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7 novembre 1917. La Rivoluzione che cambiò il mondo

“Smolni lavorava più di prima, se fosse stato possibile. Sempre lo stesso andirivieni nei corridoi oscuri, gruppi di operai armati di fucili, capi politici con le borse ricolme, che discutevano, che davano delle spiegazioni o degli ordini, correndo, circondati da amici e da collaboratori. Erano uomini letteralmente fuori di sé, prodigi viventi di veglia e di lavoro, barbuti, sporchi, gli occhi brucianti di febbre, che marciavano direttamente allo scopo prefìssosi, mossi da una esaltazione irresistibile. Vi era tanto, tanto da fare! Impadronirsi degli organi del governo, organizzare la città, garantirsi la fedeltà della guarnigione, lottare contro la Duma e contro il Comitato di Salute, fermare gli eserciti tedeschi, preparare la lotta contro Kerenski, informare la provincia, fare la propaganda da Arcangelo a Vladivostok… I funzionari dello Stato e della città rifiutavano di obbedire ai commissari, le Poste ed i Telegrafi rifiutavano di assicurare le comunicazioni, le ferrovie non rispondevano alle domande di treni; Kerenski si avvicinava, la guarnigione non era del tutto sicura, i cosacchi si preparavano all’attacco… Essi avevano contro non solo la borghesia organizzata, ma tutti i partiti socialisti, eccetto la sinistra S.R., alcuni menscevichi internazionalisti ed i socialdemocratici internazionalisti, i quali del resto non s’erano ancora nettamente decisi. Con loro era però la massa degli operai e dei soldati, dei contadini in numero sconosciuto, ma non avevano molti uomini di cultura o di esperienza…

Riazanov, pur salendo la scala principale, spiegava con un imbarazzo pieno di buon umore che, lui, commissario al commercio, non capiva nulla degli affari. Nella sala del caffè del primo piano, solo in un angolo, avviluppato in una pelliccia di capra — stavo per dire: che non lasciava nemmeno quando andava a dormire, ma, evidentemente, non dormiva da molto tempo, — con una barba di tre giorni, un uomo scriveva nervosamente, cifre su cifre, su una busta sporca, masticando ogni tanto la matita. Era Menjinski, commissario alle Finanze; funzione alla quale lo aveva designato il solo titolo di ex-impiegato di una banca francese… E questi altri quattro che discendevano dal Comitato militare rivoluzionario correndo e scarabocchiando su pezzi di carta, erano dei commissari che stavano per partire verso i quattro angoli della Russia, per portarvi notizie ed argomenti, per combattere con tutte le armi che sarebbero loro capitate nelle mani…

Il Congresso doveva riunirsi all’una e la grande sala per le riunioni era piena da lungo tempo. Malgrado ciò, alle sette, la presidenza non era ancora comparsa… I bolscevichi e la sinistra S.R. erano riuniti nelle loro sale. Durante tutto il pomeriggio Lenin e Trotsky avevano dovuto combatter le tendenze al compromesso. Una notevole parte dei bolscevichi era dell’opinione di fare le concessioni necessarie per costituire un governo di coalizione socialista:

— Noi non potremo resistere — gridavano.— Sono troppi i nostri nemici. Non abbiamo gli uomini necessari. Saremo isolati e crollerà tutto.

Così parlavano Kamenev, Riazanov ed altri. Ma Lenin, con Trotsky al fianco, restava fermo come una roccia.

— Quelli che vogliono un compromesso accettino il nostro programma e noi li accoglieremo. Noi non cederemo di un centimetro. Se vi sono qui dei compagni che non hanno il coraggio e la volontà di osare quello che, noi, osiamo, se ne vadano a raggiungere i poltroni ed i conciliatori. Con l’appoggio degli operai e dei soldati, noi andremo avanti!

Alle sette e cinque, i S.R. di sinistra fecero sapere che rimanevano nel Comitato militare rivoluzionario.

Un poco più tardi, al tavolo della stampa, nella grande sala, ove avevamo preso posto, un anarchico, che collaborava a giornali borghesi, mi propose di andare a vedere dove si trovava il Presidium. La stanza riservata allo Zik era vuota, così pure quella del Soviet di Pietrogrado. Di sala in sala, noi percorremmo tutto Smolni. Nessuno sembrava sapere dove si trovava l’organo dirigente il Congresso. Camminando, il mio compagno mi raccontava il suo passato di rivoluzionario, il suo lungo e piacevole esilio in Francia. Circa i bolscevichi mi confidò che erano uomini comuni, grossolani, ignoranti e sprovvisti di sensibilità estetica. Era un campione tipico dell’‘intellighenzia russa… Giunti alla stanza 17, ufficio del Comitato militare rivoluzionario, ci trovammo presi nel più travolgente andirivieni. Si aprì la porta e ne uscì un uomo tarchiato, dal viso piatto, con un’uniforme senza distintivi. Sembrava sorridere, ma ci accorgemmo tosto che quel sorriso era una smorfia permanente per l’estrema fatica. Era Krilenko.

Il mio compagno, un giovanotto brioso e di modi eccellenti, ebbe un’esclamazione di piacere e si avanzò:
— Nicola Vassilievic! — disse tendendo la mano. — Non mi riconoscete, compagno? Siamo stati in prigione insieme.

Krilenko fece uno sforzo per concentrare la attenzione e gli sguardi:
— Ma sì, — finì per rispondere, guardando l’altro con una espressione di grande amicizia, — siete voi S.?… Come va?
Si abbracciarono,
— Che fate qui?
— Oh, sono solo venuto a vedere… Sembra che le vostre faccende vadano bene.
— Sì! — rispose Krilenko, con accento particolarmente energico. — La rivoluzione proletaria è un grande successo!
Poi aggiunse ridendo:
— Eppure può darsi che ci incontreremo di nuovo in prigione!

