Menu

Il capitalismo del “libero mercato” è in via di esaurimento

L’intervista fatta dall’Espresso ad Hobsbawm è interessante ed utile perché usa una chiave di lettura storica che ormai è stata gettata nel cesto delle immondizie, la contingenza è l’ossessione della sinistra e dei comunisti nostrani che si eccitano e riprendono vita solo in vicinanza delle scadenze elettorali, per quanto queste siano allo stato attuale fuori dalla loro portata. Parlare perciò dell’evoluzione del capitalismo, riprendere alcune categorie fondamentali del Marxismo sono una boccata di ossigeno che impedisce di volare troppo basso, cioè laddove si rimane “impigliati” in tutte le piccole difficoltà.

La tesi esposta nell’intervista afferma che è finito il capitalismo del libero mercato e che ora è il momento del passaggio al capitalismo di Stato, passaggio che si manifesta con la crisi dei principali paesi capitalistici e con la crescita di quella che viene definita, oggi impropriamente, la periferia produttiva ovvero la Cina, l’India, l’America Latina, etc. Gli elementi a supporto di questa tesi credo che siano molti e validi anche se va rilevata una assenza non di poco conto che poi cercherò di spiegare.

La “religione” del libero mercato è alla sua fase finale non solo perché oggi c’è la crisi e crescono i paesi che hanno mantenuto un forte ruolo dello Stato, ma anche perché, se ci liberiamo per un momento della ideologia dominante, in realtà questa forma del capitalismo è durata pochissimo nella sua ripresa. Possiamo dire che ha manifestato la sua forza egemonica per meno di un ventennio cioè dalla fine dell’URSS nel ’91 alla crisi del 2007 che ha segnato il rientro in campo dello Stato anche nel cuore del capitalismo. Nella evoluzione degli eventi storici il liberismo ultimo scorso in realtà si presenta come un colpo di coda contro le tendenze che si sono concretizzate nel ‘900, colpo di coda che oggi segna i suoi limiti per sue interne contraddizioni piuttosto che a causa del conflitto di classe.

Se le forme del capitalismo sono soggette a nascita , crescita e fine, questa “volatilità” non appartiene al Modo di Produzione Capitalista ovvero al carattere fondante delle relazioni sociali egemoni oggi a livello planetario. Dunque il cambiamento della forma in Capitalismo di Stato è interno a questo modo di produzione ma ha anche un significato e degli effetti. Il significato è legato al fatto che la crescita storica manifesta dei limiti strutturali. Il capitalismo si basa sulla crescita quantitativa, oggi dopo oltre duecento anni di sviluppo siamo al massimo delle sue possibilità di crescita e la rimanente parte dell’umanità da mettere a produzione di profitto è proporzionalmente residuale. Non è un limite che si manifesta qui ed ora ma il livello di mondializzazione attuale adesso ce lo fa vedere.

Non c’è solo il limite dei mercati ma si presenta anche quello ambientale sia nella sua devastazione diretta che nella variante della scarsità delle risorse energetiche legate ancora ai carburanti fossili; utili per il vecchio livello di sviluppo delle forze produttive ma assolutamente inadeguati a sostenere un balzo in avanti determinato dall’ingresso di miliardi di individui nella produzione capitalistica. Insomma il l’ultimo liberismo non è riuscito a risolvere nemmeno questo problema.

L’effetto che si intravvede è, invece, quella della necessità della pianificazione possibile con la presenza economica dello Stato e necessario in una condizione di emersione di limiti strutturali, ma anche politici, dello sviluppo. Certamente parlare di pianificazione nell’ancora predominante ideologia liberista è come parlare di corda in casa dell’impiccato ma questa prospettiva non è solo una evocazione ma è quello che sta accadendo realmente nel mondo che cresce.

La crescita della “periferia produttiva” è la materializzazione concreta delle possibilità del Modo di Produzione Capitalista, miliardi di persone sono entrati nei processi di valorizzazione del capitale e rappresentano anche un potenziale mercato di consumatori molto più vasto di quello degli “imperi centrali”, mercato che può essere costruito da politiche di pianificazione della produzione, dei consumi, dei servizi e così via.

A questo punto bisogna però fare attenzione a non cadere nel rischio del determinismo o dell’evoluzionismo “naturale”, non sono in grado di dire se Hobsbawm corra questo rischio visto il poco spazio concesso da una intervista, perché se l’astrazione del processo storico è importante vanno fatti i conti soprattutto con le condizioni concrete con cui questo processo si imbatte.

Qui escono i primi problemi e contraddizioni, infatti è tutto da capire quanto i mercati della “periferia” possano autonomizzarsi dai centri storici del capitalismo in quanto in questi esportano e già oggi i segni di rallentamento di quelle economie ha a che fare con la crisi finanziaria che devasta quei paesi. Se queste economie riusciranno a non farsi condizionare dalla crisi è una cosa ancora tutta da verificare sia sul piano produttivo che su quello finanziario e monetario.

Ma la questione più “consistente” è un’altra. Esiste il Modo di Produzione Capitalista, ci sono i capitalismi concreti che si manifestano nei diversi momenti storici ma c’è anche l’Imperialismo, descritto da Lenin, che agisce ancora ed oggi ha prodotto diversi centri imperialisti. Se è vero che la tendenza potenziale è quella della crescita dei paesi della periferia, i cosiddetti BRICS, mentre i paesi imperialisti sono in “rapido declino” o si pensa che in via evolutiva, come hanno sempre pensato i socialdemocratici, il capitalismo liberista verrà superato da forme più socializzate del capitale oppure si mette in conto una reazione dei paesi imperialisti.

Non è pensabile che la crisi dei centri imperialisti venga fatta avanzare con effetti sociali devastanti senza metter mano, prima che gli effetti si concretizzino, alla politica ed alle armi (questo è accaduto solo in URSS e con il PCUS e forse vale la pena di capire il perché). Certamente non possiamo prevedere il modo e nemmeno gli eventuali schieramenti in conflitto ma certo è impensabile che i paesi che hanno fatto la storia mondiale di questi ultimi 150 anni iniziando con il colonialismo diano “partita vinta” a quei paesi che crescono economicamente, politicamente ma soprattutto che ora si sentono protagonisti e competitori dei loro storici sfruttatori. Basti ricordare le nazionalizzazioni che oggi si stanno facendo in America Latina contro le imprese multinazionali.

Se sarà questo lo scenario credo che “l’evoluzionismo” dovrà lasciare il passo alla soggettività politica delle classi e dei paesi in contraddizione, cosa questa peraltro già avvenuta nella crisi che ha portato a due guerre mondiali, a trent’anni di depressione ed alla prima rivoluzione socialista. Hobsbawm affronta anche questo argomento dicendo che Marx ha giustamente affermato la necessità dei lavoratori di organizzarsi in partito di classe ed ha aggiunto che “la sinistra non ha più niente da dire, non ha un programma da proporre. Quel che ne rimane rappresenta gli interessi della classe media istruita, e non sono certo centrali nella società”. Sarà stato anche lui alla assemblea di Firenze per la costituzione del nuovo soggetto politico?

* Retedei Comunisti

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *