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Il ritorno del Black Panther Party

Il vigilantes bianco Zimmerman, ha giustificato l’uccisione del giovane nero Trayvor, con una interpretazione, assai spinta di una legge della Florida – la “Stand Your Ground” – la quale autorizzerebbe: a sparare per legittima difesa anche se ci si sente solo minacciati. La colpa del ragazzo è stata quella di indossare il cappuccio della felpa. “Se non l’avesse indossato, non sarebbe stato colpito”, ha detto nei giorni scorsi il giornalista Gerardo Rivera a Fox News, affermando che i giovani – soprattutto se neri – non dovrebbero indossarlo perché altrimenti sembrano dei malintenzionati. (…). (http://america24.com/news/)

A Sandford e in altre città sono state organizzate manifestazioni per chiedere giustizia e protestare contro il mancato arresto di Zimmerman.

Testa bassa, cappuccio sulla testa e mani in tasca. I giocatori del Miami Heat si sono fatti fotografare così per rendere omaggio a Trayvon Martin, il diciasettenne di colore ucciso lo scorso 26 febbraio da un vigilante. A fare scendere in campo il mondo del basket sono state le affermazioni del giornalista americano Geraldo Rivera, che ha dato la colpa al cappuccio indossato dal ragazzo.

Dopo un mese esatto dall’omicidio di Trayvon Martin, il ragazzo di colore colpito a morte a Sanford, in Florida, da un vigilante nonostante fosse disarmato, il New Black Panther Party – una nuova incarnazione della storica organizzazione rivoluzionaria a favore dei diritti degli afroamericani – aveva messo una taglia da 10.000 dollari su George Zimmerman, il vigilante che ha sparato al ragazzo.

Gli autori del manifesto con su scritto wanted sul quale appariva (come nella migliore tradizione del Far West), il volto di George Zimmerman (il vigilantes che ha ucciso Martin durante una ronda), sono gli attivisti di un “rinato” Black Panther Party (B.P.P.), nuova incarnazione della storica organizzazione rivoluzionaria a favore dei diritti degli afroamericani.

A commento di quel fatto sono stati immediatamente richiamati alla memoria gli anni trascorsi, quando il conflitto nella società statunitense tra neri e polizia “bianca” era all’ordine del giorno, con violenze inaudite e feroci esecuzioni sommarie da parte della polizia contro le “pantere”, ossia i militanti afroamericani del Black Panther Party.

Quale posto occupa il Black Panther Party for Self-Defense (denominazione originale della prima ora del Partito delle Pantere Nere) nella storia del movimento di liberazione afro-americano negli Stati Uniti?

Perché le pantere hanno affascinato i giovani di colore dei ghetti delle grandi città statunitensi del Nord e al tempo stesso raccolto la solidarietà degli altri gruppi rivoluzionari attivi nel resto del mondo?

Uno dei punti di programma più forti del BPP, fu quello del cosiddetto “Patrolling”.

Il Patrolling

In pratica, essendo forte “il risentimento della comunità afroamericana per gli atteggiamenti razzisti della polizia definita “forza di occupazione”, la risposta del BPP fu quella: “Al fine di far fronte a tali eccessi le Pantere Nere organizzano pattuglie di volontari – le Copwatch- che seguono a distanza i poliziotti per sorvegliarne i comportamenti…):

Così la sorveglianza del comportamento, a volte delittuoso ed illegale, della polizia ha rappresentato molto probabilmente il punto di forza maggiore e ha favorito fortemente lo sviluppo dell’organizzazione afroamericana. Anche altre iniziative pubbliche furono importanti per permettere un loro rapido sviluppo, una tra le tante fu quella clamorosa, come prima uscita pubblica dell’appena nato BPP (Bobby Seale, Seize the Time: The Story of the Black Panther Party and Huey P. Newton), che presidiò un’incrocio stradale, privo di segnalazione semaforica e strisce pedonali, nel quartiere-ghetto di Oakland (California), nel quale era accaduto un incidente che aveva provocato gravi ferite a bambini e giovani della comunità nera del quartiere. I militanti sfruttarono quella esigenza di tutela che veniva dalla maggioranza degli abitanti del “ghetto”, funzionarono da “vigili stradali” e regolando il traffico hanno tutelato così i cittadini neri che usavano quell’incrocio ritenuto molto pericoloso!! Altra caratteristica delle Pantere Nere è, sin dalla fondazione, l’impegno nelle comunità più povere dei maggiori centri urbani – dalla California a Chicago, a New York – per distribuire cibo, vestiti, aiuti di ogni tipo e spesso anche lezioni gratuite nelle scuole…(http://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista7.nsf/servnavig/19).