Tornammo nel corridoio ed il mio amico riprese le sue spiegazioni.
— Vedete, io sono un discepolo di Kropotkin. Per noi, la rivoluzione è un grande errore: essa non ha eccitato il patriottismo delle masse. Evidentemente questo prova che il popolo non è ancora maturo per la rivoluzione.

Erano esattamente le otto e quaranta quando una tempesta di applausi annunciò l’entrata della presidenza, con Lenin, il grande Lenin. Piccolo di statura, raccolto, la grande testa rotonda e calva infossata nelle spalle, gli occhi piccoli, il naso camuso, la bocca larga e generosa, il mento pesante. Era completamente sbarbato, ma la barba, così conosciuta prima e che d’ora innanzi sarebbe sempre rimasta, cominciava già a rispuntargli sul viso. Il vestito era consunto, i pantaloni troppo lunghi. Poco fatto, fisicamente, per essere l’idolo della folla, egli fu amato e venerato come pochi capi nella storia. Uno strano capo popolare, capo per la sola forza della intelligenza. Egli non era brillante, non aveva spirito, era intransigente e appartato, senza alcuna particolarità pittoresca, ma aveva il potere di spiegare le idee profonde in termini semplici, di analizzare concretamente le situazioni e possedeva la più grande audacia intellettuale.

Kamenev diede lettura del rapporto sull’attività del Comitato militare rivoluzionario: abolizione della pena di morte nell’esercito, ristabilimento della libertà di propaganda, liberazione degli ufficiali e dei soldati arrestati per reati politici, ordine di arrestare Kerenski e confisca delle provviste di viveri dei magazzini privati. Applausi frenetici.

In seguito la parola fu data all’oratore del Bund (Partito socialista ebraico): l’atteggiamento intransigente dei bolscevichi significava la morte della rivoluzione e perciò i delegati del Bund erano costretti a non partecipare più ai lavori del Congresso. Grida nella sala: «Credevamo che ve ne foste già andati ieri. Quante volte pensate di andarvene?».

Seguì il rappresentante dei menscevichi internazionalisti. «come, ancora voi?». L’oratore spiegò che solo una parte dei menscevichi internazionalisti aveva lasciato il congresso; gli altri avevano deciso di rimanere.

— Noi crediamo dannoso, forse fatale per la rivoluzione, il passaggio del potere ai Soviet. (Interruzioni). Ma crediamo che è nostro dovere rimanere al Congresso e manifestare qui la nostra opinione contraria.

Altri oratori seguirono, disordinatamente. Un delegato dei minatori del bacino del Donez domandò al Congresso di prendere provvedimenti contro Kaledin che poteva impedire l’approvvigionamento di carbone e di viveri della capitale. Parecchi soldati, arrivati dal fronte, portarono il saluto entusiasta dei loro reggimenti… Infine si levò Lenin. Tenendosi al parapetto della tribuna, egli posò sugli astanti i piccoli occhi socchiusi, insensibile in apparenza all’immensa ovazione, che si prolungò parecchi minuti. Quando l’ovazione fu finita, disse semplicemente:

— Adesso passiamo all’edificazione dell’ordine socialista.

Di nuovo la sala si scatenò.

— Bisogna prima di tutto prendere dei provvedimenti pratici per realizzare la pace… Noi offriremo la pace a tutti i popoli dei paesi belligeranti sulla base delle condizioni sovietiche: nessuna annessione, nessun’indennità, diritto dei popoli a disporre di se stessi. Nello stesso tempo, secondo la nostra promessa, pubblicheremo e ripudieremo tutti i trattati segreti… La questione della guerra e della pace è così chiara che credo di potervi leggere, senz’altro preambolo, un progetto di proclama ai popoli di tutti i paesi belligeranti…

La bocca larga, che sembrava sorridere, si apriva tutta quando egli parlava: la voce rauca, ma non spiacevole, era come indurita da anni ed anni di discorsi: scorreva monotona ed eguale, e si aveva l’impressione che potesse non fermarsi mai… Quando voleva sottolineare un’idea si curvava leggermente in avanti. Nessun gesto. Ai suoi piedi un migliaio di visi semplici era teso verso di lui in una specie di adorazione intensa.

PROCLAMA AI POPOLI ED AI GOVERNI DI TUTTI I PAESI BELLIGERANTI

      II governo operaio e contadino, governo uscito dalla rivoluzione del 6-7 novembre e che si appoggia sui Soviet dei deputati operai, soldati e contadini, propone a tutti i popoli belligeranti ed ai loro governi di cominciare immediatamente le trattative per una pace democratica e giusta.

      Per pace democratica e giusta, pace ardentemente desiderata dall’immensa maggioranza degli operai e delle classi lavoratrici, spossate dalla guerra, pace che gli operai ed i contadini russi, dopo aver rovesciato l’autocrazia zarista, non hanno cessato di esigere, il governo intende una pace immediata senza annessioni (cioè senza confisca di territori stranieri e senza unioni violente di popolazioni straniere) e senza indennità.

      Il governo della Russia propone a tutti i popoli belligeranti di concludere immediatamente una tale pace e si dichiara pronto a prendere, senza il minimo ritardo, tutti i provvedimenti decisivi necessari, nell’attesa della ratifica di tutte le condizioni di tale pace da parte delle assemblee autorizzate delle diverse nazioni e popoli.

      Per annessione o conquista di territori stranieri, il governo intende, secondo la concezione del diritto della democrazia in genere e della classe operaia in particolare, ogni unione ad uno Stato grande e potente di un popolo poco numeroso o debole, senza la manifestazione chiara, precisa e libera del consenso e del desiderio di questo popolo, qualunque sia il grado di civiltà del popolo annesso o tenuto con la forza nelle frontiere di un altro Stato, viva questo popolo in Europa o nei lontani paesi d’oltremare.

