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Autostrada Roma-Latina. 19 milioni chiesti indietro a Storace & co.

Le grandi opere sono un affare. Sempre, anche quando non si fanno. Deve saperlo bene tutta la classe politica locale e non, visto che la procura regionale del Lazio presso la Corte dei Conti ha chiesto, la condanna al pagamento di 19 milioni di danni all’erario nei confronti di Francesco Storace, ex presidente berlusconiano della Regione Lazio, del suo assessore ai Lavori pubblici Giulio Gargano, nonché dei dirigenti regionali Raniero De Filippis, Raimondo Luigi Besson, Patrizio Cuccioletta e Bernardo Fabrizio, oltre allora presidente pro tempore di Acea Andrea Abodi e dei consiglieri Flavio De Luca, Aurelio Saitta e Roberto Sorrentino.

Una strage di amministratori locali e di imprese, abbracciati nella realizzazione del nulla (a precidere dal giudizio sull’eventale utilità dell’operaa, contro la cui realizzazione si batta buona parte della popolazione locale).

La tecnica usata, per sendere soldi senza fare nulla, è identica a quella messa in atto dai veneti per Mose (in Nord, in certe cose ingegnieristiche, arriva sempre prima, bisogna ammetterlo): “Usati gli stessi schemi illeciti del caso veneziano con una serie di condotte illecite e omissive tese a favorire il socio privato di Acea, che ha avuto l’incarico di progettazione grazie ad un affidamento diretto”. Parola di procuratore, Rosa Francaviglia.

Per fortuna non è mai partita, altrimenti il conto sarebbe levitato a livelli inconcepibili per un paese in crisi debitoria perenne. Il primo preventivo parlava infatti di costi per 1,8 miliardi; e si sa che in corso d’opera ci verificano sempre condizioni impreviste che “costringono” a varianti, deroghe, ecc, facendo esplodere verso l’alto le spese in consuntivo.

Sul banco degli indagti c’è anche la società Arcea, creata nel maggio 2003 su input della Regione Lazio (è una partecipata al 51% dall’ente pubblico), che a sua volta girò la commissione per l’opera al Consorzio 2050; naturalmente in affidamento diretto, come se fosse un affare tra privati. Secondo il magistrato della Corte dei Conti “la società venne costituita ad hoc per drenare risorse pubbliche attue a favorire il socio privato”.

Ora tutta la vicenda è finita in mano alla magistratura. Inizialmente su esposto dell’associazione dei costruttori, che avrebbero voluto un regolare bando di gara. Mentre i danni sono originati dal fatto che quel che è stato speso, “tra privati” in conto al pubblico, è nel frattempo scomparso da ogni previsione di spesa.  Infatti “lo scorso 5 luglio l’Autorità anticorruzione ha escluso la Roma Latina dalla lista delle infrastrutture strategiche da finanziare”.

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