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Gli “uomini neri” nell’Italia delle stragi

Premessa degli autori

La chiave di lettura avanzata dagli autori rispetto ai fatti storici e alle loro conseguenze sulla lotta e la vita politica nel nostro paese della “Guerra di bassa intensità” scatenata alla fine degli anni Sessanta contro i movimenti e la sinistra con le strategia delle stragi, è partita da due tesi fondamentali: la verità giudiziaria sulla strage di Piazza Fontana è ormai depotenziata da ogni possibile conclusione coerente mentre è possibile, doveroso e necessario praticare il terreno della verità storica e politica che restituisca il senso della realtà a quanto accaduto. Non solo. C’è una estensione della tesi degli autori, i quali affermano perentoriamente la linea della continuità ideologica, politica, morale tra la rete degli “uomini neri” che concepì e realizzò la strategia delle stragi e della guerra di bassa intensità con il blocco reazionario che oggi gestisce il potere nel nostro paese. E’ altrimenti difficile spiegarsi la brutalità della repressione in piazza delle manifestazioni del luglio 2001 a Genova, l’odio di classe e l’anticomunismo viscerale che ispira le azioni del governo in carica Nel 2009 era Berlusconi, NdR) , il clima di vendetta che permea quelle forze che da decenni impediscono con campagne di criminalizzazione politica, mediatica e giudiziaria ogni tentativo di spiegare storicamente il conflitto di classe degli anni ’70. La “beatificazione” e la cooptazione e dei neofascisti in tutti gli ambiti interni o collaterali alle forze di governo, vorrebbe sancire una vittoria della storia contro le forze della sinistra di classe che in Italia si opposero frontalmente alla strategia stragista e alla guerra di bassa intensità.

 

Intervenendo in audizione alla Commissione Parlamentare sulle stragi il 12 febbraio del 1997, il magistrato Salvini spiega ai commissari la sua griglia di lettura sulle organizzazioni italiane e straniere coinvolte nella strategia delle stragi di stato. Quelle che seguono sono le sue testuali parole davanti alla Commissione Parlamentare.

“Gli episodi criminosi che sono emersi e che a voi interessano, perché giustamente vorrete conoscere dati e informazioni, sono numerosissimi. Cercherò di fornirvi una griglia di accesso che, a mio avviso, deve basarsi sulla divisione delle varie emergenze in segmenti, sulla base delle diverse entità che hanno operato in quegli anni, con ruoli diversi ma complementari (entità o gruppi o organizzazioni o strutture). La dividerei in cinque entità.

La prima – che poi rappresenta il punto di partenza di tutto il lavoro istruttorio – è Ordine nuovo, come entità prettamente operativa, con proprie caratteristiche di tipo culturale ed ideologico, quindi non una organizzazione creata dall’alto nè da servizi interni nè da servizi stranieri, ma una entità esistente con una sua precisa storia. Come è emerso dalle indagini, si tratta però di una organizzazione controllata e seguita nelle sue attività.

Il secondo segmento è Avanguardia nazionale, un’entità di carattere schiettamente operativo.

La terza entità è la Aginter Press, di cui è più difficile dare una definizione. Cercherò di darla nei seguenti termini. E’ una entità che costituisce la struttura ispiratrice di strategie in più paesi, anche in Italia, in grado di fornire ai gruppi che operano in ciascun paese di intervento un protocollo specifico e modulato sulla situazione che si vuole affrontare. E’ una organizzazione che è in grado di fornire un protocollo di intervento a chi poi, nel singolo paese, è chiamato a operare per quelli che sono i fini e i valori di questa organizzazione, sostanzialmente la difesa del mondo occidentale da una ritenuta, probabile e imminente avanzata in Europa delle forze legate all’Unione Sovietica e ai paesi comunisti.

La quarta entità – e so che su questo si è aperta forse la maggiore discussione nel corso delle precedenti audizioni – è la realtà istituzionale interna. In quegli anni chi ha operato con attentati e stragi ha percepito di essere garantito, sotto il profilo della sua sicurezza e sotto il profilo dell’impunità dopo la commissione di tali episodi, da forze legate a servizi di sicurezza interni. Verrò poi a dire quali sono le emergenze su questo argomento, fin d’ora rilevando che ci sono emergenze significative e che l’indagine in corso non esclude che ciò sia avvenuto, anzi ne fornisce, credo, nuovi spunti.

L’ultima entità è rappresentata dalla realtà istituzionale straniera che è complementare ai servizi interni, in quanto all’epoca – negli anni Settanta e forse ciò si è poi diluito negli anni successivi i servizi di informazione e di sicurezza interni e stranieri, in particolare dei paesi che facevano parte dell’Alleanza Atlantica, vivevano della stessa strategia geopolitica. Quindi, non vi era alcuna forma di antinomia ma anzi di complementarietà fra l’intervento dei primi e l’intervento dei secondi nei fatti di cui ci occupiamo. Sarebbe assolutamente sbagliato leggere il condizionamento esterno come antinomico e non complementare a quello interno.

