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Una serata con Angela Davis

Accingendomi a scrivere il resoconto della bella serata che ho trascorso il 18 Settembre, una cascata di pensieri irrompe dalla mia mente. Andiamo con ordine.
Angela Davis è una ragazza di settant’anni. Questo è stato il mio primo pensiero, appena l’ho vista seduta a un tavolo di quelli da mensa scolastica, presso la sede dell’ARCI “Cantagalletto” di Savona, ieri sera. La capigliatura nera e folta, uno dei suoi segni distintivi, c’è ancora, spruzzata di bianco e riflessi rame, e incornicia il sorriso caldo e lo sguardo vivace. Ciò che ho pensato non è stato smentito dal suo atteggiamento, che è stato cordiale con tutte le persone che si avvicinavano a lei, chi per chiederle di autografare la sua “Autobiografia di una rivoluzionaria” (come mio padre), chi per farsi fotografare accanto a lei, chi per stringerle la mano.

L’affetto e la stima altissima dimostrati dagli ospiti della serata organizzata dalla società di Mutuo Soccorso sono stati altrettanto degni di nota. Dopo una vivificante e luculliana cena a base di pizza e focaccia, serviti dalle cortesi signore dell’associazione, la ‘pasionaria’ ha preso la parola, ringraziando innanzitutto i presenti per la gentile accoglienza. Ha poi iniziato a esaminare a grandi linee vari fatti di cronaca che coinvolgono la comunità afroamericana e il governo statunitense, riflettendo sul gravissimo caso del diciottenne afroamericano Michael Brown, ucciso da un poliziotto (bianco) a Ferguson, in Missouri. Angela Davis ha voluto sottolineare il parallelismo tra la polizia statunitense, o perlomeno il razzismo che permea alcune sue frange, e il razzismo violento perpetrato dai soldati israeliani in Palestina. A tale proposito, mi permetto di ricordare che molte armi e sistemi militari usati da Israele nei confronti dei Palestinesi sono prodotti in Italia.

Riallacciandosi alla sua feconda collaborazione con il popolo cubano (e mettendo in luce anche il ruolo dell’Associazione Italia-Cuba, che organizza diversi eventi in Italia per far conoscere la cultura e la società dell’isola caraibica) e in special modo con Fidel Castro, ha poi fatto emergere un altro nodo importante dell’attualità politica americana, e cioè la detenzione negli Stati Uniti dei cinque agenti dell’’intelligence’ cubana accusati di quel terrorismo contro cui loro stessi lottavano, e ha auspicato una presa di posizione positiva nei loro confronti da parte di Barack Obama prima della fine del suo secondo mandato. Il presidente americano, ci ha tenuto a ricordare la studiosa, non ha infatti mantenuto la sua promessa di chiudere Guantanamo, promessa da lui fatta all’inizio del suo primo mandato.
Non bisogna demonizzare l’uso dei ‘social networks’, dice la Davis. Essi, infatti, se usati con intelligenza e criterio, sono un veicolo veloce di comunicazione e permettono l’aggregarsi di molte persone in poco tempo, proprio come è accaduto dopo l’uccisione di Michael Brown , quando centinaia di persone si sono organizzate, usando questi canali di comunicazione, per manifestare contro la polizia.

Tornando alla spinosa questione israelo-palestinese, ha messo in luce il coraggio dei ‘Freedom Riders’ che attraversano i territori palestinesi (e in particolari la Cisgiordania) con un bus, chiamato appunto ‘Freedom Bus’, un teatro itinerante che si staglia come una chiazza di colore nelle grigie terre dei patriarchi.
Tra un applauso con abbaio e un altro (il cane di una signora abbaiava ogni volta che c’era un applauso, strappando anche qualche sorriso alla nostra ospite), miss Davis ha infine ricordato la lezione di Antonio Gramsci, che considera uno dei suoi modelli, e ha raccomandando di continuare a vigilare affinché la piaga del razzismo non si propaghi, e con orgoglio ha concluso: “Free Palestine!”.
Ero emozionata, da tempo non seguivo una lezione (sì, una lezione, come quelle che si dovrebbero seguire a scuola o in università) così appassionante. Dopo che il crocchio di persone che volevano salutare Angela Davis si era sfoltito, ho preso coraggio e mi sono avvicinata a lei. Facevo affidamento sulla sua pazienza; la sua giornata, infatti, era stata piuttosto ricca dato che nel primo pomeriggio aveva partecipato a un incontro presso il Palazzo Ducale di Genova e doveva essere stanca.
Le chiesi cosa pensasse del ruolo dell’educazione nella lotta al razzismo e se si potesse evitare che questo morbo sociale iniziasse a mettere radici sin dall’infanzia. Lei mi ha risposto che l’educazione è sicuramente importantissima e ha ricordato che i suoi stessi genitori erano insegnanti. Mi ha chiesto che cosa studiassi e se fosse mia intenzione diventare insegnante; le ho risposto che non lo sapevo, la situazione in Italia per noi giovani non è rosea e diventa quasi impossibile fare programmi per il futuro. Mi ha consigliato due libri da leggere: “Decolonizing the Mind” di Ngugi wa Thiong’o e “Pedagogy of the Oppressed” di Paulo Freire. E poi mi ha detto di seguire le mie passioni. L’ho ringraziata per la sua disponibilità e la sua cortesia.
Non sono una persona che si lascia trasportare facilmente dalle emozioni. Ma tornando a casa, pensavo che Angela Davis è davvero una grande donna. Forse, ho detto a me stessa, non aveva seguito le sue passioni: erano state le sue passioni a seguire lei.

 

 

 

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