      Se un popolo è tenuto con la forza entro le frontiere di uno Stato, se, malgrado il desiderio da esso manifestato per mezzo della stampa, dei comizi popolari, delle deliberazioni dei partiti politici, o per mezzo di sommosse e di sollevazioni contro l’oppressione nazionalista, se questo popolo non ottiene il diritto di scegliere la forma di governo con un libero voto — cioè senza la minima coercizione e dopo il ritiro di tutte le forze militari dello Stato che ha operata la unione o che è il più forte — una tale unione costituisce un’annessione, cioè una conquista e un atto di violenza.

      Il governo considera che continuare questa guerra per risolvere la questione della spartizione, tra nazioni potenti e ricche, di nazioni deboli, conquistate da quelle, è il delitto più grande che possa essere commesso contro l’umanità: esso proclama perciò solennemente la sua risoluzione di firmare immediatamente la pace che metterà fine a questa guerra, alle condizioni enunciate prima, che sono ugualmente giuste per tutte le nazioni, senza eccezioni.

      Il governo dichiara, d’altra parte, di non dare a queste condizioni di pace un carattere di ultimatum, di essere cioè pronto ad esaminare tutte le proposte che potranno essere fatte, ma insiste affinché le proposte siano presentate con la massima rapidità e siano di una perfetta chiarezza, senza alcuna ambiguità e senza alcun segreto.

      Il governo abolisce la diplomazia segreta ed esprime la sua ferma decisione di condurre tutte le trattative apertamente, sotto gli occhi del popolo intero; esso procederà immediatamente alla pubblicazione integrale di tutti i trattati segreti ratificati o conclusi dal governo dei grandi proprietari e dei capitalisti, dopo il marzo, fino al 7 novembre 1917. Tutte le clausole di questi trattati segreti, che hanno per scopo di procurare vantaggi e privilegi agli agrari ed ai capitalisti russi, di mantenere o di aumentare le annessioni fatte dall’imperialismo grande-russo, sono denunciate dal governo immediatamente e senza riserve.

      Proponendo a tutti i governi e a tutti i popoli di cominciare le trattative pubbliche per la pace, il governo si dichiara pronto a trattare sia telegraficamente che per iscritto, sia in conversazioni tra rappresentanti dei diversi paesi, sia in una conferenza che riunisca questi rappresentanti. Per facilitare queste trattative il governo manda i suoi plenipotenziari in paesi neutrali.

      Il governo propone a tutti i governi ed ai popoli di tutti i paesi belligeranti di concludere un armistizio immediato. Esso è d’opinione che questo armistizio non debba avere una durata inferiore a tre mesi, cioè ad un periodo che è largamente sufficiente per permettere non solo la conclusione delle trattative tra i rappresentanti di tutti, senza eccezioni, i popoli travolti dalla guerra o costretti a prendervi parte, ma che permette egualmente la convocazione delle assemblee competenti dei diversi paesi per la ratifica definitiva delle condizioni di pace.

      Rivolgendo questa offerta di pace ai governi ed ai popoli di tutti i paesi belligeranti, il governo provvisorio operaio e contadino di Russia si rivolge in particolare agli operai coscienti delle tre nazioni più progredite dell’umanità ed ai tre Stati maggiori impegnati nella presente guerra, all’Inghilterra, alla Francia, alla Germania. Sono stati gli operai di questi paesi a rendere i più grandi servizi alla causa del progresso e del socialismo. I magnifici esempi del movimento cartista in Inghilterra, la serie delle rivoluzioni di importanza mondiale fatte dal proletariato francese ed infine, in Germania, la lotta eroica contro le leggi eccezionali, e così pure la lenta creazione delle organizzazioni di massa del proletariato tedesco, con uno sforzo costante e disciplinato, che può servire di esempio ai lavoratori di tutto il mondo — tutti questi esempi dell’eroismo proletario, questi monumenti della evoluzione storica costituiscono una sicura garanzia che gli operai di questi paesi comprenderanno che il loro dovere è di liberare l’umanità dagli orrori e dalle conseguenze della guerra, una garanzia che questi operai, con una azione generale, decisiva ed irresistibilmente energica, ci aiuteranno a condurre la causa del popolo felicemente alla vittoria e nello stesso tempo a liberare le masse sfruttate da ogni schiavitù e da ogni sfruttamento.

Quando la tempesta di applausi si calmò, Lenin riprese:

— Noi proponiamo al Congresso di ratificare questa dichiarazione. La rivolgiamo ai governi come ai popoli, perché rivolgendola solamente ai popoli dei paesi belligeranti, noi potremmo ritardare la conclusione della pace. Le condizioni di pace, elaborate durante l’armistizio, saranno ratificate dall’Assemblea Costituente. Fissando la durata dell’armistizio a tre mesi, noi desideriamo dare ai popoli una tregua più lunga possibile, dopo questo sanguinoso sterminio, ed un tempo sufficiente perché essi possano eleggere i loro rappresentanti. Questa proposta di pace urterà contro l’opposizione dei governi imperialisti. Non ci facciamo illusioni in proposito. Ma noi speriamo che la rivoluzione scoppierà ben presto in tutti i paesi belligeranti, ed è per questo che ci rivolgiamo particolarmente agli operai di Francia, d’Inghilterra e di Germania…
La rivoluzione del 6 e 7 novembre — terminò Lenin, — ha aperto l’era della rivoluzione sociale… Il movimento operaio, nel nome della pace e del socialismo, vincerà e compirà i suoi destini…

Vi era in tutto ciò qualcosa di calmo e di potente che scuoteva le anime. Si comprendeva perché la folla credeva quando Lenin parlava…

Si deliberò rapidamente, per alzata di mano, che si sarebbero pronunciati sul progetto solo i rappresentanti dei gruppi politici e che ciascuno di essi avrebbe avuto quindici minuti di tempo.

Il primo oratore fu Karelin a nome dei S.R. di sinistra.

