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Sabra e Chatila 1982. Il ricordo dell’Fplp

Ventidue anni fa, tra il 16 ed il 18 settembre 1982, il popolo di Palestina ed il mondo intero, furono colpiti da un orrendo crimine: i sanguinosi massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut, in Libano.

A Sabra e Shatila, abitavano migliaia di rifugiati palestinesi cacciati dalla Palestina nel 1948 durante l’occupazione Sionista delle loro case e delle loro terre. Furono circondati e rinchiusi durante l’aggressione Sionista e l’occupazione di Beirut. Noi ora leviamo le nostre voci in onore di quei nostri martiri che morirono lottando per la nostra libertà nei campi di Sabra e Shatila e per la loro continua dedizione per la giustizia e la libertà.

Le forze Sioniste, sotto il comando di Ariel Sharon, prima ministro della difesa ed oggi primo ministro dello stato Sionista, hanno accerchiato i campi ormai svuotati dai combattenti della resistenza e abitati soprattutto da donne e bambini palestinesi e libanesi. A questo punto, Sharon ha ordinato l’entrata a Sabra e Shatila delle Forze libanesi, una milizia di falangisti di destra con stretti legami con gli occupanti Sionisti, e l’Esercito del Libano del Sud, l’esercito manovrato dell’entità Sionista in Libano. Per i due giorni che sono seguiti, aiutati dall’illuminazione dei razzi notturni e da altri appoggi dell’esercito Sionista che circondava i campi, queste milizie hanno torturato, stuprato ed assassinato migliaia di rifugiati palestinesi, con la piena approvazione ed appoggio degli invasori Sionisti.

Il sangue di migliaia di rifugiati palestinesi dei campi di Sabra e Shatila è rimasto impresso sulle mani di Ariel Sharon, che continua tutt’oggi il suo brutale massacro di Palestinesi.

Le radici del massacro di Sabra e Shatila sono da ricercare nel 1948 e nell’espropriazione ed espulsione di centinaia di migliaia di Palestinesi durante la colonizzazione Sionista e l’occupazione della nostra terra. I Palestinesi furono costretti a riparare in campi profughi sparsi in tutta la nazione Araba, gli furono negati i loro diritti e la loro identità, e furono le vittime designate dello sterminio di una nazione.

Dal 1948, i Palestinesi sono stati dappertutto oggetto di attacchi alle loro vite, ai loro diritti e vivono sotto costanti e barbare aggressioni; i crimini di guerra ed il massacro di Sabra e Shatila è solo uno dei più terribili esempi.

Comunque, i massacri non sono finiti il 18 settembre 1982; non si sono mai fermati e continuano tutt’oggi. Ed i crimini continueranno fino a che non verrà realizzata la vera giustizia e la liberazione per tutti i rifugiati palestinesi con il riconoscimento del diritto a ritornare nelle proprie case e terre, e finché non verranno realizzati i diritti alla liberazione nazionale, alla sovranità e all’autodeterminazione.

L’unica difesa per i rifugiati palestinesi è l’esercizio del loro fondamentale diritto al ritorno. Le migliaia di assassinati nei campi di Sabra e Shatila sono morti lottando per quel diritto, e quello è un diritto che ancora oggi è vitale e fondamentale per i Palestinesi.

Sì, il sangue ed il massacro di Sabra e Shatila sono i crimini di Ariel Sharon; ma rappresentano di più di un crimine di un solo individuo.

Sono i crimini del Sionismo, i crimini dell’entità Sionista ed i crimini del progetto Sionista basato sull’espulsione e lo sterminio del popolo palestinese. Quindi nello stesso momento in cui Ariel Sharon è un criminale di guerra, lo sono anche Ehud Barak, Benjamin Netanyahu, Shimon Peers, Yitzhak Rabin, Yitzhak Shamir, Menachem Begin, Golda Meir, ed ogni altra persona coinvolta in quel progetto razzista di sterminio ed oppressione. La sola esistenza dell’entità Sionista in Palestina è un crimine di guerra; è basata sul massacro continuo e sull’espropriazione dei Palestinesi, la rapina e lo sfruttamento continuo delle loro risorse, e la colonizzazione continua della loro terra.