Posso subito dire che, per quanto riguarda l’intervento dei servizi dei paesi stranieri, come ho già avuto modo di affermare molto in sintesi nella prima ordinanza, la chiave di comprensione è “il controllo senza repressione”. Sappiamo cosa la struttura occulta di Ordine nuovo sta facendo; acquisiamo, tramite informatori che abbiamo in Ordine nuovo, tutte le notizie possibili, direi quasi tutte le notizie sul suo funzionamento, ma non freniamo e non blocchiamo in nessuna forma questo tipo di attività criminose. E’ questa la cosa più grave e molto inquietante che è emersa dagli interrogatori”

Il ruolo delle basi NATO nella strategia delle stragi

E’ ancora il giudice Salvini che parla davanti alla Commissione Parlamentare sulle stragi nella seduta del12 febbraio. Vediamo le sue parole:

(….) Parlerò ora brevemente della struttura americana, che rappresenta certamente la più grossa novità delle indagini. Anche per non appesantire il discorso cercherò di dare ad esso un minimo di teatralità e di movimentazione.

Abbiamo un personaggio, Carlo Digilio, tecnico della struttura ordinovista a livello di tutto il Nord-Est, tra l’altro soggetto coperto in quanto non partecipa a riunioni pubbliche, ma nella sua veste di segretario del poligono di tiro di Venezia può tranquillamente diventare un esperto di armi…

PRESIDENTE. Siamo sempre in seduta pubblica.

SALVINI. Molte cose sono già nel rapporto che vi è stato trasmesso e quindi credo sia possibile restare in seduta pubblica. Comunque la ringrazio.

Stavo dicendo che il Digilio si evidenzia come tecnico dell’intera struttura. Ad un certo punto il soggetto racconta di aver avuto in realtà, dal 1966 fino al suo arresto nel 1982, un doppio ruolo: tecnico della struttura di Ordine nuovo e informatore stabile della struttura americana operante nel Nord-Est. Vi dirò subito un piccolo elemento di riscontro, che risulta peraltro dal rapporto dei carabinieri sulla struttura americana che avete ricevuto, è noto ed è depositato. Ovviamente quando abbiamo ascoltato certe affermazioni così gravi, tutti noi, lo e i miei colleghi che operavano con me, abbiamo fatto un salto sulla sedia, perché si tratta di un’affermazione gravissima in quanto è militante con doppio ruolo, non un qualsiasi soggetto che può fornire qualche informazione sulla struttura, ma addirittura il tecnico di esplosivi di Ordine nuovo, quindi il cuore stesso dell’organizzazione eversiva.

PRESIDENTE. Mi sembra che ci abbia fatto il nome di Carlo Digilio.

SALVINI. Sì: Carlo Digilio. Non voglio aggiungere ulteriori notizie su tutti i livelli di riscontro raggiunti, ma voglio fornire un solo dato, che consente di comprendere l’importanza di questo soggetto e il livello di riscontro raggiunto su quanto sta dicendo. Quando gli abbiamo chiesto: “Come mai lei, che ha vissuto nell’ambiente ordinovista, ha rivestito un doppio ruolo in funzione di una struttura come quella che dipendeva dalla base FTASE di Verona, che aveva al suo interno la struttura informativa che copriva tutto il Nord-Est?” La risposta, che diventa interessante anche sul piano storico, è stata la seguente: “Sono un agente di spionaggio, figlio di un agente di spionaggio; sentite cosa ha fatto mio padre” (il padre del Digilio come ampiamente riportato nel rapporto che avete letto, era un ufficiale della Guardia di finanza). Ci dice, inoltre: “Andate a vedere cosa ha fatto mio padre, prendete il suo fascicolo”. L’uomo è morto da più di trenta anni, ma con grande fortuna riusciamo a ritrovare il suo fascicolo presso gli uffici della Guardia di finanza, del personale di allora, e scopriamo che questo ufficiale della Guardia di finanza di Venezia apparentemente aveva giurato per la Repubblica sociale. Nel suo fascicolo, però, erano contenuti gli atti relativi al processo di epurazione che fu instaurato, come per tutti coloro che avevano giurato per la Repubblica Sociale (in particolare, per gli ufficiali), subito dopo la guerra. Dal fascicolo abbiamo scoperto qualcosa che ci ha portato immediatamente a comprendere che quello che ci era stato raccontato non era un tentativo teso a spostare le proprie responsabilità e a portarci su una falsa pista, ma qualcosa di molto molto serio. Quando il padre di Digilio era stato sottoposto ad epurazione, infatti, erano giunte all’autorità giudicante due lettere, una di una brigata partigiana autonoma e l’altra del comando alleato, con riferimento diretto all’OSS, in cui sì precisava che il capitano Digilio aveva giurato per la Repubblica sociale, ma in realtà forniva informazioni al comando alleato e ai partigiani che operavano nella zona sui movimenti delle truppe tedesche, delle armi e degli esplosivi nel porto di Venezia, in sostanza: “E’ un nostro agente, quindi non punitelo perché ha lavorato per noi”.

