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La Connessione Erdmann


Cos’è quell’affare che, all’insaputa di tutti, sta sfrecciando verso la Terra immediatamente seguito da un’altrettanto misteriosa “nave” che si sta dando al suo inseguimento? E perché mai quell’entità cosmica si ostina a comunicare con chi ha più di ottant’anni di età? E’ questo l’incipit di un romanzo di Nancy Kress la cui unica pecca è quella di essere troppo breve, direbbe qualcuno.

Sembra che l’autrice si sia fatta da parte e abbia lasciato vivere la storia da sé. Ci si dimentica che la vicenda è frutto di un’invenzione, ci si crede come quando da bambini credevamo a Babbo Natale (io almeno sì). Nancy Kress rende più facile il gioco che di gran lunga piace a noi lettori, cioè quello di giocare a immaginare che la storia sia veramente accaduta, magari in un altro universo. Ed è proprio in questa caratteristica che sta la differenza tra i buoni romanzi e quelli da buttare. Con i bei romanzi puoi dare peso alla storia come se fosse reale, salvo poi ricordarti, una volta terminata la lettura, che si è trattato solo di una finzione ben architettata. Ma il bagaglio di emozioni e sensazioni che quel libro portava con sé ti rimane impresso nella memoria, e quello sì che è reale, altroché!

Ma torniamo alla storia. La misteriosa entità cosmica (alieno? intelligenza artificiale? la Santissima Trinità?) si accanisce contro i vecchietti di una casa di cura. Ad essere precisi essa manda in stato di trans tutti i vecchietti del pianeta, ma la scrittrice focalizza l’attenzione sulla casa di cura St. Sebastian. Il motivo è presto detto: la casa di cura St. Sebastian è l’unico luogo sulla Terra dove sono presenti le persone adatte a capire, o quantomeno a indagare su ciò che sta succedendo. Come insegna l’antica scuola dei libri e dei film gialli, i fattori che possono rendere una storia interessante sono essenzialmente due. Il mistero, certo, che tiene il lettore col fiato sospeso. Ma deve anche esserci qualcuno che si prenda la briga di risolverlo, questo mistero, altrimenti il romanzo resta ancorato al punto di partenza e non evolve, inducendo chi legge a scaraventare il libro nella spazzatura. Dunque nella casa di cura ci sono due “detective” improvvisati. Ce n’è anche uno vero ma non ci capirà niente fino alla fine. I due indagatori sono composti da un ricercatore di neurologia capitato lì per caso e da un vecchio professore di fisica dell’università (Henry Erdmann) che è anche un paziente della clinica. Come tutte le grandi scoperte della realtà, anche in questa fantomatica storia la scoperta che qualcosa sta comunicando coi pazienti durante i loro stati di trans avviene casualmente. Starà al ricercatore individuare gli indizi che daranno al vecchio professore ciò che gli procura piacere più del sesso: il ragionamento, il puro e semplice piacere intellettuale.

L’autrice passa alternativamente da una testa all’altra, da un personaggio all’altro, ognuno coi suoi pensieri. Questo modo di narrare la storia facendo esprimere, a turno, tutti i personaggi in prima persona fa sì che nel libro non ci siano personaggi principali o comunque fa in modo che la differenza tra personaggi principali e secondari sia davvero sottile, quasi impercettibile. In pratica questo romanzo è una cooperativa.

Si può esprimere un concetto, e dare vita a un’opera completa sotto molti punti di vista in poco più di cento pagine? Sembra di sì, e La connessione Erdmann ne è una prova stampata.

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