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Inoltre, i crimini del Sionismo, in quanto progetto di insediamento coloniale, fanno parte dei crimini commessi dall’imperialismo degli Stati Uniti nella nazione Araba ed in tutto il mondo. Così come i Sionisti ed i loro seguaci devastarono Sabra e Shatila, gli Stati Uniti ed i suoi seguaci hanno devastato Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Angola, Mozambico, Cambogia e molte altre nazioni – nel loro piano di conquista di potere, controllo e risorse.

L’invasione Sionista del Libano ebbe la piena approvazione ed appoggio degli USA; oggi, l’entità Sionista riceve miliardi di dollari ogni anno dal governo degli USA, e continua la sua aggressione furiosa contro il popolo palestinese col patrocinio dell’imperialismo USA. Nello stesso tempo gli Stati Uniti occupano, opprimono e terrorizzano il popolo dell’Iraq, Afghanistan, Haiti, Colombia, Filippine e numerosi altri nel mondo. La brutalità ed i crimini del colonialismo Sionista e dell’imperialismo degli Stati Uniti non possono e non dovrebbero essere separati l’uno dall’altro da chi lotta contro quei crimini.

Noi stiamo lottando per la giustizia e la liberazione contro l’enorme brutalità del progetto coloniale Sionista, testimoniata a Sabra e Shatila e a Deir Yassin; a Safsaf, Lydda, Tantura e Kufr Qasem; a Qibya, Qana, Jenin, Nablus, Rafah ed in tutta la Palestina occupata. Noi ci stiamo adoperando per assicurare che crimini come quelli di Sabra e Shatila e i crimini del 1948, e tutti quelli prima, dopo e durante, non colpiscano più la nostra gente e la nostra terra; e che tutti i rifugiati palestinesi ottengano il loro pieno, incondizionato e non negoziabile diritto al ritorno alle loro case e terre d’origine.

Per ottenere la giustizia, la vittoria, la liberazione ed il ritorno, per noi è imperativo che l’unità nazionale del popolo palestinese, della sua leadership e delle sue istituzioni sia rafforzata e sviluppata. Noi abbiamo bisogno di un comando nazionale unificato, che coinvolga tutte le forze, le organizzazioni e le istituzioni Nazionali ed Islamiche di tutta la Palestina; e di rianimare la struttura dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) – dentro e fuori la Palestina – su una base democratica che comporta la rappresentanza per ogni Palestinese.

Noi guardiamo indietro con memoria ed orgoglio. Noi guardiamo avanti con costanza, sicurezza e impegno per resistere ai crimini Sionisti, per lottare per il ritorno di tutti i nostri rifugiati e per la liberazione della nostra terra.

Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – FPLP

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La storia di Sabra e Chatila

Il 6 Giugno 1982 Israele invade, per la seconda volta, il Libano, cacciando i Siriani dalla Valle della Bekaa, in risposta all’uccisione dell’Ambasciatore israeliano a Londra. L’ invasione del 1982 è quella più architettata contro l’OLP, in un paese devastato dalla guerra civile del 1975 e privo di autorità statale, dove anzi è proprio l’OLP la forza più organizzata. L’invasione fu accompagnata da devastanti bombardamenti nelle città di Tiro, Sidone, Damour: era iniziata l’operazione “Pace in Galilea” decisa dal Primo Ministro Begin ed il Ministro della Difesa Ariel Sharon.

