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C’è lavoratore e lavoratore: per esempio ci sono i crumiri

La disinformazione dei media e dei politici ha creato l’icona del “lavoratore”, universale e interclassista. Un trucco retorico per la sovversione mediatica da utilizzare quando più fa comodo.

 Da tempo, forse da quando la “classe operaia” si è assottigliata e non fa più paura, si è fatto largo nel lessico di politici o dei media il concetto per cui a “chi lavora” è concessa qualsiasi giustificazione; il vocabolo è divenuto una specie di elemosina lessicale interclassista che vorrebbe incensare una categoria multiforme, universale. Secondo tale criterio, “lavoratore” è letteralmente chiunque presti la sua opera a pagamento, un concetto che però porta molto lontano: un mercenario, un killer, un pappone, un contrabbandiere, un faccendiere, sono “lavoratori”?

Se poi i “lavoratori” sono “operai” scatta il bonus e hanno sempre ragione.  E’ una retorica figlia della peggiore mistificazione e si presta al disinvolto utilizzo disinformativo. Non per niente i più assidui frequentatori della provocazione a mezzo stampa (ben sappiamo chi) ne fanno un uso indiscriminato quando parlano di cantiere Tav e dei suoi frequentatori. Quanta mala fede in questo “lavorismo” o meglio “operaismo” al contrario rispetto al significato politico del termine!

Gli “operai”/”lavoratori” non hanno ragione perchè sono tali e non c’è bisogno di ripassare i classici per saperlo. Lo sanno bene tutti quegli operai o quei protagonisti di lotte sociali che hanno fatto progredire questo disgraziato paese nei decenni grazie alle loro lotte e ai loro sacrifici. In ogni sciopero di fabbrica, in ogni vertenza, dagli albori dell’era industriale ed anche prima, in cui ci si ribellava allo status attuale si è sempre dovuto lottare anche contro quelli che per ignavia, ignoranza, interesse individuale o partito preso, non partecipavano e anzi, con il loro comportamento antisolidale, danneggiavano l’interesse di tutti e di conseguenza facevano l’interesse della controparte, “padrone” o Potere politico. Li hanno sempre chiamati CRUMIRI e non hanno mai avuto vita facile. Lo sa chiunque abbia mai visto un picchetto di fabbrica. Non per niente a proteggere i crumiri ci hanno sempre pensato la polizia e i corpi armati dello Stato, anch’essi grandi “lavoratori” che sovente e volentieri si sono macchiati di eccessi (brutalità, omicidi, torture sui fermatti, e analoghe mansioni professionali). Oggi tanti pennivendoli fanno finta di non sapere tutto questo e chiamano all’indignazione per  le occasionali disavventure in cui incappano gli “operai” del cantiere Tav, da contrapporre in sottinteso a masse di sfaccendati (non chiamava cosi i valsusini l’ex ministro Lunardi?) che violano il tabù supremo.  Pennivendoli che, nell’ipotesi migliore, sembrano aver sempre vissuto in un altro mondo o non aver mai letto un libro. Oggi, politici decaduti e falliti, riescono ad appellarsi agli “operai” solo strumentalmente perchè li hanno da tempo sostituiti nella loro agenda con chi li mantiene nel quotidiano.

 Parliamo chiaro: i pochi “operai” del cantiere di Chiomonte si fanno strumento della loro stessa controparte, tradiscono la propria comunità e la loro terra, piagnucolano ogni volta che incappano in qualche “incidente”, si fanno difendere dalla polizia e si macchiano di comportamenti abbietti e antisolidali (ricordate quelli che continuavano a lavorare mentre Luca Abbà era a terra o quelli di loro che tirano pietre ai dimostranti o li fotografano ad uso della Questura?). Ebbene essi sono la dimostrazione di quanto facilmente un uomo si possa vendere per trenta denari maledetti e subito a chi è responsabile primo della sua condizione di affamato. Come se poi fossero gli unici ad avere fame e a patire la crisi economica. La loro scelta egoista individuale li mette fuori dalla loro comunità e li condanna meritatamente a una difficile convivenza sul territorio. Quel loro essere “operai” non pulisce le coscienze. Rimangono solo CRUMIRI. (F.S. 14.5.2013)

da http://mavericknews.wordpress.com

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