— Il nostro gruppo non ha avuto modo di proporre degli emendamenti al testo del proclama, che è opera del solo partito bolscevico, ma noi voteremo per questo testo perché ne approviamo la sostanza.

A nome dei socialdemocratici-internazionalisti, parlò Kramarov, alto, curvo e miope, che doveva procacciarsi qualche celebrità come clown dell’opposizione. Solo un governo composto da lutti i partiti socialisti, disse, possederebbe l’autorità necessaria per cominciare un’opera di tanta importanza. Se una coalizione socialista si formasse, il suo gruppo ne sosterrebbe l’intero programma; altrimenti, rimarrà favorevole con riserva. Quanto al proclama, gli internazionalisti ne approvavano i concetti essenziali…

Gli uni dopo gli altri, in mezzo all’entusiasmo crescente, diedero la loro approvazione i socialdemocratici ucraini, i socialdemocratici lituani, i socialisti popolari, i socialdemocratici polacchi, i socialisti polacchi, — questi sottolineando le loro preferenze per una coalizione socialista — i socialdemocratici lettoni…

Qualcosa si era bruscamente risvegliato in tutti quegli uomini. L’uno parlava della «rivoluzione mondiale in marcia, di cui noi siamo l’avanguardia», un altro della «era novella di fraternità, nella quale tutti i popoli non saranno più che una grande famiglia…».

Un delegato fece questa osservazione personale:

— Vi è una contraddizione. Dapprima voi offrite una pace senza annessione e senza indennità, e poi dite che prendete in considerazione tutte le offerte di pace. Prendere in considerazione significa accettare…

Lenin scattò:

— Noi vogliamo una pace giusta, ma non temiamo una guerra rivoluzionaria. È molto probabile che i governi imperialisti non rispondano al nostro appello, ma noi eviteremo di lanciare un ultimatum al quale sarebbe troppo facile rispondere di no.
Se il proletariato tedesco comprenderà che noi siamo pronti a prendere in considerazione tutte le offerte di pace, forse questo sarà la goccia d’acqua che farà traboccare il vaso e la rivoluzione scoppierà in Germania…
Noi acconsentiamo ad esaminare tutte le condizioni di pace, ma questo non significa che noi le accetteremo… Vi sono alcune nostre condizioni per le quali noi combatteremo fino alla fine; ve ne sono delle altre per le quali forse stimeremo inutile di continuare la guerra… Noi vogliamo prima di tutto finirla con la guerra…

Erano esattamente le dieci e trentacinque quando Kamenev domandò a tutti quelli che approvavano il proclama di levare in alto le loro tessere. Un solo delegato osò levare la mano contro, ma la violenza delle proteste che gli scoppiarono intorno gliela fece prontamente abbassare… Era l’unanimità.

Mossi da un comune impulso, ci trovammo improvvisamente tutti in piedi, unendo le nostre voci all’unisono, nel lento crescendo dell’Internazionale. Un vecchio soldato, brizzolato, singhiozzava come un fanciullo. Alessandra Kollontai tratteneva le lacrime. Il canto si slanciava possente attraverso la sala, scuotendo le finestre e le porte e perdendosi nella calma del cielo. «La guerra è finita! la guerra è finita!» gridò accanto a me un giovane operaio, il viso raggiante. Poi quando il canto fini mentre restavamo in piedi, in un silenzio imbarazzante, qualcuno gridò:

— Compagni! Ricordatevi di quelli che sono morti per la libertà!

Intonammo allora la Marcia Funebre, quel canto maestoso, malinconico e trionfale insieme, così russo, così commovente. L’Internazionale era una musica straniera. La Marcia Funebre sembrava essere l’anima stessa delle vaste masse, i cui delegati, riuniti in quella sala, costruivano con le loro imprecise visioni una nuova Russia, e forse molto di più.

Siete caduti nella lotta fatale,
Vittime del vostro santo amore per il popolo.
Tutto voi deste per esso,
Per il suo onore, la vostra vita e la vostra libertà…
Soffriste nelle prigioni umide
Condannati da carnefici implacabili;
Conosceste l’esilio e le pesanti catene…
Addio, fratelli; voi seguiste una degna strada,
L’ora si avvicina in cui il popolo si desterà,
Grande, potente e libero…
Addio, fratelli…
Per questa grande causa i martiri della primavera riposavano nella fredda Tomba Fraterna del Campo di Marte, per essa migliaia e decine di migliaia di uomini erano morti nelle prigioni, in esilio, nelle miniere, in Siberia. Non tutto era forse accaduto come essi speravano e neppure come la intellighentia desiderava, ma i fatti erano avvenuti brutali, irresistibili, sdegnosi delle formule e di ogni sentimentalismo, nella loro realtà…

Lenin lesse il decreto sulla terra:

      1) La proprietà privata della terra è abolita immediatamente, senza indennizzo.

      2) Tutte le grandi proprietà agrarie, tutte le terre appartenenti alla corona, ai monasteri, alla chiesa, compresi il bestiame, il materiale agricolo, gli edifici con tutti i loro annessi, sono messi a disposizione dei Comitati agrari contadini

(Volost)

      e dei Soviet contadini di distretto

(Uyezd),

      in attesa della riunione dell’Assemblea Costituente.

      3) Ogni danno recato alla proprietà confiscata, che appartiene ormai al popolo intero, sarà considerato come un grave delitto, da giudicarsi dai tribunali rivoluzionari. I Soviet di distretto dei deputati contadini prenderanno i provvedimenti necessari per mantenere l’ordine più rigoroso durante il trasferimento delle proprietà agrarie, per la determinazione della loro superficie e per la designazione di quelle soggette a confisca, per l’inventario di tutta la proprietà confiscata e per la protezione rivoluzionaria più severa delle imprese agricole, edifici, attrezzi, bestiame, prodotti ecc. da rimettersi nelle mani del popolo.

