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La verità spuria di Saviano e la carne nel recinto di Gaza

Come al solito le parole pubbliche di un personaggio creano un vortice di perbenismo, dove si mesce la volontà storica con la propria vanità. Le parole di Roberto Saviano si pongono all’interno di una questione delicata, dove le ruggini temporali sono incrostate dai cadaveri, e dove il pacifismo della peggior bassa lega affonda le sue radici.

Le notizie che arrivano dal Medio Oriente straziano.

Se potessi esser ascoltato, chiederei la fine dei bombardamenti.

Chiederei al governo israeliano di fermarsi immediatamente.

Chiederei ad Hamas di smettere con i razzi.

Le morti dei bambini nei bombardamenti a Gaza scuotono lacerano impressionano. Come i bambini che muoiono in Siria, dove è in corso un conflitto che non indigna, un conflitto che in quasi tre anni ha fatto oltre 140mila vittime di cui 8mila sono bambini.

Da che parte stai? Mi gridano i tifosi della politica. Mi grida chi sta facendo del conflitto tra Israele e Palestina qualcosa di diverso che non la ricerca della pace. Di una pace vera e duratura che gioca una partita importante anche qui e inizia dalle parole.

Da che parte stai? Mi grida chi ignora la guerra civile siriana perché lì è più complesso tifare. In Siria per prendere parte devi conoscere.

Da che parte stai? Mi grida chi ci ha messo settimane per appoggiare Euromaidan perché in piazza c’erano gruppi di destra.

Mi pongono ossessivamente la domanda più inutile di tutte, credendola fondamentale: sei con Israele o con i palestinesi? Sono con la pace, con chi altri potrei essere?

E per farla bisogna dare spazio alla parte israeliana che vuole la pace e alla parte palestinese non fondamentalista. Ce la facciamo ad ascoltare chi non grida per odio? Spero di sì, almeno noi che non viviamo sotto le bombe e che dovremmo fare del ragionamento e del buon senso la nostra unica arma

La verità di Saviano è spuria, fuori da ogni contesto storico perché come i migliori ballerini danza sopra le maree dell’opinionismo. Il falso intellettuale ha questo preciso ruolo nella società moderna: creare tepori privi di conflitto, dove inavvertitamente si fa bandiera di una universalità vaga e qualunquista, perché dissociato e privo di ogni analisi critica; perché ignavo, superfluo e caratterista; perché Saviano non è un intellettuale, ma è un personaggio pubblico che recita la parte dell’intellettuale.

La risposta di Vittorio Arrigoni (in video) di qualche anno fa all’intervento di Saviano ad un’assemblea dei sionisti a Roma è abbastanza esauriente. La guerra, che il militante e pacifista (un pacifista vero, che ha sacrificato la sua stessa vita per una causa) ha combattuto non è finita, non è mai stata dimenticata, differentemente Saviano si sveglia e rabbrividisce, quando nessuno, gli chiede “da che parte sta” si sente costretto a non rispondere.

Probabilmente Vittorio Arrigoni non sarebbe mai stato amico di Fazio, non avrebbe creato programmi per i progressisti benpensanti; Vittorio Arrigoni non era un intellettuale: era un militante, che per un’idea ha combattuto fino alla sua morte, probabilmente con la coscienza che quella sarebbe stata la sua fine.

Differentemente da Saviano, che preferisce non schierarsi, e si dimena tra le sue oblique parole, qualcuno affronta la realtà dei fatti, e crea una reale scissione politica, perché quello che sta avvenendo al popolo palestinese è una posizione che non può essere trattata, poiché essi hanno una memoria che dal 1948 ricorda loro una vita strappata, un sopruso indimenticabile.

Come semplicisticamente ha detto qualcuno, questa non è una guerra:è un massacro o piuttosto una carneficina.

Il termine carneficina è infatti adatto per un motivo preciso: la carne è quell’oggetto che consumiamo quotidianamente, ma che suscita in noi una mostruosa e terribile premessa: quella di essere noi stessi soggetti a questo consumo.

Come carne in un recinto, la striscia di Gaza serve ad Israele per poter mantenere il suo controllo interiore; la costruzione di un nemico vicino è immanente in un processo degenerativo di disumanizzazione dello Stato israeliano.

Questo allevamento umano è di necessaria importanza per la propria strategia politica: le armi, gli atti di forza costantemente palesati dall’esercito di Israele, fanno parte di un percorso reazionario che noi ben conosciamo negli anni recenti del colonialismo.

Non c’è nessun esercito da distruggere, non c’è nessun fine strategico, se non quello del mantenimento di questo scempio a cui i dissociati spettatori di tutto il mondo assistono senza prender posizione. La potenziale minaccia di Israele basta da anni per poter finire una guerra: essi “possono” invadere il territorio palestinese in qualsiasi momento.

Ma non vogliono.

Sappiamo però che questa carneficina, a cui assistiamo da troppo tempo (e di cui siamo partecipi attivamente con la vendita di mezzi assassini e di profitti internazionali sulle acque di quel popolo), è voluta, da uno stato che non vuole altro che allevare esseri umani, giocando con la vita e la morte, con quella semplicità di cui è capace l’essere umano quando non è in grado di far valere la ragione e il suo intelletto.

Saviano risponde a tutto questo con il luogo comune, la disinformazione mascherata da conoscenza, dallo stereotipo del progresso spontaneo in cui ci si riconoscono solo gli sciocchi e gli imbecilli che lo seguono.

La verità sfugge alle interpretazioni colorate degli intellettuali di oggi, che cavalcano le onde dello sdegno e soffrono come scolarette per gli abomini di questo mondo.

Un intellettuale deve avere coraggio, fino in fondo di portare a termine un processo logico che sta all’interno di un contesto sociale e metastorico, la profondità in cui si immerge in questi studi è direttamente proporzionale alla qualità di un intellettuale.

Saviano con la sua flebile voce racconta un trauma personale, e ci sensibilizza, forse, alla vocazione pacifista più squallida che siamo costretti a vedere, dimenticando che l’elemento fondamentale del pacifismo non è la quiescenza, ma la temperanza.

 

 

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