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L’idiota in politica. Saggio sulla cultura leghista

Ribelli in difesa dello status quo

Roberto Biorcio
Come spiegare la parabola politica ed elettorale della Lega? L’antropologa Lynda Dematteo affronta le questioni su cui si sono impegnati sociologi e politologi da un diverso punto di vista, provando a guardare il partito di Bossi «dall’interno». Il libro pubblicato in Italia con il titolo L’idiota in politica. Antropologia della Lega Nord (Feltrinelli, pp. 224, euro 16) si basa su una lunga ricerca etnografica realizzata dieci anni fa nella provincia di Bergamo, con l’osservazione partecipante al movimento, le interviste a testimoni privilegiati e la ricostruzione della storia e delle tradizioni culturali locali.
La Dematteo paragona spesso la Lega ai partiti populisti europei, e trova diverse analogie soprattutto con il Front National francese. Il Carroccio appare tuttavia come una formazione atipica perché «si tratta di un partito etnoregionalista e populista». Da questo punto vista, il lavoro sul campo dell’antropologa offre nuove chiavi di lettura per capire come sono state sviluppate le rivendicazioni autonomiste e i temi populisti che caratterizzano il movimento, mostrando come siano state presentati e gestiti per il reclutamento degli attivisti e i successi elettorali.
La scoperta principale è dichiarata fin dalle prime righe e nel titolo del volume: gli elettori lombardi per punire l’arroganza e la corruzione della classe politica hanno votato per la Lega perché sono stati sedotti da un «idiota in politica», Umberto Bossi. Fare l’idiota o presentarsi come lo «scemo del villaggio» può essere un registro comunicativo efficace per denigrare gli avversari e fare emergere contenuti inaccettabili dalle norme sociali condivise. La Dematteo richiama anche una altro significato del termine idiota, facilmente sovrapponibile alla prima: l’idiota è il soggetto votato «alla più irriducibile autoctonia e al ripiego identitario». In sostanza il successo di Bossi si fonderebbe soprattutto sul recupero e la valorizzazione di un aspetto della cultura popolare, presentato spesso nelle parate carnevalesche: una maschera capace al tempo stesso di dissacrare, irridere i potenti e di esprimere in modo immediato la propria autentica appartenenza al «luogo», ai suoi umori e alle sue idiosincrasie.
Dissimulazione disonesta
La Dematteo rievoca più volte la maschera del gozzuto Gioppino, folkloristico valligiano bergamasco, la cui idiozia era valorizzata come «un dono di natura»; e sostiene che, al pari di Gioppino, anche i dirigenti leghisti camuffano la loro astuzia avvolgendola nella grossolanità. Infatti, il registro comunicativo del «finto sciocco» serve per rendere udibile l’indicibile: con la derisione e l’autoderisione i leghisti riescono a far passare messaggi fortemente trasgressivi «usano il riso per abbattere le barriere morali e liberare le pulsioni aggressive». Possono essere così superate le norme condivise fino a sedimentare un senso comune che finisce per accettare tutto. Quando i dirigenti leghisti che hanno cariche istituzionali adottano comportamenti impropri e poco pertinenti per il loro ruolo, offrono una possibilità di espressione ai sentimenti di rivalsa della gente comune. Il Carroccio può operare così un rovesciamento che rappresenta un «vecchio trucco del populista di destra»: i contrasti di natura economica sono sostituiti da conflitti nella sfera culturale. La presunzione di coloro che sanno è considerata come più intollerabile di quella esibita da coloro che hanno: l’ostilità popolare viene indirizzata contro le alte sfere della politica e della cultura, senza investire le élite economiche. E d’altra parte, la rabbia delle classi subalterne viene orientata su «colpevoli» esterni alla comunità locale (i meridionali o gli immigrati).
Lynda Dematteo ha ricostruito molti aspetti importanti del movimento leghista sulla base delle conversazioni informali raccolte frequentando la sede provinciale, e durante la partecipazione a manifestazioni, ronde, cerimonie e riunioni. L’immersione nella vita e nelle attività dei militanti di base leghisti è stata vissuta dalla ricercatrice come «un’esperienza piuttosto traumatizzante», che poteva diventare «destabilizzante ai limiti della schizofrenia». Per resistere l’antropologa ha dovuto dissimulare il disagio e la rabbia, ma anche assumere alcuni degli atteggiamenti di ironia e derisione diffusi fra i militanti leghisti, scavalcandoli talvolta nelle affermazioni più estreme: «mi sono lasciata “imbrogliare” dai loro ragionamenti alla rovescia al punto da sentirmi coinvolta nella loro finzione ideologica».
Il razzismo diffuso