      In attesa della decisione definitiva dell’Assemblea Costituente, si prenderà come orientamento nell’applicazione delle grandi riforme agrarie l’unita «Istruzione per i contadini», stabilita sulla base di 242 istruzioni contadine locali, a cura delle «

Isvestia del Soviet panrusso dei deputati contadini

      », e pubblicata nel numero 88 del suddetto giornale (Pietrogrado, numero 88, 19 agosto 1917).

    Le terre dei contadini e dei cosacchi che servono come soldati nell’esercito non saranno confiscate.

— Questo non è — spiegò Lenin, — un progetto come quello dell’ex ministro Cernov, che parlava di «costruire un’armatura» e voleva realizzare delle riforme dall’alto. È dal basso e sul posto che sarà risolta la questione della spartizione della terra. La quantità di terra che riceverà ciascun contadino varierà secondo la località…
Sotto il governo provvisorio, gli agrari rifiutavano puramente e semplicemente di obbedire agli ordini dei Comitati agrari, di quei Comitati agrari che erano stati concepiti da Lvov, realizzati da Scingariov ed amministrati da Kerenski!

Prima che la discussione fosse aperta, un uomo si aprì violentemente il passaggio attraverso l’assemblea e salì la tribuna. Era Pianyk, membro del Comitato esecutivo dei Soviet contadini; egli era furibondo.

— Il Comitato esecutivo del Congresso panrusso dei deputati contadini protesta contro l’arresto di nostri compagni, i ministri Salazkin e Maslov — lanciò brutalmente sull’assemblea. — Noi reclamiamo la loro liberazione immediata! Si trovano nella fortezza Pietro e Paolo. Si deve agire immediatamente. Non vi è tempo da perdere.

Un soldato, dalla barba in disordine e dagli occhi fiammeggianti, gli succedette:

— Voi siete qui seduti e parlate di dare la terra ai contadini, ma voi stessi agite come tiranni e come usurpatori contro i rappresentanti eletti dai contadini. Vi avverto — aggiunse, levando il pugno, — che se voi torcerete loro un capello, sarà la rivolta.

L’assemblea cominciava ad agitarsi.

Allora Trotsky si levò, calmo, velenoso, cosciente della sua forza, salutato dalle acclamazioni.

Ieri il Comitato militare rivoluzionario ha deciso di mettere in libertà i ministri S.R. e menscevichi Maslov, Salazkin, Gvozdiov e Maliantovic. Se essi sono ancora a Pietro e Paolo è a causa del nostro enorme lavoro. Ma, in ogni caso, essi resteranno agli arresti in casa, fino a che non avremo esaminato la loro complicità negli atti di tradimento di Kerenski, durante l’affare Kornilov!
— Mai, in nessuna rivoluzione — strillò Pianyk, — si è agito così!
Vi sbagliate — replicò Trotsky,— si è agito così durante questa stessa rivoluzione. Centinaia di nostri compagni, sono stati arrestati durante le giornate di luglio… Quando la compagna Kollontai fu messa in libertà per ordine del medico, Avxentiev fece mettere alla sua porta due vecchi agenti della polizia zarista.

I contadini batterono in ritirata, mormorando, accompagnati da esclamazioni ironiche.

In seguito il rappresentante dei S.R. di sinistra parlò del Decreto sulla terra.

Pur approvando i principi, il suo gruppo non accettava di votarlo senza una discussione preventiva. Conveniva di consultare i Soviet contadini…

I menscevichi internazionalisti avrebbero voluto riunire, prima, il loro gruppo.

Il leader dei massimalisti, l’ala anarchica dei contadini, si espresse così:
— Noi dobbiamo inchinarci dinanzi al partito che sa prendere un tale provvedimento il primo giorno e senza tante frasi.

Poi un contadino, dai lunghi capelli, in stivali e in blusa, comparve alla tribuna. Dopo essersi inchinato verso i quattro angoli della sala, disse:
— Vi saluto, compagni cittadini! Qui intorno c’è ancora qualche cadetto. Voi avete arrestati i nostri contadini socialisti. Perché non arrestate questi altri?

Cominciò così una viva discussione tra contadini, che assomigliava molto a quella avvenuta la vigilia tra i soldati. Apparivano così i veri proletari della terra.

— Questi membri del nostro Comitato esecutivo, Avxentiev e gli altri che noi credevamo i protettori dei contadini, anch’essi sono soltanto dei cadetti! Arrestateli! Arrestateli!

E un altro:
— Chi sono questi Pianyk? Questi Avxentiev? Non sono dei contadini; sono buoni soltanto a chiacchierare.

L’assemblea, riconoscendo i suoi fratelli, li applaudì. I S.R. di sinistra proposero mezz’ora di sospensione. Mentre i delegati uscivano, Lenin si alzò e dal suo posto:
— Non abbiamo tempo da perdere, compagni. Nella stampa di domani mattina dovranno comparire delle notizie di enorme importanza per la Russia. Nessun ritardo dunque.

Sopra il rumore delle discussioni appassionate e dei calpestii risuonò la voce di un emissario del Comitato militare rivoluzionario:
— Quindici agitatori alla stanza 17. Subito! È per il fronte!

Solamente quasi due ore e mezzo dopo, i delegati cominciarono a tornare. Il Presidium riprese il suo posto e la seduta ricominciò con la lettura di telegrammi, annuncianti l’adesione di vari reggimenti al Comitato militare rivoluzionario.

L’assemblea ritrovò poco a poco il suo movimento e la sua atmosfera. Un delegato delle truppe russe del fronte macedone fece una amara descrizione della situazione:
— Noi soffriamo più per l’amicizia dei nostri «alleati» che per colpa dei nostri nemici — disse.

I rappresentanti della X e della XIL Armata, arrivati in quel momento, dichiararono:
— Noi siamo con voi e mettiamo tutte le nostre forze a vostra disposizione.

