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Diaz, a volte ritornano

Sono andato a vedere il film Diaz. Rivedere quelle scene a distanza di anni non diminuisce  lo sgomento del ricordare e rivedere quelle immagini. Suggerirei a chi abbia voglia di andare a vederlo soprattutto di dotarsi di una sufficiente pazienza e provare a non avere un atteggiamento pregiudiziale. Mi rendo conto che sarà un’impresa difficile soprattutto per chi in quei luoghi c’è stato, anche se non direttamente coinvolto nel “massacro” avvenuto alla Diaz!

Ciò che viene fuori da questa mia riflessione è sopratutto una constatazione che nel film non è assolutamente presente, o quanto meno viene sottaciuta e non messa sufficientemente in evidenza.

Il regista credo non abbia voluto fare e dare una lettura “politica” degli avvenimenti accaduti a Genova in quel Luglio del 2001: sarebbe stata un’opera certamente meritevole ma che, “viziando” il film con una lettura che in molti avrebbero potuto accusare essere “di parte”, avrebbe sicuramente reso più difficile la sua diffusione.

Il regista ha invece preferito documentare quanto avvenuto all’interno della scuola Diaz, partendo dal fatto che sulla “macelleria messicana”, così venne definita dal maresciallo Fournier, (nel film interpretato da Claudio Santamaria), non era stato prodotto nessun filmato/documentario ma solo racconti orali e qualche immagine dell’irruzione della polizia all’interno della Diaz, girata dalla sede del Media Center che era collocato proprio di fronte alla scuola presa d’assalto dalle ‘forze dell’ordine’.

Il regista Daniele Vicari, partendo dai verbali delle testimonianze raccolte durante il processo che si è tenuto a Genova, scaturito dalle denunce fatte dai “macellati” della Diaz, ricostruisce con crudezza le azioni dei poliziotti e le vere e proprie torture subite dalle persone prese in “ostaggio” e trasferite, dopo una breve permanenza nel pronto soccorso per le ferite riportate dalle azioni di “persuasione” della polizia, nella caserma di Bolzaneto.

Le immagini che si vedono sono molto crude e violente. Sono certo che provocheranno nello spettatore rabbia, disgusto e odio. La descrizione dei fatti, per quanto realistica, non coglie però un aspetto determinante nell’interpretazione di quanto accaduto al G8 di Genova.

Il film non evidenzia a sufficienza la strategia e la regia messe in atto nell’azione dissuasiva/repressiva di un movimento che si stava espandendo a livello globale e, per questo, andava fermato, bloccato, punito in modo esemplare. Per esempio: sarebbe stato utile citare il ruolo all’interno della sala comando delle forze dell’ordine, durante i fatti di Gianfranco Fini, successivamente “santificato” nel pantheon della seconda repubblica grazie alla sua tardiva rottura con Berlusconi. Oppure l’escaltion di violenze contro il movimento “no global” in occasione di ogni “controvertice” (persino nella pacifica Svezia, a Goteborg, pochi mesi prima, un agente aveva sparato contro i manifestanti ferendone gravemente uno). E del fatto che pochi mesi prima, a Napoli, la Polizia agli ordini di un governo di centrosinistra aveva fatto le prove generali di quella che sarebbe stata Genova, realizzando una vera e propria mattanza di manifestanti.

Dalla semplice visione del film sembra quasi che la violenza scatenata alla Diaz dai Poliziotti e dai Carabinieri sia fondamentalmente dovuta a un comportamento soggettivo, cioè di “singoli” individui lasciati a se stessi (“…i miei non li tengo più!” dice nel film uno dei responsabili di un plotone di polizia inviato alla scuola), piuttosto che da una precisa volontà di far scatenare i “singoli poliziotti” contro quanti erano alla Diaz pensando di essere al riparo dalla repressione.

Come affermato dallo stesso regista: “…si è voluto così testimoniare la sospensione della democrazia in un paese occidentale e democratico”. Buon proposito che però resta privo di un’interpretazione obiettiva e completa. Tanto sul piano politico, delle “linee di comando” che portano poi fino al singolo poliziotto, quanto delle “culture” di cui si nutrono le “forze dell’ordine”. Chi si arruola nella polizia? Che cultura ha, da che base sociale proviene? 

Che i soggetti (non tutti) che si arruolano volontariamente nelle forze di polizia abbiano e manifestino ideologie parafasciste e neonaziste non era un mistero allora, e neanche oggi. Dov’è dunque la sorpresa che costoro si sentissero poi legittimati (ossia con compiacente copertura sia da parte dei vertici politici che militari) a tenere quel comportamento?

Il comportamento delle cosiddette “forze dell’ordine”, caratterizzato da un’ideologia reazionaria, torna oggi molto utile per contrastare e reprimere violentemente i movimenti che hanno intenzione di opporsi a scelte e strategie economiche e politiche in contraddizione con i loro interessi materiali.

Non erano forse queste le riflessioni degli autori e della società che ha prodotto il lavoro , la quale tra l’altro, riceve ed ha ricevuto già un ottimo riscontro sia di pubblico sia di critica ma tant’è… Ben vengano comunque simili testimonianze, sicuramente utili, a futura memoria, per far capire in che mondo viviamo e quali siano le voglie segrete del potere padronale.

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