Al di là di questa difficoltà psicologiche e relazionali incontrate dalla studiosa, il suo contributo offe una lettura del fenomeno leghista su cui riflettere. Ad esempio, la Dematteo ritrova nella Lega Nord un modello di partito di tipo leninista segnato da una leadership carismatica, una struttura piramidale, l’uso della propaganda da parte dei militanti, la volontà di inquadrare il quotidiano della gente attraverso molteplici forme di associazionismo. L’atmosfera e gli atteggiamenti che si possono cogliere frequentando le sedi del Carroccio sono però molto diversi da quella degli altri partiti. Domina un clima informale e familiare, simile a quello di molti bar dei piccolo centri del Nord. Si manifestano però anche forme di socialità «sovversiva», con l’esibizione di comportamenti considerati socialmente indecorosi e per questo trasformati in atti di ribellione. I nuovi arrivati si abituano facilmente a vivere in una sorta di «guscio regressivo» cementato dall’ostilità che si percepisce pervenire dall’esterno. La Dematteo riconosce di aver provato, svolgendo la sua ricerca sul campo, «lo stano sentimento che il “vero” razzismo si trovasse all’esterno della Lega», cioè che i militanti leghisti si sentissero oggetto di stilemi razzisti da parte dei loro avversari politici.
Per quanto riguarda, la selezione dei candidati per le cariche pubbliche emerge una differenza da quelle praticate negli altri partiti. I leghisti distinguono chiaramente al loro interno i «matti» dai «presentabili», la base militante dai candidati alle elezioni. I «matti» sono spesso oggetto di apprezzamenti ironici e di derisioni, ma hanno la funzione di esprimere apertamente i sentimenti e l’ideologia sotterranea condivisa dagli altri. Per la ricercatrice i militanti leghisti non «formano anche quello che gli psicologi chiamano un “gruppo psichico” poiché è identificandosi con il capo che introiettano i valori del partito politico».
Autonomisti e clericali
I «presentabili», candidati come sindaci e amministratori, sono tuttavia destinati a essere eletti solo perché si presentano sotto le bandiere della Lega e non per le loro qualità personali. I rappresentanti del Carroccio dipendono infatti dalla leadership leghista e sono stati spesso sostituiti, rallentando e indebolendo il processo di istituzionalizzazione del movimento. Dallo studio, infatti, emerge il fatto che gli amministratori leghisti si sono segnalati non tanto per loro gestione degli enti locali, ma per le loro iniziative provocatorie rispetto i simboli dell’unità nazionale e contro immigrati, rom e mussulmani. La corsa alle poltrone è certo condannata dai «duri e puri», anche se non mancano casi in cui eletti hanno «approfittato dell’ondata leghista per fare i propri interessi».
La ricostruzione storica delle fonti dell’autonomismo nordista nella provincia di Bergamo fornisce molti spunti per spiegare perché vi sia una quasi totale sovrapposizione geografica tra ex province bianche e aree leghiste. Per l’antropologa le pratiche politiche attuali possono dunque essere spiegate in una prospettiva storica di lunga durata. La ricerca sul campo e la ricostruzione della delle tradizioni locali offrono infatti la possibilità di fare emergere le radici dell’autonomismo leghista e le ragioni dei legami stabiliti dal Carroccio con diverse aree territoriali. Lynda Dematteo mette così in evidenza la relazione carsica tra l’opposizione cattolica allo stato unitario nei primi decenni di vita nazionale e il leghismo. È noto che la tradizione cattolica antiliberale e il clero legittimista hanno sempre valorizzato il governo locale e le autonomie dallo stato centrale. Queste tradizioni sono state particolarmente importanti nelle valli bergamasche, che hanno spesso espresso diffidenza per la politica praticata dagli «abitanti della città».
Un folklore inventato
D’altronde, negli anni Cinquanta gli orientamenti autonomisti sono sempre riemersi nei movimenti che si formavano ai margini della Dc in alcune province periferiche del Nord. Gestiti da alcuni amministratori ed esponenti locali democristiani, questi orientamenti riflettevano un diffuso senso comune. Lo stesso giuramento di Pontida risale alla tradizione neoguelfa, al momento della riconciliazione tra i cattolici rimasti fuori dalla vita politica nazionale e lo Stato italiano. I leghisti ne hanno capovolto il simbolismo originario per trasformarlo in un patto contro Roma. Sono stati d’altra parte rielaborati anche i sentimenti di appartenenza locale. La valorizzazione della cultura dialettale, delle tradizioni folkloristiche e delle maschere carnevalesche sono serviti per creare un sentimento d’appartenenza identitario. In ogni singolo territorio la Lega ha così riattivato tutti gli stereotipi che creano legame sociale, utilizzandoli come delle bandiere.
La ricerca etnografica della Dematteo arricchisce la comprensione dei registri comunicativi originali della Lega e delle forme assunte dalla militanza di molte persone in passato estranee alla politica. La figura dell’«idiota in politica» può essere però solo una delle possibili articolazioni delle strategie comunicative attuate da una leadership carismatica e populista. Non vanno infatti dimenticate altre figure presenti nella cultura popolare a cui Bossi ha ridato vita: in particolare la figura del tribuno del popolo, che può esprimere e guidare la protesta della «gente comune». La Dematteo ricorda che «i francesi non ridono di Le Pen come fanno gli italiani di Bossi, poiché quest’ultimo non incute alcun timore, suscita solo compassione». Ma questa, però, non è la ragione principale del consenso raccolto dal Carroccio.

da “il manifesto” del 24 settembre 2011

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