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Il ritorno del soldato

Mi è casualmente capitato in mano un giornalino di 8 pagine, formato un poco più grande dell’A/3 che in prima pagina portava un unico titolo vistoso: “Il ritorno del soldato”, era appoggiato ad un tavolo e vedevo solo questo, incuriosito lo ho preso per capire bene di cosa si trattasse.

Con stupore ho visto al centro della pagina una foto del caporale Shalit, appena liberato e con la sua bella divisa nuova nuova e stirata a puntino (a nessuno è venuto il sospetto che gliela hanno fatta indossare dopo la liberazione per pura propaganda?), il sottotitolo recitava :”Dopo cinque anni da ostaggio Gilad Shalit ha riabbracciato finalmente libero i genitori Una brutta storia a lieto fine”, sotto l’articolo c’è un box dal titolo : “Un uomo solo in cambio di 1.027 prigionieri”.

Vale la pena di riportare il testo dell’articolo e del box, ed il leggerlo da parte dei lettori di queste righe non sarà certo una perdita di tempo.

L’articolo testualmente dice:” Nel 1997 un bambino israeliano che frequentava la quinta B della Scuola elementare Maale HaGalil, nel nord dello Stato ebraico, scrisse una favola. Si intitolava “Quando il pesce e lo squalo si incontrarono per la prima volta”. Raccontava di un giovane pesciolino e di un cucciolo di squalo che si ribellarono al loro destino di divorato e divoratore e diventarono grandi amici. La fiaba si concludeva nel modo migliore: “Lo squalo e il pesce vissero insieme in pace”. A scrivere quel racconto profetico fu Gilad Shalit quando aveva solo 11 anni. Era, quello, il suo modo di leggere il conflitto tra israeliani e palestinesi, che pure gli aveva già portato via lo zio, ucciso in guerra. Martedì il giovane soldato è tornato a casa dopo 1941 giorni di prigionia nella Striscia di Gaza. Nella sua camera ha ritrovato tutte le cose esattamente come le aveva lasciate: papà Noam e mamma Aviva, in tutto questo tempo, non hanno mai spostato neanche uno spillo, credendo nel suo ritorno, senza smettere un solo istante di sperare. Chissà, però, quanto è cambiato lui. Cinque anni da ostaggio sono un’infinità. Quando fu catturato Gilad aveva solo 19 anni. Da uno prestava servizio nell’Esercito, come tutti i giovani sono obbligati a fare in Israele. Era un ragazzo timido, sensibile e dolce. Ma aveva scelto con orgoglio di entrare in un’unità di combattimento anche se avrebbe potuto ottenere un incarico meno rischioso a causa di qualche piccolo problema di salute. La sua è stata, invece, una scelta di coraggio. E con coraggio è sopravvissuto alla prigionia, interminabili giorni in un covo al buio. Ha detto che gli veniva concesso ogni tanto di ascoltare una radiolina con programmi in ebraico. E ha potuto leggere qualche libro: non nei primi due anni, però, perché i suoi occhiali si erano rotti durante i momenti concitati della cattura, e solo dopo una lunghissima trattativa i suoi carcerieri hanno permesso al padre di fargliene arrivare un paio nuovi. Gilad ora sta bene. Ha annunciato che racconterà nel dettagli la sua prigionia. Una favola brutta. Anche questa, però a lieto fine”.

Vale la pena leggere anche quanto scritto nel box: “ Il soldato israeliano Gilad Shalit era stato rapito il 25 giugno 2006 da miliziani palestinesi penetrati in territorio ebraico attraverso un tunnel sotterraneo in una zona di confine a sud della striscia di Gaza. Martedì è stato rilasciato nell’ambito di un accordo tra Hamas (il gruppo che controlla la Striscia) e Israele. In cambio della liberazione di Shalit, Israele si è impegnato a scarcerare 1.027 palestinesi detenuti nelle sue carceri. Di questi, 477 sono già stati rilasciati. L’accordo è molto oneroso per Israele perché tra i prigionieri liberati ci sono terroristi responsabili di attentati nello Stato ebraico.”

Due bei pezzi di propaganda, non c’è alcun dubbio, il caporale Shalit fin da bambino sognava la pace, ma benché “timido sensibile e dolce” ha pensato bene che la maniera migliore di realizzarla per lui fosse quella di farsi assegnare ad una unità combattente, anche se per motivi di salute poteva evitarlo, per cinque anni è stato “ostaggio” (e non prigioniero) ed è “sopravvissuto alla prigionia, interminabili giorni in un covo buio”; il caporale Shalit è stato liberato, come si dice nel box, dove invece i palestinesi sono stati “scarcerati” perchè erano “detenuti” nelle carceri, Israele ha fatto un accordo per lui “oneroso” perché tra i palestinesi “ci sono terroristi”.

Il giornale in questione è Popotus (Anno XVI, numero 1478, 20 ottobre 2011) che non è un giornale qualunque ma il “giornale di attualità per bambini” supplemento de L’Avvenire, il giornale della Conferenza Episcopale Italiana.

Non nascondo il mio stupore, il mio sconcerto, ed anche la mia delusione, perché i preti li ho sempre considerati persone intelligenti, e mai mi sarei aspettato sul supplemento per bambini di quello che è il loro “organo di partito” di trovare un “pezzaccio di propaganda” come quello sopra riportato.

Anche se destinato ai bambini, anzi soprattutto per questo, sarebbe stato opportuno spiegare, con le giuste parole che debbono essere usate quando si parla ai bambini, oltre alla storia del caporale Shlit anche che in Israele ci sono ancora 7.000 prigionieri palestinesi, oltre 600 dei quali hanno l’età dei lettori di Popotus, che per la maggior parte sono detenuti in “Detenzione Amministrativa”, ovvero che non hanno ricevuto alcuna accusa di reato specifico e non sono stati condannati durante un processo, i comandi militari israeliani dei territori palestinesi illegalmente occupati possono rinnovargli per atto amministrativo la detenzione di 6 mesi in 6 mesi senza limiti di tempo, e tante e tante altre cose in questo campo.

Inoltre nell’articolo e nel box Israele viene più volte citato come “Stato ebraico”, ma uno stato ebraico è logicamente uno stato per le persone di religione ebraica, e siamo stupiti che il supplemento per bambini dell’organo della CEI chiami Israele in questo modo, in uno stato ebraico che fine fanno i palestinesi di religione cristiana? Ce lo può cortesemente spiegare S.E. il Cardinal Bagnasco? Mai avremmo immaginato che l’organo della CEI si mostrasse così prono alla propaganda sionista, oltretutto in un campo così delicato come il suo supplemento per bambini, ma tant’è, la questione degli oneri fiscali sulle proprietà della Chiesa cattolica e del Vaticano in Terra Santa, ancora oggetto di trattativa tra Vaticano ed Israele, val bene una così pacchiana caduta di stile.

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