Digilio ci racconterà: “Sì: mio padre era un uomo che addirittura fin dai tempi dello sbarco a Creta, quando si trovava come militare al seguito del Corpo di spedizione italiano e vi fu il famoso sbarco tedesco, cooperò con elementi locali a salvataggio di elementi inglesi che fuggivano da Creta e si imbarcavano verso porti sicuri. Ha sempre agito con doppia veste. lo sono suo figlio, ed ho preso da lui addirittura il nome in codice, Erodoto, in quanto la prima azione in favore delle Forze anglo-americane avvenne in Grecia ed Erodoto era il criptonimo che serviva a ricordare bene la sua figura”.

Vi riporto solo questo riscontro di tipo storico, perché non fa danno alle indagini ma è molto interessante. Si sviluppano quindi una serie di accertamenti che stanno portando a risultati di grandissima importanza. Risulta, in sostanza, l’esistenza di un’intera rete di informatori, di quadri intermedi italiani, di quadri superiori e di ufficiali americani che facevano capo alla base di Verona e che avevano attivato un’intera rete, che peraltro svolgeva compiti che per la maggior parte nessuno si sogna di contestare, in quanto assolutamente doverosi in quella fase, in quel momento. Ad esempio, risulta una serie di operazioni avvenute per il recupero di esplosivo rubato da personaggi poi scoperti proprio grazie a tale rete, che si temeva potesse servire invece per attentati contro le basi americane; era quindi giustissimo che vi fosse una rete a difesa della struttura delle basi.

Risulta inoltre il recupero di uranio che era stato rubato in Germania e gli agenti della struttura di Digilio si erano finti acquirenti per consentire – appunto – il suo recupero alle strutture alle quali era stato sottratto.

La cosa che invece ci porta a quel controllo senza repressione, e a quella sorta di incoraggiamento cui mi sono riferito all’inizio di questa relazione e che sia lui sia altri soggetti appartenenti alla rete (lui stesso, nel doppio ruolo di informatore e di ordinovista) furono mandati, con funzione tecnica, di spiegazione, di consulenza nel famoso casolare dove furono preparati gli episodi criminosi propri della struttura di Ordine nuovo padovana. Questo è il grande punto della vicenda: abbiamo una struttura che sta preparando attentati, con persone chine sugli ordigni: e su di essa non abbiamo affermazioni de relato, parole, discorsi, ma qualcosa di concreto, di diretto ed alcuni di questi soggetti non sono solo ordinovisti.

Mi fermo qui, perché l’argomento è di grandissima delicatezza, rilevando però che tutto quello che è stato scritto in più di duecento pagine ha trovato una massa di riscontri veramente straordinaria.

Faccio ancora un’aggiunta. La stessa persona racconta che a Verona…

PRESIDENTE. Mi scusi, ma ogni tanto perdo il filo del discorso: le duecento pagine a cosa si riferiscono?

SALVINI. Si tratta dei verbali di interrogatorio di Digilio. C’è addirittura un collegamento di grande importanza: a Verona, nel 1966, avviene un episodio apparentemente minore; quattro importanti personaggi di Ordine nuovo, il Massagrande, un certo Besutti, Morin (che diverrà un personaggio di rilievo in certi processi successivi, a Venezia)…

FRAGALA’. Anche a Palermo, nella famosa perizia!

SALVINI. Diventerà un soggetto di interesse per la giustizia come possibile falso perito, negli anni successivi, per l’esattezza.

FRAGALA’. Era il perito del giudice Falcone.

SALVINI. Sono aspetti che non conosco. Posso solo dirvi che nel 1966 vengono trovati con una notevole quantità di armi ed esplosivo di vario genere.

PRESIDENTE. Su questo problema dei periti dobbiamo mantenere il dovuto riserbo: anche il professor Semerari era un perito utilizzatissimo dalla magistratura romana in anni non vicini!

