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Scuole come caserme. Ma qual è il ruolo dei docenti oggi?

Dopo le polemiche scoppiate a Palermo, in seguito ad un nostro comunicato, dove denunciavamo i fatti accaduti Venerdì 4 Aprile, quando in pieno orario di lezioni, la succursale del Liceo Linguistico “Ninni Cassarà” si è trasformata in una sede staccata della Questura, con docenti interrogati e messi dinanzi alla condizione di denunciare i propri allievi occupanti (occupazione di Dicembre), alunni identificati e fatti oggetto di provvedimenti di natura legale quali interruzione di pubblico servizio e violenza privata. Tutto a distanza di cinque mesi dall’occupazione che ha visto coinvolte quasi tutte le scuole di Palermo, senza che nessuna di queste scuole subisse lo stesso trattamento.
Dopo la manifestazione che Martedì 8 Aprile ha visto studenti Medi, collettivi studenteschi universitari, Cobas, Usb, Slai Cobas e Rifondazione Comunista protestare all’esterno dei cancelli del Liceo per testimoniare la propria solidarietà agli alunni criminalizzati e ai docenti sottoposti ad interrogatorio.
Dopo le sterili risposte del Dirigente Scolastico, trinceratosi dietro comunicati in cui cita articoli del codice di procedura penale, quasi fosse un avvocato difensore di se stesso, con lo scopo di allontanare il vero problema: “Un dirigente deve tutelare docenti ed alunni, opponendosi ad eccessi che potrebbero snaturare quel luogo di formazione, o deve trasformarsi in ufficiale giudiziario?”.
Dopo tutto questo, oggi vogliamo porre una questione che come docenti ed educatori risulta centrale per comprendere la natura degli eventi gravissimi che sono accaduti: un docente “deve” denunciare i propri alunni? Il valore pedagogico dell’incontro formatore-alunno, fatto di reciproca fiducia e crescita, può essere ridotto alla stregua della dinamica di potere, autoritaria e repressiva, denunciate-denunciato?
Abbiamo deciso come sindacato fatto di tantissimi insegnanti, di lasciar rispondere i nostri studenti, che in un loro comunicato in risposta all’eurodeputato Sonia Alfano, più di tanti loro insegnanti, hanno colto in pieno le questioni in campo:
“La scuola non dovrebbe essere un luogo di formazione? Non dovrebbe essere lo spazio in cui i giovani formano le proprie coscienze collettive e individuali? Non dovrebbe essere la fase in cui si scoprono il confronto, il dissenso e la differenza(!) delle idee e delle posizioni? Non pensa che fare indicare da professori incapaci studenti considerati “pericolosi” sia la negazione di tutto ciò? Anni di mobilitazioni non hanno convinto lo Stato che secondo lei ci garantisce (a colpi di denunce, ma per il nostro bene…) a rivedere i piani di smantellamento della formazione pubblica e dei diritti sociali di questo paese. Beh noi, a differenza di quelli che dice essere lei “le povere vittime delle occupazioni”, stiamo provando a cambiare le cose. Forse è proprio questo che a lei, alla procura e ai professori spaventa più di ogni altra cosa: vederci ritrovare la volontà di essere protagonisti delle nostre vite! Vorremmo dedicare un ultimo e rapido pensiero a quei professori (non tutti, attenzione) che si sono prestati a questo sporco gioco. A costoro vorremmo soltanto ricordare che denunciare dei propri studenti che hanno come unica colpa quella di essere politicamente attivi è la negazione stessa del loro ruolo d’insegnamento. Additare e segnalare ragazzi con cui il confronto e la relazione dovrebbero essere quotidiani e di fiducia vi proietta immediatamente fuori da ogni parvenza di comunità scolastica e dell’educazione (che non c’è più ma che qualche sano docente prova ancora ad alimentare) e vi trasforma in meri gendarmi dell’ordine costituito. Sappiamo che queste parole difficilmente vi creeranno sensi di colpa e rimorsi ma ci teniamo a ribadirvi che scelte come quelle compiute venerdì (anche soltanto di tacito consenso) sono il motivo stesso per cui la distanza tra noi e voi diviene sempre più incolmabile. Voi, così,avete scelto di difendere la stessa vergogna contro cui vi lamentavate: riforme, tagli e offerte formative sempre più dequalificanti vi ringraziano di cuore”.
Queste parole dovrebbero far riflettere ogni singolo insegnante, soprattutto coloro che ritengono giusto denunciare i propri alunni, aiutandoli a capire che nascondersi dietro la parola “legalità” significa solo testimoniare la propria incapacità di comprendere la natura del proprio ruolo, mostrate la propria debolezza nella risoluzione delle dinamiche conflittuali all’interno delle scuole, sostituire il valore dell’autorevolezza con quello dell’autorità.
Nel momento in cui il rapporto docente-alunno viene meno … cari colleghi la scuola è finita !

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