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Ilva. Il conflitto è solo all’inizio

Una giornata densa di prese di osizione, quella di ieri, più che di fatti. Ma le prese di posizione preludono ad una continuazione della battaglia, non alla sua fine. Da un lato governo, partiti della maggioranza e sindacati complici, per cui il “decreto” è la soluzione giusta perché fa continuare la produzione facendo finta di minacciare la proprietà aziendale per il futuro.
 Dall’altra una buona parte dei lavoratori, il sindacato Usb, la magistratura, gli ambientalisti, il Comitato liberi e pensanti di Taranto, alcuni partiti extraparlamentari, per i quali il decreto un un colpo anticostituzionale, protegge i profitti dei Riva (parte agli arresti, uno latitante) mentre continuano ad avvelenare la città e gli operai; perché è chiaro che non hanno nessuna intenzione di investire per “risanare”. Tutti i loro guadagni pluridecennali, infatti, sono da tempo scomparsi nei paradisi fiscali. E certo non tornerano indietro per essere “sprecati” in una bonifica da cui non trarrebbero nessun profitto.

Ma andiamo con ordine.
La Procura di Taranto, dopo il no comment iniziale, starebbe infatti valutando l’eventualità di chiedere al Riesame che sia proposta eccezione di incostituzionalità o, in alternativa, di sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Ieri, a caldo, avevamo parlato di “golpe” da parte del governo, proprio perché con il decreto si scavalcano in solo colpo le decisioni già prese dalla magistratura, il ruolo del Parlamento, i controlli di legalità da qui in poi, facendo di Taranto una zona di “interesse strategico”, quindi militarizzabile al pari della Val Susa, quasi un “zona franca” per imprese omicide.
La nuova Aia per l’ILVA, scrive il gip, non è fondata su «specifici studi o accertamenti di tipo tecnico-scientifico» in grado di «confutare le evidenze probatorie» che denunciano «l’esistenza, nella zona del Tarantino, di una grave ed attualissima situazione di emergenza ambientale e sanitaria» imputabile alle emissioni dell’ILVA.

L’Associazione nazionale magistrati (Anm) non ha mancato di sottolineare in serata una preoccupazione istituzionale molto forte. Il segretario dell’Associazione, Maurizio Carbone, è stato durissimo: «Prendiamo atto che il governo, di fronte ad una situazione complessa e con gravi ripercussioni occupazionali, si è assunto la grave responsabilità di vanificare le finalità preventive dei provvedimenti di sequestro emessi dalla magistratura e volti a salvaguardare la salute di una intera collettività dal pericolo attuale e concreto di gravi danni». Per Carbone «resta tutta da verificare la effettiva disponibilita dell’azienda ad investire i capitali necessari per mettere a norma l’impianto e ad adempiere alle prescrizioni contenute nell’Aia», tenuto conto che «sino ad ora la proprietà ha dimostrato di volersi sottrarre all’esecuzione di ogni provvedimento emesso dalla magistratura».

Anche gi ambientalisti insistono su questo concetto. «Il decreto Ilva non può dissequestrare gli impianti. È un bluff mediatico per illudere l’opinione pubblica e creare sconcerto fra i sostenitori della magistratura». Lo sottolinea in una nota il presidente di Peacelink Taranto, Alessandro Marescotti.
«Il governo vara un decreto con il dichiarato obiettivo di far produrre gli impianti dell’Ilva posti a Taranto sotto sequestro dalla magistratura in quanto pericolosi per la salute. È un bluff mediatico». Secondo Marescotti «per dissequestrare gli impianti il governo dovrebbe dotarsi di poteri che la Costituzione non gli assegna. Occorrerebbe modificare in sostanza il codice di procedura penale».
«In poche parole – aggiunge – si dovrebbe fare un salto in dietro di tre secoli e infrangere il principio della tripartizione dei poteri, quella tripartizione che da D’Alembert in poi mira a garantire al potere giudiziario l’assoluta indipendenza dal potere esecutivo e quindi dal potere politico». Qualcuno, fa presente il presidente di Peacelink, «potrebbe dire che il potere politico sta facendo di tutto – persino un decreto legge anticostituzionale – per difendere i posti di lavoro degli operai dell’Ilva» ma è «falso. Questo governo – conclude – crea oggi un decreto che non risolve i problemi».

Intanto si è potuto vedere anche a Genova, ieri, come la pessima gestione dei sindacati complici confonda le idee ai lavoratori, dividendoli.
Quelli di Genova Cornigliano ieri erano tornati in piazza, bloccando la prefettura del capoluogo con i mezzi meccanici in attesa che della firma del decreto legge che farà ripartire anche la produzione dello stabilimento in cui sono addetti. Alla fine della giornata il via libera del Cdm è stato accolto da un applauso liberatorio. Il giorno prima, davanti alla prefettura, c’era statp un lungo tira-e-molla che aveva portato al  ferimento di un operaio. Avendo trovato il palazzo del governo sprangato e blindato da corrdoni di agenti, davanti al portone gli operai avevano messo un solleva-rotoli da due tonnellate con il ‘dito’ che sembrava un cannone puntato contro le ante.
Nel tardo pomeriggio il presidio è stato raggiunto dal corteo di studenti e di docenti autoconvocati. Giusto in tempo per sentir dire a un emozionato Francesco Grondona, segretario della Fiom Cgil genovese che ”il decreto è stato firmato e prevede tra l’altro la ripresa della produzione”. Uno studente, che si era arrampicato sulla possente sollevatrice, ha acceso un fumogeno rosso ed è scoppiato un lungo applauso. ”Una vittoria per il sindacato e per i lavoratori”, hanno detto i sindacati sciogliendo così di fatto, contemporaneamente, la rabbia e il presidio.
Qui bisogna chiaramente interrogarsi sulle differenze tra Taranto e Cornigliano. Al sud ci sono le aree “a caldo”, gli altoforni inquinanti di 50 anni fa. A Genova c’è solo la lavorazione di secondo livello, fatta al forno elettrico. Qui si lavora l’acciaio grezzo che viene da Taranto e se la prima si ferma, Cornigliano chiude. Preoccupazioni di inquinamento minori (non nulle, perché anche Cornigliano, quanto a diossina accumulata nei decenni, non scherza) e totale centralità delle preoccupazioni occupazionali.
MA nessuna domanda sul “ciclo” produttivo, sulla filiera e la proprietà. Qui in sindacati avrebbero dovuto fare un minimo di chiarezza. E invece niente. Ricordiamo che Grondona non è soltanto uno storico delegato e dirigente della Fiom, ma addirittura un “ultrasinistrissimo” esponente di Lotta Comunista. Ma una cosa sono le dichiarazioni di fede ideologica, altro è misurarsi con le concrete contraddizioni di classe.

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