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E’ morta Nadine Gordimer, l’anima bianca della lotta all’apartheid

Se n’è andata la scrittrice sudafricana Nadine Gordimer, premio Nobel per la letteratura nel 1991, scomparsa ieri nella sua abitazione di Johannesburg all’età di 90 anni. Nata il 20 novembre del 1923 a Springs, centro minerario ad est di Johannesburg, da una coppia di immigrati ebrei emigrati dall’Europa, la Gordimer ha scritto quindici romanzi e diverse raccolte di racconti. Nel 1974 ha vinto il Booker Prize e nel gennaio 2007 le era stato assegnato il Premio Grinzane Cavour per la Lettura. Il riconoscimento più importante nel 1991 quando è stata premiata dall’Accademia delle Scienze di Stoccolma con il prestigioso premio Nobel per la Letteratura.

La giuria del Nobel giustificò il premio perché la Gordimer era “stata di enorme beneficio all’umanità grazie alla sua scrittura magnifica ed epica”. Solo pochi mesi fa in un’intervista la scrittrice aveva annunciato di essere gravemente malata di un tumore al pancreas e aveva di fatto annunciato il suo addio alla letteratura proprio mentre in Italia stavano per uscire i suoi ‘Racconti di una vita’, 17 storie scritte fra il 1952 e il 2007.
Tra i suoi libri più importanti tradotti in italiano si ricordano !”Racconti di una vita”, “Luglio”, “Qualcosa là fuori” e “Un ospite d’onore”.
Sudafricana bianca, la Gordimer è stata tra i protagonisti della lotta contro l’apartheid sino a stringere amicizia con Nelson Mandela e ad altre grandi figure della storia recente del Sudafrica. Lo stesso Mandela chiese di conoscerla dal vivo e di incontrarla pochi giorni dopo la sua scarcerazione e quando al leader dell’African National Congress assegnarono il Nobel per la Pace il leader politico chiese alla scrittrice di accompagnarlo a Stoccolma: “fu meraviglioso vederlo ricevere quel premio» ricordò la Gordimer qualche tempo più tardi. Nella sua autobiografia lo stesso Mandela riconobbe il debito con la scrittrice di cui in carcere potè leggere le opere (almeno quelle non proibite dal regime segregazionista).
E in un comunicato i figli della scrittrice ricordano proprio quella stagione di impegno e grandi battaglia politiche. “Tra le cose d cui andava più fiera non era soltanto il Nobel vinto ma il fatto di aver testimoniato a un processo nel 1986 e con la sua testimonianza aver contribuito a salvare la vita a 22 membri dell’African national Congress accusati di alto tradimento”.
Amica anche di Miriam Makeba e tanti leader della lotta contro l’apartheid è stata fra i membri fondatori del Congress of South African Writers.

 Negli ultimi anni l’anziana scrittrice era diventata molto critica nei confronti del Sud Africa post-apartheid, e in numerose interviste aveva accusato esplicitamente gli attuali dirigenti del paese e in particolare dell’African National Congress di aver tradito lo spirito e i valori che contraddistinsero l’eroica lotta del popolo sudafricano contro la segregazione razziale. 

Molto esplicite le sue accuse raccolte dal giornalista de La Stampa Paolo Mastrolilli circa un anno fa, che riportiamo di seguito:

 «Ormai in Sudafrica viviamo in una cultura della corruzione, che minaccia l’intero tessuto sociale e nazionale. I responsabili, purtroppo, sono proprio i leader che hanno preso il posto di Mandela. Basti pensare al presidente Zuma, e al palazzo imperiale che si è fatto costruire con i soldi dei contribuenti, per la residenza personale nel proprio stato. Questa avidità per certi versi è comprensibile, perché è ovvio che dopo tanti decenni di repressione e privazioni, la gente voglia togliersi qualche soddisfazione. Però una simile corsa ai posti di potere, e al loro sfruttamento attraverso la corruzione, mi ha sorpreso e ha certamente deluso Madiba». 

 

 

Il suo sogno non è stato realizzato?  

«Quello della libertà sì. L’apartheid non esiste più e il paese è diventato per la prima volta democratico. Tutto il resto, però, manca. Abbiamo fallito soprattutto nell’obiettivo di garantire a tutti la possibilità di affermarsi, e avere una vita decente. Le differenze sociali, il gap crescente tra i ricchi e i poveri, resta l’emergenza principale a cui il paese deve necessariamente rispondere». 

 

L’Anc non ha raggiunto i suoi obiettivi?  

«No. Allora eravamo troppo indaffarati ad eliminare il regime dell’apartheid, e pensavamo che una volta liberi tutto sarebbe stato facile. Eravamo ingenui e non ci concentrammo sul futuro, sui problemi in arrivo, e su come ricostruire il Paese». 

 

Gli insegnamenti di Mandela sono stati seguiti?  

«Mi pare ovvio di no. La liberazione c’è stata, ma la giustizia manca ancora. Oggi vige una cultura incentrata sulla corruzione, di cui sono responsabili anche l’Anc e lo stesso presidente Jacob Zuma. Questo fenomeno però va capito, senza giustificarlo». 

 

In che senso?  

«E’ un’eredità del colonialismo. Per secoli i neri non hanno avuto nulla: da quando hanno ottenuto la libertà e il potere politico vogliono tutto, ed in parte è comprensibile. Ma Zuma non ha seguito gli insegnamenti di Mandela ed è un pessimo esempio per i suoi ministri e per il popolo sudafricano».  

 

Teme che il Sudafrica precipiti nell’instabilità sociale?  

«Certo. C’è già instabilità, basti pensare alle industrie minerarie e agli scioperi dei lavoratori, che chiedono una vita migliore e salari più appropriati. Poi la disoccupazione giovanile, in particolare tra la popolazione nera, è una vera bomba sociale. Tutto questo provoca risentimento, e il risentimento genera la violenza. Ma sprattutto c’è criminalità, che nasce dalla povertà e dalla diseguaglianza. Il pericolo di una disgregazione del paese esiste, e dobbiamo lottare con tutte le nostre forze per impedirla». 

 

Vede anche il rischio di scontri razziali?  

«Questa mi sembra una minaccia meno pressante. E’ vero che le tensioni razziali esistono ancora, ma non penso che rischiamo di tornare alle violenze dell’epoca dell’apartheid. La vera emergenza sta nella diseguaglianza economica e sociale, un problema che non ha colore. Gli abusi vengono commessi tanto dai bianchi, quanto dai neri, e in questo settore colpiscono tanto i bianchi, quanto i neri». 

 

Cosa bisognerebbe fare per affrontare i problemi più gravi?  

«Per cambiare queste dinamiche serve riformare il sistema dell’istruzione. Nelle scuole delle township e delle zone rurali non arrivano neanche i testi scolastici. In realtà l’educazione per la popolazione nera non è cambiata dai tempi dell’apartheid. Abbiamo persone intelligenti, ma quando si arriva a certi livelli servono conoscenze appropriate, che oggi ancora mancano. Io sono solo una semplice cittadina, e non ho programmi politici da offrire. Però mi sembra che il primo settore su cui dovremmo intervenire poi è quello del lavoro. Le grandi risorse minerarie del Sudafrica, ad esempio, vengono ancora sfruttate in maniera non equilibrata. Le proteste esplodono a ragione, perché i lavoratori sono vessati e pagati male. Cominciamo a trattarli meglio, alzare i loro salari, e costruire su questo primo passo un programma che offra davvero a tutti la possibilità di riscattare le loro esistenze». 

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