L’intenzione era quella di penetrare 45 Km. nel territorio libanese per difendere la sicurezza israeliana (fascia di sicurezza), distruggendo le basi dell’OLP nel Sud del Libano, da dove però l’organizzazione di Arafat non aveva lanciato nessun attacco da oltre un anno. Un esercito di 60.000 soldati, affiancato da mezzi corazzati e supportato dalla marina e dall’aviazione israeliana, si lancia alla conquista del Libano.
Il 07 giugno, aerei israeliani e mezzi blindati bombardano il campo profughi di Burj El Chemali e colpiscono il centro di Al-Houleh Club, dove avevano cercato riparo donne, bambini e vecchi. 97 sono le vittime delle bombe al fosforo. Solo tre persone si salvano (massacro all’Al-Houleh Club di Burj El Chemali).
La rocca del Castello di Beaufort – Qalat Shafiq, a sud del fiume Litani, che i palestinesi dell’Olp avevano conquistato nel 1976, viene occupata dall’esercito israeliano che vi manterrà un presidio fino alla sua ritirata definitiva dal Libano del 2000.
Il numero complessivo delle vittime civili dovute all’invasione israeliana è enorme: circa 20.000 morti, 32.000 feriti gravi, 2.206 invalidi e 500.000 senza tetto.
Le Nazioni Unite tentarono vari richiami, tutti rimasti inascoltati ed il 13 giugno cominciò l’assedio di Beirut che durò 88 giorni, durante i quali la capitale fu bombardata quasi di continuo con bombe a grappolo, granate al fosforo ed altri tipi di bombe.
Raggiunta Beirut, Sharon si reca al Palazzo Presidenziale Libanese sulla collina di Baabda, da dove può osservare la città assediata da tutti i lati dalle milizie dei falangisti e dalle truppe israeliane.
Al termine dei bombardamenti rimasero macerie ovunque ed il numero delle vittime fu spaventoso.


Il 29 luglio, l’Olp accetta il piano del Comitato ristretto della Lega Araba che prevede l’evacuazione dei combattenti palestinesi da Beirut ed i loro trasferimenti a Tunisi.
Il 19 agosto, viene accettata dai rappresentanti di USA, Francia, Italia e Israele la proposta libanese sull’intervento di una “Forza Multinazionale”. Il mandato ha la durata di un mese, dal 21 agosto al 21 settembre 1982. Prevede la presenza di 800 soldati americani, 800 francesi e 400 italiani. Lo scopo del piano è quello di garantire l’ordine durante il ritiro delle forze dell’Olp da Beirut.
Il cessate il fuoco fu raggiunto il 21 agosto attraverso un mediatore Usa.
Il 23 agosto il Parlamento libanese, riunito nel settore Est controllato dai falangisti e circondato dai tank israeliani, elegge il leader dei falangisti Bashir Gemayel a Presidente della Repubblica. Israele ha così realizzato il suo obiettivo: ha al potere l’uomo che per anni ha armato e sostenuto e che vuole portare a termine non solo il disarmo di tutti i palestinesi, ma anche la cancellazione della loro presenza nel Paese dei Cedri. Il 30 agosto l’OLP lascia Beirut. Tra la fine di agosto ed i primi di settembre 15.000 combattenti palestinesi e tutta la dirigenza politica dell’OLP sono costretti ad abbandonare i campi, sotto la