Un contadino soldato protestò contro la liberazione dei «socialtraditori Maslov e Salazkin»; quanto al Comitato esecutivo dei Soviet contadini, aggiunse, bisogna arrestarlo in massa. Si parlava adesso il vero linguaggio rivoluzionario… Un deputato delle truppe russe di Persia dichiarò che era stato incaricato di reclamare il passaggio di tutto il potere al Soviet. Un ufficiale ucraino, esprimendosi nella sua lingua natale, proclamò:
— Il nazionalismo non c’entra in questa crisi… Viva la dittatura proletaria in tutti i paesi!

Era un vero diluvio delle idee più nobili e più ardenti; mai più, dopo tutto ciò, sarebbe stato possibile di imporre il silenzio alla Russia!

Kamenev, osservando che tutte le forze antibolsceviche cercavano di fomentare ovunque dei disordini, lesse un appello del Congresso a tutti i Soviet di Russia:

      Il Congresso panrusso dei Soviet invita il Consiglio dei Ministri a prendere provvedimenti energici contro i tentativi controrivoluzionari e contro i pogrom antisemiti o altri. L’onore della rivoluzione degli operai, dei contadini e dei soldati, esige che non si tolleri alcun pogrom.

      La Guardia Rossa di Pietrogrado, la guarnigione rivoluzionaria ed i marinai hanno mantenuto nella capitale un ordine perfetto.

      Operai, soldati, contadini, seguite ovunque l’esempio degli operai e dei soldati di Pietrogrado.

      Compagni, soldati e cosacchi, a voi spetta il compito di assicurare il vero ordine rivoluzionario.

    Tutta la Russia rivoluzionaria ed il mondo intero hanno gli occhi fissi su di voi.

Alle due il Decreto sulla terra fu posto in votazione; non vi fu che un solo voto contro, ed i delegati contadini erano pazzi di gioia. I bolscevichi si lanciavano così nell’azione, irresistibili, rovesciando tutte le esitazioni e tutte le opposizioni, soli in Russia ad avere un programma definito, mentre gli altri non facevano che chiacchiere da otto mesi.

Un soldato scarno, vestito di stracci, protestò eloquentemente contro l’articolo dell’«Istruzione per i contadini» che escludeva i disertori militari dalla spartizione delle terre nel villaggio. Fu accolto dapprima da urla e da fischi, ma la sua parola semplice e commovente impose il silenzio:

— Gettato, contro la sua volontà, nel macello delle trincee, di cui voi stessi avete riconosciuto l’assurdità e l’abbominio nel Decreto sulla pace, il soldato ha salutato nella rivoluzione una speranza di pace e di libertà.
Di pace? Il governo di Kerenski l’ha rimandato in Galizia a massacrare ed a farsi massacrare, e Teresctscenko sapeva solamente ridere quando un soldato implorava la pace!… Di libertà? Sotto Kerenski si sono soppressi i suoi Comitati, proibiti i suoi giornali, imprigionati gli oratori del suo partito… Al villaggio i grandi proprietari ignoravano i Comitati agrari, imprigionavano i suoi compagni… A Pietrogrado la borghesia, alleata ai tedeschi, sabotava i rifornimenti dell’esercito in viveri e munizioni, mentre lui mancava di scarpe e di vestiti. Chi l’ha spinto alla diserzione? Il governo di Kerenski che voi avete rovesciato!

Alla fine l’oratore riuscì a strappare gli applausi, ma un altro soldato lo confutò con passione.

— Il governo di Kerenski — disse — non può servire di scusa per atti così sporchi come la diserzione. I disertori sono delle canaglie che se ne tornano a casa e lasciano i loro compagni soli nelle trincee! Qualunque disertore è un traditore e merita di essere punito… (Tumulto, grida: Basta! Silenzio!)

Kamenev si affrettò a proporre di rimettere la questione al governo.

Alle due e mezzo del mattino, si fece un silenzio solenne. Kamenev cominciò la lettura del Decreto sulla formazione del governo:

      II Congresso panrusso dei Soviet dei deputati operai, soldati e contadini, decide, in attesa della riunione dell’Assemblea Costituente, di formare un governo provvisorio operaio e contadino, che avrà il nome di Consiglio dei Commissari del popolo.

      I vari servizi dello Stato saranno amministrati da Commissioni i cui membri dovranno assicurare l’esecuzione del programma del Congresso, in stretto legame con le organizzazioni degli operai, dei marinai, dei soldati, dei contadini e dei funzionari. Il potere governativo appartiene al collegio formato dai presidenti di queste Commissioni, cioè al Consiglio, dei Commissari del popolo.

    Il controllo dell’attività dei Commissari ed il diritto di revocarli spetta al Congresso panrusso ed al suo Comitato centrale esecutivo.

Il silenzio continuò a regnare, ma quando cominciò la lettura della lista dei commissari, gli applausi crepitarono dopo ciascun nome, soprattutto dopo quelli di Lenin e di Trotsky:

Presidente del Consiglio:

      Vladimir Ulianov (

Lenin

      ).

Interni: A. I. Rikov

      .

Agricoltura: V. P. Miliutin

      .

Lavoro: A. G. Scliapnikov

      .

Guerra e Marina:

      un comitato composto di V. A. Ovseienko (

Antonov

      ),

N. V. Krilenko

      e

F. M. Dibenko

      .

Commercio ed Industria: V. P. Noguin

      .

Istruzione Pubblica: A. V. Lunaciarski

      .

Finanze:

      I. I. Skvortsov (Stepanov).

Affari Esteri:

      L. D. Bronstein (

Trotsky

      ).

Giustizia:

      G. I. Oppokov (

Lomov

      ).

Approvvigionamenti: I. A. Teodorovic.
Poste e Telegrafi: N. P. Avilov

      (Gliebov).