Queste, ed altre domande, ancora aleggiano nell’aria della società statunitense; aria che si sta facendo di giorno in giorno sempre più pesante, che sta “evocando” spettri che parevano sepolti, ad esempio la ripresa della “caccia al nero”, come accaduto nei giorni scorsi a Tulsa.

A volte ritornano i rigurgiti razzisti dei “bianchi” statunitensi, probabilmente mortificati dal fatto che con l’elezione a presidente USA del colored Obama hanno visto sconfitta una loro presunta supremazia, ed ora tentano un rilancio all’insegna del solito ed unico strumento che è in loro possesso e nella loro memoria storia, l’uccisione alla stregua di un novello e mai morto KKK

Complici le festività pasquali – scrive una corrispondenza del Corriere della Sera del 10 aprile – che hanno diradato la copertura delle news e distratto l’attenzione del Paese, i tre morti e i due feriti afroamericani dell’Oklahoma sembravano crimini slegati tra loro. Mere schegge nell’inarrestabile scia di omicidi che ogni giorno insanguinano l’America a causa delle troppe armi. Ma ieri mattina, quando un giudice del tribunale di Tulsa ha posto una cauzione da quasi 10 milioni di dollari ciascuno al 19enne Jacob England e al 32enne Alvin Watts — entrambi bianchi su cui adesso pende l’accusa di omicidio plurimo volontario di primo grado — l’America di Twitter e Facebook si è raccolta intorno ad un unico, terribile incubo che l’ha fatta ripiombare indietro al tempo dei linciaggi del KKK e delle famigerate «cacce al nero». Nella notte tra giovedì e venerdì i due assassini, a bordo di un pickup, si sono fermati nel quartiere di North Tulsa, abitato in maggioranza da neri, con la scusa di chiedere informazioni ai passanti, prima di estrarre una pistola e sparare a casaccio per poi fuggire a tutta velocità. Un episodio ripetutosi a due riprese, in due luoghi a pochi chilometri di distanza. Alla fine della mattanza il bilancio è agghiacciante: tre morti — Dannaer Field, 49 anni, Bobby Clark, 54, e William Allen, 31 — e due feriti gravi.

A sei mesi dalle elezioni presidenziali di novembre le tensioni razziali sembrano destinate a svolgere un ruolo significativo nella prossima corsa per la Casa Bianca. In un sondaggio pubblicato tre giorni fa da Newsweek/Daily Beast, il 72% dei bianchi e l’89% dei neri pensa che il Paese sia spaccato in due sul tema della razza.

Nuove forme organizzativa degli afroamericani

In risposta a questa eventualità si sta riproponendo l’unica organizzazione politica che ha seriamente messo in crisi l’assetto e gli equilibri politici statunitensi, ossia il Partito delle Pantere Nere, contro il quale l’FBI scatenò una feroce campagna denominata Cointelpro filiazione diretta, insieme all’altra denominata BlueMoon (della quale ne abbiamo già parlato su Contropiano) dell’operazione CHAOS.

Nell’agosto del 1967 l’FBI ricorre al programma segreto denominato Cointelpro (Counter Intelligence Program) (…) l’anno seguente il direttore dell’FBI, Edgar Hoover, definisce le Pantere Nere come “la più grave minaccia alla sicurezza interna della nazione” perché “si tratta di militanti formatisi sugli insegnamenti marxisti-leninisti e dei comunisti cinesi che aggrediscono agenti di polizia e girano negli Stati Uniti per diffondere un vangelo di violenza non solo nei ghetti ma anche fra gli studenti dei college, delle università ed anche dei licei”.

Con l’obiettivo di smantellare queste cellule l’Fbi vara nell’ambito del Cointelpro un piano di intervento senza precedenti (…) .Sono cinque le direttive d’azione prescelte: infiltrare agenti ed informatori non solo per spiare gli attivisti politici ma per minare l’unità delle cellule, spingendole a combattersi fra loro; diffondere false notizie tanto con lettere e telefonate anonime che con articoli sui giornali; sfruttare ogni cavillo legale per rendere la vita impossibile agli attivisti; istigare la violenza fra le Pantere Nere e gli altri gruppi militanti; organizzare irruzioni ed arresti al fine di decimare l’organizzazione.

L’altro pilastro del Cointelpro sono le attività per la distruzione dell’immagine pubblica delle Pantere Nere: attori, cantanti e uomini d’impresa che si erano espressi in pubblico a loro favore vengono contattati, convocati nei commissariati ed ammoniti sui rischi di complicità con “gruppi criminali” così come alle Chiese che avevano ospitato eventi di beneficienza viene chiesto di cessare ogni sostegno al fine di “garantire la sicurezza di chi frequenta le funzioni religiose”.(http://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista7.nsf/servnavig/19)

Gli Stati Uniti di Obama potrebbero portare nuovamente allo scoperto una contraddizione interna non risolta, quella del razzismo e della violenza poliziesca contro le comunità.

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