protezione dell’ONU. I fedayn parlavano alla radio spiegando come doveva venire l’esodo, lasciando così un esilio per un altro esilio. Arafat, comunque era ossessionato dalla sorte dei palestinesi che ancora erano in Libano, nonostante la presenza dei soldati americani, francesi ed italiani che dovevano essere una garanzia, una protezione. Nel settore ovest di Beirut ci sono ancora le milizie armate di”Morabitun” dei nasseriani, quelle degli sciiti del movimento di Amal, dei comunisti e dei drusi del partito social-progressista di Walid Jumblatt, che sono in possesso anche di armi pesanti. Bashir Gemayel per imporre la sua autorità anche su Beirut ovest deve appoggiarsi all’azione repressiva delle truppe israeliane.
La forza multinazionale era ormai solo d’intralcio ed infatti fu fatta ripartire quasi subito dopo, nonostante la richiesta di alti esponenti di governo di continuare a presidiare Beirut. Il 09 settembre partono i marines, l’11 i bersaglieri italiani ed il 13 salpano i francesi, lasciando così campo libero all’esercito israeliano ed ai falangisti libanesi. Il 12 settembre le truppe libanesi cominciano ad ammassare a Shweifat camion per il trasporto dei soldati e bulldozer per demolire i campi sottostanti di Sabra e Chatila. Il 14 settembre una carica di tritolo, posta fuori dal quartiere generale della Falange, uccide Gemayel e 21 dei suoi sostenitori. Le responsabilità dell’attentato non sono mai state accertate, ma molti sospettano che gli israeliani, dal momento che il presidente non si era dimostrato troppo disponibile, non siano del tutto estranei. Habib Shartuni del Partito social-nazionalista siriano, è l’uomo che fece esplodere la bomba. Il suo gesto è stato solo dettato dalla vendetta per la morte del padre, assassinato dalle squadre di Gemayel.
Il giorno dopo l’attentato, il 15 settembre, le forze israeliane entrarono a Beirut Ovest, in piena violazione del negoziato promosso dagli Usa.
Il comandante israeliano Eytan concorda con il nuovo capo delle Forze Libanesi di affidare il comando dell’operazione “Pulizia etnica” a Sabra e Chatila, al responsabile dei servizi speciali libanesi.
Prima dell’azione delle forze libanesi, i soldati israeliani appartenenti al corpo speciale “Sayyeret Maktal”, setacciano i campi ed i quartieri di Beirut alla ricerca di 120 professionisti palestinesi, medici, avvocati, insegnanti, infermieri, che non sono partiti, credendosi al sicuro, in quanto non hanno partecipato ai combattimenti. I militari israeliani sfondano le porte delle abitazioni, interrogano gli abitanti terrorizzati e, quando identificano la persona ricercata, questa viene fatta uscire ed abbattuta all’istante. In questo modo vengono assassinate 63 persone.
“Dal mio appartamento all’ottavo piano, con un binocolo, li ho visti arrivare in fila indiana: un’unica fila. Li precedeva la loro ferocia” (dal libro”quattro ore a Shatila” di Jean Genet) L’avanzata dell’esercito israeliano fu lenta, metodica, spietata, condotta a colpi di cannone.