Incaricato per le nazionalità:

      I. V. Giugasvili (

Stalin

      ).

Ferrovie:

      Titolare non ancora designato.

[1]La sala era irta di baionette. Il Comitato militare rivoluzionario armava tutti; il bolscevismo si armava per la lotta decisiva contro Kerenski, delle cui trombe il vento del sud-ovest portava gli echi… Nessuno pensava a rincasare; al contrario centinaia di nuovi arrivati entravano nella vasta sala; visi rudi di soldati e di operai che, in piedi per ore ed ore, ascoltavano instancabilmente i discorsi. L’aria era pesante per il fumo delle sigarette, per il respiro degli uomini, per l’odore dei vestiti grossolani e del sudore.

Avilov, redattore della Novaia Jizn, parlò a nome dei socialdemocratici internazionalisti e dei menscevichi internazionalisti rimasti al Congresso; il suo viso giovane ed intelligente, la sua rendigote elegante spiccava nell’ambiente.
— Bisogna domandarci dove andiamo… La facilità con la quale il governo di coalizione fu rovesciato non si spiega con la forza dell’ala sinistra della democrazia, ma con l’incapacità di quel governo a dare al popolo la pace ed il pane. L’ala sinistra riuscirà a mantenersi al potere solo se saprà risolvere questi problemi…
Potrà dare il pane al popolo? Il grano è scarso. La maggioranza dei contadini non sarà con voi, perché voi non potete fornire loro le macchine di cui essi hanno bisogno. È quasi impossibile procurarsi il combustibile e le altre materie di prima necessità…
Quanto alla pace, la difficoltà è ancora maggiore. Gli alleati si sono rifiutati di trattare con Skobelev. Essi non accetteranno mai una proposta di conferenza per la pace fatta da voi. Voi non sarete riconosciuti né a Londra, né a Parigi, né a Berlino…
Voi non potete contare sull’aiuto efficace del proletariato dei paesi alleati, perché, nella maggioranza dei paesi, esso è ancora molto lontano dalla lotta rivoluzionaria. Ricordatevi che la democrazia alleata non è riuscita neppure a condurre in porto la Conferenza alleata di Stoccolma. Circa i socialdemocratici tedeschi, ho parlato poco fa col compagno Goldemberg, uno dei nostri delegati a Stoccolma: i rappresentanti dell’estrema sinistra gli hanno detto che la rivoluzione in Germania è impossibile fino a quando durerà la guerra…

Cominciarono le interruzioni, ma Avilov tenne duro.

— L’isolamento della Russia avrà fatalmente come risultato o la disfatta dell’esercito russo da parte della Germania, e una pace fatta a spese della Russia fra la coalizione austro-tedesca e la coalizione franco-inglese, od una pace con la Germania.
Ho saputo adesso che gli ambasciatori si preparano a partire e che dei Comitati per la salvezza del paese e della rivoluzione si costituiscono in tutte le città della Russia…
Nessun partito ha le forze per vincere queste enormi difficoltà. Solo un governo di coalizione socialista, appoggiato sulla maggioranza del popolo, può condurre a fine la rivoluzione.

Alla fine lesse la risoluzione votata dai due gruppi:

    Riconoscendo che per salvare le conquiste della rivoluzione è indispensabile costituire un governo che si appoggi sulla democrazia rivoluzionaria organizzata nella forma di Soviet dei deputati operai, soldati e contadini, riconoscendo che inoltre il compito di tale governo deve essere la realizzazione di una pace democratica, il più rapidamente che sia possibile, la consegna delle terre ai Comitati agrari, l’organizzazione del controllo della produzione industriale e la convocazione dell’Assemblea Costituente alla data fissata, il Congresso nomina un Comitato esecutivo, incaricato di costituire un governo sulla base di un’intesa con i gruppi democratici che fanno parte del Congresso.

Malgrado l’esaltazione rivoluzionaria di quella assemblea vittoriosa, il ragionamento calmo, obbiettivo di Avilov era stato efficace. Verso la fine le acclamazioni ed i fischi cessarono e si sentì anche qualche applauso.

Gli seguì Karelin, giovane anche lui, intrepido, di una sincerità riconosciuta da tutti. Parlava a nome dei S.R. di sinistra, il partito di Maria Spiridonova, quasi il solo che seguisse i bolscevichi, il partito che rappresentava i contadini rivoluzionari.
— Il nostro partito ha rifiutato di entrare nel Consiglio dei Commissari del popolo, perché noi non vogliamo separarci per sempre da quella parte dell’esercito rivoluzionario che ha abbandonato il Congresso; tale separazione non ci permetterebbe più di servire da intermediari tra i bolscevichi e gli altri gruppi della democrazia… Ora questo è il nostro principale compito per il momento. Noi possiamo sostenere solo un governo di coalizione socialista.
Noi protestiamo contro la condotta tirannica dei bolscevichi. I nostri commissari sono stati cacciati dai loro posti. Il nostro solo giornale, lo Znamia Truda (La bandiera del lavoro), è stato proibito ieri…
La Duma Centrale sta formando contro di voi un potente Comitato per la salvezza del paese e della rivoluzione. Voi siete già isolati ed il vostro governo non ha l’appoggio di alcun altro gruppo democratico…

