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Lo sfruttamento messo in rap. Da Caparezza

«Metto in rap le varie forme di sfruttamento»
Angela Mayr

«Stipendio dimezzato o vengo licenziato, a qualunque età sono già fuori mercato…fossi un ex SS novantatreenne (il riferimento è a Priebke, nda) lavorerei nello studio del mio avvocato», accusa l’operaio Luigi delle Bicocche in Eroe, diluvio rap che intreccia condizione esistenziale e forme varie di sfruttamento. È una delle tante declinazioni dell’universo sonoro ideato da Michele Salvemini alias Caparezza. «Sono molto legato al primo maggio, lo sento un palco molto pertinente per i temi che affronto», spiega l’artista di Molfetta alla vigilia del concertone a Roma in cui sarà uno dei protagonisti principali.
Ma insieme alle tematiche «impegnate», raccontate con un linguaggio creativo poetico molto raffinato, il rapper pugliese porterà anche la festa, ad uso e consumo della platea di giovanissimi. È alla sua sesta partecipazione, stavolta da… superstar: «Sono passato dalla collocazione pomeridiana a quella serale – scherza Caparezza – facendo la gavetta per quasi una decade. Penso che di più non possa chiedere per gli anni a venire, se non di smontare il palco, cioè finire».
Eppure il suo battesimo a San Giovanni non era stato dei migliori. Al centro uno sgradevole episodio di censura a cui fu sottoposto un suo intervento in cui raccontava la vicenda degli operai di Melfi che erano stati brutalmente picchiati. «Brani e interventi – spiega – venivano eseguiti in differita di circa 15 minuti, e quindi c’era tutto il tempo di cancellare delle parti che potevano risultare fastidiose, prima di finire in onda su Raitre».
La dura vita dell’operaio Caparezza la conosce bene, gli è passata davanti agli occhi, con il padre – musicista mancato – costretto a sacrificarsi per mantenere i figli. Luigi delle Bicocche, una delle figure chiave del concept album sul 68 Le dimensioni del mio caos in video o nei concerti compare sempre con un cappio al collo, una metafora che si è trasformata in realtà.
«Il cappio si stringe ormai, è una sconfitta sociale, non si tiene mai in conto la vita delle persone. Il lavoro non dovrebbe essere una ambizione, ma un diritto. Molte persone lavorano per poter fare altro, per poter vivere, per costruirsi la propria felicità, per poter mantenere dei figli. La sconfitta della perdita del posto si somma alla sconfitta della dignità umana. Chi ha una mansione che non gli piace, o un lavoro pesante non lo fa con il sorriso sulle labbra, tanto meno un operaio, che solo dopo 8 ore in fabbrica può fare quello che gli piace, essere padre e marito o altro. Se dopo tanti sacrifici non viene ripagato in nulla, oppure vedi i figli che stanno peggio di te, ti chiedi: tanti sacrifici per cosa? È come accumulare spiccioli per tutta una vita per comprarsi una casa che crolla».
Sul governo Monti Caparezza non ripone certo speranze, visto che cura la crisi esattamente con la solita ricetta; facendone pagare i costi ai soliti noti: pensionati, lavoro dipendente. La classe media,che ormai non c’è più. Goodbye malinconia – il tormentone tratto dall’ultimo cd in cui presta la voce anche l’ex bellone (un po’ imbolsito) degli Spandau Ballet, Tony Hadley, recita: «Tutti nell’angolo , tutti che piangono, toccano il fondo come l’Andrea Doria. Chi lavora non tiene dimora, tutti in mutande, non quelle di Borat…».
La voce di Caparezza fa capolino in Cuore d’oceano, pezzo tratto dal nuovo album del Teatro degli Orrori di Pierpaolo Capovilla (pure loro stasera a San Giovanni) interamente dedicato al tema dell’immigrazione, dove si racconta l’annegamento di un emigrante appena sbarcato in America.

 
da “il manifesto”

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