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Militant A, la linea d’ombra a Centocelle

Non mi è facile parlare del libro di Luca. Parla delle mie strade, dei posti dove vivo da vecchio e ho corso da giovane, Tra Casilina e Tor de’ Schiavi, tra Centocelle e villa Gordiani e Torre Spaccata, sotto l’Alessandrino e la pista dell’aeroporto che non è più tale da una vita.

Non è facile perché non si ferma un attimo. È in presa diretta con la vita e lo sbattimento universale di chi come noi vive e spesso non ha il tempo di farsi domande troppo complicate.

È facilissimo per lo stesso motivo.

C’è un salto, evidente, continuo, quotidiano, tra “il cantante che fa canzoni bellissime” (parola di Simonetta Salacone, la preside che ognuno avrebbe voluto avere) e il padre di due “selvagge” che l’hanno fatto diventare “grande”. Che l’hanno portato per mano, domanda dopo domanda, problemino dopo problemone, a guardare il mondo da una prospettiva più complicata. Vivendo il conflitto quotidiano di una scuola (l’Iqbal Masih; ed è già una fortuna inaudita, nel deserto di senso di questo inizio millennio), al di là, al di sotto, al di sopra dell’immaginario disegnato nelle sue stesse canzoni, al di là delle piccole semplificazioni identitarie – si può dire, lo dico – che ho visto incrostarsi in molti centri sociali.

Un salto, non uno smarrimento di sé.

Luca attraversa la sua personale “linea d’ombra” conservando se stesso, il suo sguardo pulito e senza secondi fini, la sua voglia di un mondo degno d’essere abitato. E lo fa incontrando – è un caso, una fortuna, un “capitale” – un gruppo di maestre che cercano contro tutto e tutti di fare la scuola che bisognerebbe avere come standard. Come “normalità”.

Attraversa questa linea conradiana senza avventure esotiche, nelle strade di un quartiere dotato di storia e consapevole di averne. Sia nelle parole dei vecchi agli angoli delle strade, sia nei passi frettolosi di questi giovani genitori così diversi l’uno dall’altra.

Scorrono da una rima all’altra i nomi della Gelmina – l’assassina conto terzi della scuola primaria come dell’università – e di tanti “protagonisti” di anni infami, che rischiamo addirittura di ricordare con qualche nostalgia sotto la fretta demolitrice di Renzi & co. Per un solo motivo: in quegli anni già alle nostre spalle c’era ancora qualche isola di sopravvivenza di quel “modello sociale”, di quel tentativo di avere diritti esigibili, conquistato in altre epoche, da altre generazioni. In cui ancora si potevano giocare, in una scuola di semiperiferia – sono distinzioni importanti, in una metropoli di queste dimensioni – modelli pedagogici orientati a sviluppare la personalità dei bambini o dei ragazzi, anziché trovare la quadra dei conti e delle compatibilità contabili.

Il ritmo è quello sul palco, un rap lungo con poche pause tutte ben motivate. La solitudine (“Soli contro tutto”) è un muro contro cui ti vogliono spingere, una gabbia in cui ti vogliono rinchiudere. E che diventa reale, concretissima, quando la piccola comunità di una scuola con tanti problemi risolti insieme si ritrova sotto il Palazzo a inveire alla luna. Senza sponde all’altezza della sfida che deve affrontare. Senza strumenti al di là della propria rabbia e sapienza che non può diventare – in quel momento – offensiva vincente. Sotto la cappa di un potere marziano, lontano, manovratore di macchine che ci bombardano senza vederci.

È la solitudine cui si arriva arretrando, in cui la collettività intera reagisce adottando individualmente – ognuno e tutti – lo stesso atteggiamento: “io speriamo che me la cavo”. Tutti, meno questi splendidi pazzi che guardano ai bambini – da maestre o da genitori – come a persone da far crescere sane e sapienti, non come “risorse umane da preparare alle esigenze del mercato”.

È la solitudine di ognuno di noi in questi tempi. Quella che dobbiamo superare d’un colpo, senza esitazioni. Oggi. Perché è già tardi. Il resto è scienza, ha un’altro ritmo e ci serve saperlo tenere. Ma le nostre gambe stanche corrono ancora al ritmo di Luca per le vie di Centocelle, con le selvagge per mano verso una scuola che è già memoria di un mondo migliore. Quello degno di essere abitato.

Sabato 5 aprile, a Roma – Metropoliz ore 19

dal blog TempoReale

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