L’esercito non entrò subito nei campi, ma circondò gli ingressi di Sabra, dei campi di Shatila e Burj el Barajne ed il quartiere dell’ex sede dell’OLP, con uomini e carri armati.
Alle 5 di sera di giovedì 16 settembre, i miliziani libanesi penetrano nei campi ed iniziano la mattanza.
Dopo la prima “eliminazione mirata” effettuata dal corpo speciale israeliano, sui camion militari dell’esercito israeliano vengono trasportati i miliziani della seconda ondata di assassini, composta dai libanesi dell’Esercito del Sud del Libano.

Solo dopo il ritorno di questa squadra, nei vicoli e tra le case di Sabra e Chatila, per completare il massacro, scendono in campo gliassassini di Elias Hobeika, responsabile dei servizi speciali libanesi. Saranno essi a compiere le maggiori atrocità.
Il massacro è quindi il risultato dell’alleanza tra Israele ed i Falangisti libanesi. Alleanza dimostrata dal fatto che, nella notte tra giovedì e venerdì, la BBC diede la notizia che la tv israeliana aveva diffuso la voce che truppe falangiste avrebbero compiuto “epurazioni” nei campi palestinesi. Il quotidiano di Tel Aviv “Haaretz” scriveva che il ministro della Difesa aveva informato il Governo della sua decisione di autorizzare l’ingresso delle Falangi libanesi nei due campi.
L’esercito israeliano fornì ai suoi alleati tutto il supporto necessario, dai bulldozer, alle mappe, ai fari degli elicotteri che illuminavano a giorno i campi.
La caccia cominciò quindi nella notte tra il 16 ed il 17 settembre. Palestinesi, siriani, libanesi subirono lo stesso destino. Cumuli di carte d’identità libanesi accanto alle vittime fanno capire l’inutile tentativo di riuscire a sfuggire alla morte. I soldati all’interno dei campi iniziarono subito le esecuzioni di massa ed ebbero 36 ore di tempo per trucidare bambini, donne ed anziani.
All’inizio il massacro compiuto dai miliziani libanesi avviene nel silenzio, usando coltelli, accette,pugnali. Sventrando, sgozzando, decapitando, violentando i corpi vivi delle vittime.
Paralizzata dalla paura la gente dei campi resta chiusa in casa, nascondendosi.
Dopo i primi spari, il massacro prosegue ancora più feroce. Nelle vie del campo, distrutto dagli esplosivi, si accumulano i corpi dei bambini sgozzati o impalati, aggrovigliati ai ventri delle madri. Teste e gambe e braccia tagliate con l’accetta, cadaveri fatti a pezzi. Corpi di donne impudicamente discinte per le ripetute violenze e poi decapitate. Uomini abbattuti e poi castrati. File di uomini fucilati.
Cumuli di cadaveri ammassati in discariche o in fosse comuni. Camion carichi di cadaveri e camion di uomini in procinto di divenire cadaveri. Il rastrellamento avviene casa per casa perché nessuno possa sfuggire. Il tutto sotto l’occhio vigile dei soldati e ufficiali israeliani che dall’alto della terrazza dell’ambasciata del Kuwait seguono, con i binocoli, le violenze disumane che non ebrei stanno compiendo su altri non ebrei. Dal Gaza Hospital vengono fatti evacuare i medici ed il personale straniero.

Venerdì 17 settembre la notizia del massacro comincia a circolare e sconvolge il mondo intero. Giunge la condanna internazionale. Le Forze Libanesi ora hanno fretta, devono finire il lavoro commissionato dai vertici israeliani, per cui
sparano su tutto ciò che si muove. Altri reparti rastrellano i quartieri di Sabra e di Fakhani, ammassando centinaia di prigionieri. Molti di questi ostaggi sono spariti nel nulla, solo più tardi vengono trovati nelle fosse comuni.
All’alba di sabato 18 settembre i miliziani falangisti si ritirano, lasciando dietro di sé un numero imprecisato di morti.
Quando i giornalisti stranieri e la Croce Rossa entrarono nei campi il giorno dopo, provarono solo orrore. Sembrava di vivere in un incubo: donne che urlavano sui corpi dei loro cari, che vagavano tra i vicoli, bambini che piangevano in mezzo ai corpi mutilati, corpi che cominciavano a gonfiarsi sotto il sole. Molti di loro piansero, altri, semplicemente vomitarono.
Il numero totale delle vittime assassinate e di quelle scomparse nel nulla è di circa 3.000.
Secondo i testimoni il massacro è stato compiuto da 1.500 uomini che parlavano il dialetto di Beirut ed indossavano le uniformi delle Forze Libanesi.

Il 19 settembre parlando alla radio per il capodanno ebraico, Ariel Sharon dichiarò che i suoi uomini sarebbero restati a lungo a Beirut, almeno fino a quando l’esercito libanese sarebbe stato in grado di prendere il controllo, prima però, dovevano bonificare le aree in cui si trovavano i palestinesi.
Le testate giornalistiche internazionali trattarono l’argomento solo per pochi giorni. In breve tempo, i mezzi di comunicazione si impegnarono per riciclare l’immagine disonorata d’Israele, trasformandola in quella “pietosa” della vittima ingiustamente infangata!
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 25 settembre condanna i massacri israeliani, ma gli USA votano contro. Il parlamento israeliano il 22 settembre decise di non formare una commissione ufficiale d’inchiesta. Il contingente multinazionale di pace il 26 settembre tornò a Beirut, nuovamente sollecitato ad intervenire per svolgere la funzione di interposizione.
Ancora oggi, nessuno ha mai pagato per questo crimine.

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