Trotsky salì allora alla tribuna, pieno di fiducia, l’aspetto di dominatore, con una espressione sarcastica all’angolo delle labbra che era quasi un sogghigno. Egli parlò con voce sonante, e la folla si levò per acclamarlo.
— Le considerazioni sul pericolo del nostro partito di trovarsi isolato non sono nuove. Anche alla vigilia della insurrezione si era predetto che la nostra sconfitta era fatale. Tutti erano contro di noi, eccetto il gruppo dei S.R. di sinistra, che entrò con noi nel Comitato militare rivoluzionario. Come abbiamo potuto allora rovesciare il governo, quasi senza spargimento di sangue? Questo fatto è la prova più evidente che noi non eravamo isolati. In realtà, isolato era il governo provvisorio; isolati e staccati per sempre dal proletariato erano e sono i partiti democratici che marciano contro di noi.
Si parla della necessità di una coalizione. Vi è una sola coalizione possibile, quella degli operai, dei soldati e dei contadini poveri… Di che razza di coalizione vuoi parlare Avilov? Di una coalizione con coloro che hanno sostenuto il governo traditore del popolo? Non sempre coalizione vuoi dire forza. Per esempio, avremmo potuto noi organizzare l’insurrezione se avessimo avuto tra di noi Dan o Avxentiev? (Tempesta di risate).
Avxentiev non ha dato molto pane. Una coalizione con i guerrafondai ce ne darà di più? Tra i contadini e Avxentiev, che ha fatto arrestare i Comitati agrari, noi scegliamo i contadini!
La nostra rivoluzione rimarrà la rivoluzione classica dell’avvenire…
Ci si accusa di respingere una intesa con gli altri partiti democratici. Ma siamo proprio noi quelli che devono essere biasimati? Oppure bisogna, come vuole Karelin, dare la colpa ad un «malinteso»? No, compagni. Quando un partito, in piena lotta rivoluzionaria, ancora avviluppato nel fumo della polvere, viene a dire: «ecco il potere, prendetelo» e coloro cui è offerto passano al nemico, questo non si chiama un «malinteso», è una dichiarazione di guerra a fondo. E non siamo noi che abbiamo dichiarato la guerra.
Avilov ci annuncia che, se noi rimarremo isolati, non riusciremo a concludere la pace. Ripeto che non vedo come una coalizione con Skobelev od anche con Teresctscenko potrebbe aiutarci a fare la pace. Avilov tenta di spaventarci con la prospettiva minacciosa di una pace fatta a nostre spese. Rispondo che, in tutti i casi, la Russia rivoluzionaria sarà inevitabilmente perduta se l’Europa continuerà ad essere governata dalla borghesia imperialista…
Vi sono due sole alternative: o la rivoluzione russa scatenerà un movimento rivoluzionario in Europa o le potenze europee schiacceranno la rivoluzione russa.

Questo discorso fu salutato da immense acclamazioni e da entusiastiche approvazioni; quegli uomini si sentivano i campioni dell’umanità. E da quel momento vi fu in tutti gli atti delle masse insorte un sentimento di coscienza ed una decisione che non le abbandoneranno più.

Ma anche nell’altro campo si organizzava la lotta.

Kamenev diede la parola ad un delegato del sindacato dei ferrovieri, un uomo tarchiato, dal viso rude e marcato da una implacabile ostilità. Le sue parole caddero come un fulmine su tutta l’assemblea.
— A nome dell’organizzazione più potente della Russia, reclamo il diritto di parlare e vi dico: il Vikjel mi incarica di portare a vostra conoscenza la decisione del sindacato circa la formazione del governo. Il Comitato centrale rifiuterà ogni appoggio ai bolscevichi se essi persistono nell’isolarsi dall’insieme della democrazia russa! (Grande tumulto in tutta la sala).
Nel 1905 e durante le giornate di Kornilov i ferrovieri sono stati i migliori difensori della rivoluzione. Malgrado questo, non ci avete invitati al vostro congresso…

— È stato il vecchio Zik che non vi ha invitati! L’oratore non si lasciò smontare.

— Noi non riconosciamo la legalità di questo Congresso, perché, dopo l’allontanamento dei menscevichi e dei S.R., non c’è più il numero legale…
Il sindacato è per il vecchio Zik e dichiara che il Congresso non ha diritto di eleggere un nuovo Comitato…
Il potere deve appartenere ad un governo socialista rivoluzionario, responsabile davanti agli organi della intera democrazia rivoluzionaria. Fino alla costituzione di un tale potere, il sindacato dei ferrovieri, che rifiuta di trasportare a Pietrogrado le truppe controrivoluzionarie, rifiuterà egualmente di eseguire qualsiasi altro ordine senza l’approvazione del suo Comitato esecutivo. Il Vikjel ha anche deciso di assumere tutta la direzione delle ferrovie russe.

Alla fine la sua voce fu quasi coperta dalla furiosa tempesta di ingiurie che si abbatté contro di lui. Ma il colpo era stato rude; lo si vedeva dai visi pensierosi dei membri della presidenza. Tuttavia Kamenev rispose semplicemente che la legalità del Congresso non poteva essere messa in dubbio, poiché era rimasto un numero di delegati superiore ad numero legale fissato dal vecchio Zik, anche dopo la partenza dei menscevichi e dei S.R.

Si passò alla votazione. Il Consiglio dei Commissari del popolo fu sanzionato con una maggioranza enorme…

L’elezione del nuovo Zik, il nuovo Parlamento della Repubblica russa, durò esattamente quindici minuti. Trotsky annunciò la sua composizione: 100 membri, di cui 70 bolscevichi: quanto ai contadini ed ai gruppi dissidenti venivano loro riservati dei posti.

— Noi accoglieremo nel governo tutti i partiti e tutti i gruppi che accetteranno il nostro programma — terminò Trotsky.

Su queste parole, il II Congresso panrusso dei Soviet si separò e subito i suoi membri si slanciarono ai quattro angoli della Russia, per portarvi la notizia dei grandi avvenimenti…

Erano quasi le sette quando svegliammo i conduttori dei tranvai che il sindacato dei tranvieri teneva sempre pronti a Smolni per ricondurre a casa i delegati. Nelle vetture ricolme si manifestava minor gaiezza che durante la notte precedente. Molti apparivano preoccupati; forse pensavano: «Eccoci padroni, ma come faremo a far eseguire le nostre decisioni?».

Da “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, di John Reed
edizione online su: http://www.marxists.org/italiano/reed/10giorni/index.htm

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