle convenzioni internazionali.
Come diciamo spesso, se i rappresentanti delle Forze dell’Ordine presenti a Verona Porta Nuova il 24 settembre 2005 avessero avuto un numero di riconoscimento, non si sarebbero visti gesti così vili e brutali, oltretutto indegni per la divisa da loro indossata (d’altro canto, chi quel giorno si è comportato correttamente, sarebbe stato tutelato ulteriormente).
Se la vicenda di Paolo ci ha insegnato qualcosa, infatti, è proprio questo.
Ora, il 7 dicembre 2012 (altra data che potrebbe passare alla storia), gli otto poliziotti rinviati a giudizio saranno ascoltati -e probabilmente giudicati- per quanto accaduto a Paolo quel giorno.
Otto poliziotti, un intero nucleo del VII reparto celere di Bologna posto sotto accusa; un precedente enorme per quanto riguarda il mondo Ultras, un’inezia se si considera che i celerini “disposti” a pestare i mille e oltre tifosi del Brescia in trasferta a Verona quel giorno erano molti di più.
Una sentenza che tutti aspettano con impazienza, anche perché da questo verdetto potrebbe dipendere il futuro non solo di Paolo, ma anche di molti di noi….
 
Sciogliere il VII Reparto mobile di Bologna!
Il pestaggio di Paolo Scaroni è solo uno dei tanti crimini di cui si è reso responsabile il VII Reparto mobile di Bologna [leggi il dossier]. Dai pestaggi dei nomadi a quelli degli studenti a Bologna..
E’ davvero solo un lungo e sorprendente elenco di casualità?
Si indaga talvolta sui singoli, mai sulla catena di comando, nonostante basti davvero poco per capire che non si tratta solo di estirpare mele marce. Di che coperture altolocate gode il VII Reparto Mobile di Bologna? Chi ne garantisce l’impunità e perché?
Perché oggi un assordante silenzio stampa circonda il processo da poco aperto a carico del vicequestore della Polizia di Stato Luca Cinti, ex dirigente del VII Reparto mobile di Bologna, che sotto la sua direzione il 20 luglio 2011 caricò  a Genova i manifestanti pacifici riuniti in piazza Manin e arrestò due ragazzi spagnoli accusandoli di resistenza?
Anche nel processo a Paolo sono imputati solo dei celerini, nessun dirigente, nonostante almeno uno di questi fosse stato riconosciuto da testimoni come colui che impartiva gli ordini durante il pestaggio.
E’ ora di alzare il velo su quanto si finge di non vedere. Il VII Reparto mobile deve essere sciolto!
 
  
Visita il sito www.vigilanzademocratica.org
Questo sito nasce dalla volontà dei compagni imputati nel processo “Caccia allo sbirro” (e dei loro sostenitori più stretti) di non piegare la testa di fronte alla montatura giudiziaria orchestrata contro di loro, ma di rispondere energicamente al tentativo di spezzare chiunque abbia anche solo l’ardire di sostenere come lecite quelle attività volte a smascherare e denunciare gli abusi, i delitti, i tentativi di intimidazione, di infiltrazioni commessi dalle forze dell’ordine, ma soprattutto i loro mandanti, che in Italia quando pure giungono ad esser noti, sono tuttavia garantiti e anzi sistematicamente promossi: così è per chi ha commissionato rapimenti e torture avvenuti in violazione di ogni ordinamento nazionale e sovranazionale (vedi il caso Abu Omar), così per gli apparati deviati o paralleli autori delle tante stragi di Stato che hanno insanguinato la storia del nostro paese, così per i De Gennaro cui oggi, dopo la macelleria messicana di Genova, dovremmo pure riconoscere l’autorità e il rispetto che andrebbero tributati a un sottosegretario di Stato.
Se qualcuno non avesse filmato o fotografato le violenze e i pestaggi commissionati a Genova, cosiccome nelle tante manifestazioni che in questi tempi di crisi animano le nostre strade, se qualcuno non avesse ripreso col proprio cellulare degli agenti che in strada pestavano a sangue un ragazzo ubriaco, un tifoso o un immigrato, diffondendo poi per internet quelle immagini, chi oggi vedrebbe realmente più garantita la propria sicurezza?
Le telecamere, la schedatura, le intercettazioni, le intrusioni, le infiltrazioni, vanno ovviamente bene per individuare e reprimere chi scende in piazza a guadagnarsi il sacrosanto diritto a una vita sana e dignitosa. Vanno bene per montare inchieste fasulle a danno di attivisti, di lavoratori a rischio di licenziamento e di disoccupati che manifestano il loro dissenso e la loro collera.
Sono invece deprecabili quando scoprono gli altarini della casta, i suoi giochi di potere, le sue sporche manovre.
Rendere noti volti e nomi di mandanti ed esecutori di abusi e di azioni eversive è un atto fondamentale di vigilanza democratica, che mira a difendere i diritti politici conquistati con la Resistenza Partigiana, a realizzare la Costituzione, a sostenere il cambiamento e impedire svolte reazionarie e autoritarie. E’ un dovere da cui non è esente neppure chi è interno alle forze dell’ordine, come dimostrano i casi ancora troppo sporadici di poliziotti che hanno trovato il coraggio di dissentire e denunciare e per questo sono stati isolati o destituiti dai loro incarichi.
 
Contattaci per promuovere iniziative volte a far conoscere il processo “Caccia allo sbirro” e favorire la solidarietà con gli imputati mandando una mail a vigilanzademocratica@yahoo.com

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