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Decreto crescita? L’hanno scritto a Bruxelles

La retorica governativa ha sempre fatto schifo, ma quella del governo Monti riesce a battere diversi record.
Da giorni si batte sulla grancassa di un “decreto per la crescita” – dopo tanti tagli devastanti – come se improvvisamente ci fosse stata una resipiscenza. Frottole. Anche il via libera ai pagamenti arretrati degli enti pubblici ai fornitori fa parte di un pacchetto di misure decise dalle istituzioni sovranazionali che governo realmente questo paese. E non soltanto dagli ultimi 15 mesi.
Noi lo avevamo capito da tempo, Adesso lo scrive anche il quotidiano di Confindustria.

Un testo già scritto da Bruxelles

di Guido Gentili

Un decreto pro-crescita. L’ultimo atto del Governo Monti, l’esecutivo che ha fatto del raccordo con l’Europa la sua bandiera, ce l’ha già scritto Bruxelles. Non c’è da inventarsi alcunché, dopo che la Commissione Ue, con la lettera dei vicepresidenti Olli Rehn e Antonio Tajani, ha dato disco verde allo sblocco dei pagamenti della Pubblica amministrazione.

A Roma non resta che agire, con la presentazione al Consiglio dei ministri di un testo legislativo che va ben oltre la pur indispensabile boccata d’ossigeno al sistema delle imprese. Cominciare a rimettere in circuito, già in primavera, una quota importante di quella liquidità (più di 70 miliardi certamente) oggi viva solo sulla carta, significa infatti porre la prima pietra per l’agognata ripresa. Nel momento in cui i dati continuano da un lato a segnalare un calo (-2,84%) dei prestiti bancari a famiglie ed imprese non finanziarie e, dall’altro, un aumento delle sofferenze bancarie lorde, arrivate a 126,1 miliardi.
Ma non solo. La riattivazione di questa leva risponde a un elementare criterio di legalità e giustizia. Non era tollerabile oltre, in un Paese per di più in recessione profonda, che lo Stato, lo stesso che impone una pressione fiscale strabordante e offre in molti casi servizi inefficienti, non onorasse gli impegni presi con i suoi fornitori. Di sfiducia e insicurezza ne circolano anche troppa in giro, come dimostra ampiamente il caso-Cipro nel quale l’Europa è tornata ad immergersi. Anche da questo punto di vista lo sblocco dei pagamenti della Pubblica amministrazione può rivelarsi dunque salutare per un’Italia che boccheggia, frastornata dal rincorrersi delle parole cui non seguono i fatti.
Ora il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, come spiega nell’intervista al Sole 24 Ore, assicura che la svolta è a portata di mano, che il piano è pronto, che insomma dopo l’ultimo vaglio del presidente del Consiglio, ciò che è dovuto alle imprese può essere dato. L’impegno preso è serio e non c’è ragione di dubitarne. Anche se questa vicenda dei pagamenti dello Stato auto-bloccanti insegna che non bisogna mai abbassare la guardia.

Il problema è stato prima quasi sottovalutato, poi ritenuto insolubile per l’opposizione – in molti casi presunta, dell’Europa – infine avviato sui binari di una soluzione a colpi di decreti e circolari. A maggio 2012 veniva così praticamente annunciato dal Governo che lo Stato avrebbe cominciato a pagare i suoi debiti in autunno. In estate sarebbe infatti partita la certificazione dei crediti, e con le foglie dagli alberi sarebbero caduti anche i debiti dalla Pubblica amministrazione. Ma sappiamo come è andata, nel marzo 2013: male, malissimo. Tra decreti e circolari, ministeri, ispettorati, ragionerie centrali e territoriali, uffici di bilancio, piattaforme di gestione telematica, procedure online, resistenze attive e passive, riserve e rinvii. A gennaio risultavano sbloccati 3 milioni su oltre 70 miliardi. E diciamo “oltre” non a caso, perché non sappiamo ancora oggi a quanto ammonta davvero il dovuto dallo Stato perché è lo Stato stesso a non saperlo.

Alla fine, è stata così l’Europa, in fondo, a metterci con le spalle al muro dopo aver verificato che l’Italia era nelle condizioni di poter chiedere di mettersi in regola senza gravare sul debito pubblico. Ci ha detto «ok, potete pagare, non c’è infrazione» e ci ha invitato a presentare subito a Bruxelles il piano operativo per l’ultimo sì formale. E ora il Re, cioè lo Stato italiano, è nudo. Serve un decreto, subito, nulla di più.

da IlSole24Ore

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