SALVINI. Nel verbale, evidentemente a seguito di un cedimento di qualcuno degli imputati, viene fatto il nome di un capitano americano che ha fornito parte di queste armi: un capitano americano di una base del Nord-Est italiano. Avviene una cosa strana: questo capitano non viene neanche cercato, non diventa imputato, non viene toccato dalle indagini e vi è solo una generica informativa alla polizia militare che si perde nel nulla. I quattro ordinovisti vengono condannati, peraltro a pene miti, come collezionisti di armi ed esplosivo. Oggi ci raccontano che c’era stata una grandissima apprensione perché quel piccolo cedimento aveva scoperto un capo-rete. Digilio racconta che: “Quel capitano è stato il mio superiore per tanti anni: andate a verificare una cosa particolare: non solo si è dissolto come imputato, ma si è dissolto anche il suo fascicolo”. Infatti il nome di quel capitano è nel fascicolo a carico di Massagrande, Besutti e degli altri e il fascicolo sarà invano ricercato, proprio nell’ambito del processo relativo al Morin, dal giudice Casson, anni dopo, presso il tribunale di Verona, ma il fascicolo era scomparso. La scomparsa di tale fascicolo consentiva di garantire ulteriormente che su quel nome incautamente uscito da qualche cedimento degli imputati mai nessuno avrebbe svolto un’indagine che portasse a capire chi era quell’ufficiale. Il nostro collaboratore racconta che “Certamente ciò avvenne, in quanto era uno dei miei più importanti capo-rete, che io frequentai per dieci anni e che controllò per molti anni l’intera struttura operante tra Verona e Venezia”.

Mi fermo qui. Ritengo vi siano sviluppi molto importanti che dovranno passare ad un ulteriore vaglio, ma credo di aver raccolto una massa di elementi di riscontro veramente imponente che certamente consente di disegnare una struttura di controllo, anche esterna, sicuramente complementare alle cointeressenze interne che hanno contrassegnato la strategia della tensione”…

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Quei 21 minuti di omissis e seduta segreta

Poco più di un mese dopo questa audizione, il 20 marzo 1997, il giudice Salvini viene nuovamente ascoltato dalla Commissione Parlamentare sulle Stragi, ma a differenza dell’audizione del 12 febbraio, questa seduta viene interrotta quattro volte per passare alla discussione in seduta segreta. Complessivamente saranno 21 minuti di interruzioni e seduta segreta, sufficienti per fare i nomi di chi nei servizi segreti USA ha agito come protagonista nella strategia delle stragi.

I contenuti della parte “secretata” dell’audizione del giudice Salvini sono stati forniti da una fonte agli autori  successivamente alla pubblicazione del quaderno. Ne riportiamo i risultati qui di seguito

Quello che tutti sapevano e che nessuno voleva dire

La presentazione del Quaderno “sulla strage lunga quarant’anni” è stata poi arricchita da alcune rivelazioni inedite. Una volta chiusa la stampa del quaderno, gli autori hanno ricevuto da una fonte alcune informazioni “sensibili” delle audizioni del giudice Salvini davanti alla Commissione Parlamentari sulle Stragi nel 1997. Buona parte dei quei 21 minuti di sedute segrete della Commissione di cui il Quaderno lamentava l’impossibilità di sapere, hanno avuto così la possibilità di essere riempiti.

Il quadro che ne emerge chiama direttamente in causa nella strategia delle stragi i servizi segreti militari USA, soprattutto quelli di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti) agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno” contro i comunisti, i sindacati e i settori della DC recalcitranti a trasformare la “guerra fredda in guerra civile”. L’americano supervisore della rete degli uomini neri ha il nome di Joseph Luongo ed è l’agente che cooptò nella guerra di bassa intensità anche alcuni criminali nazisti come Karl Hass (con cui Luongo si fa fotografare insieme in un matrimonio). Gli “uomini neri” cioè gli autori delle stragi non erano più di venticinque/trenta persone organizzate su cinque cellule collocate a Milano e quattro nel Nordest.

Insomma l’inchiesta del giudice Salvini ha portato alla luce tutto o gran parte di quello che c’era da sapere dietro e dopo la strage di Piazza Fontana sul piano giudiziario. Ma la sentenza del 2005 per un verso e la complice inerzia della politica (inclusi i partiti della sinistra eredi del Pci) dall’altro, hanno scientemente perseguito l’obiettivo di lasciare impunita la strage di Stato e di depistare l’attenzione su mille piste diverse che hanno confuso quella giusta. La verità sui mandanti era scomoda per il potere democristiano ma anche per l’opposizione che scelse il compromesso storico con la Dc e la subalternità agli Usa e alla Nato. Quando nel primo governo Prodi (1996-2001) ci fu la possibilità di fare chiarezza, prevalse la decisione di lasciare la verità seppellita negli archivi e in sentenze assolutorie. Di questo occorre essere consapevoli e da questo occorre partire per una battaglia di verità storica e politica sulla strage di Stato che non deve e non può fare sconti a nessuno.

 

vedi la prima puntata

https://www.contropiano.org/it/cultura/item/5676-italia-una-storia-rovesciata

vedi la seconda puntata

https://www.contropiano.org/it/cultura/item/5739-italia-una-strage-lunga-quaranta-anni

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