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Dieci anni fa moriva Yasser Arafat, simbolo della resistenza palestinese

Oggi sono dieci anni che Yasser Arafat, Abu Ammar per il suo popolo, è morto in un ospedale parigino dopo essere stato chiuso e assediato per due anni dalle truppe israeliane nel palazzo della Mukata a Ramallah. Ci sono ormai le prove che lo storico leader della resistenza palestinese sia stato avvelenato, lentamente, con polonio radioattivo. In Palestina e in diverse città del mondo, ci saranno cerimomie e manifestazioni per ricordare Abu Ammar. A Roma l’appuntamento, ormai consolidato, è alle ore 18.00 alla lapide che i movimenti di solidarietà hanno installato da nove anni a San Lorenzo. La comunità palestinesi e le associazioni solidali con la Palestina sono tornate a chiedere che una strada della Capitale venga dedicata al leader palestinese. In questi anni, prima con Veltroni poi con Alemanno, il Comune di Roma ha fatto orecchie da mercante e si è sempre piegato ai diktat della lobby sionista di Roma.

Ma anche in Palestina non tutto fila liscio per la commemorazione del decennale della morte del leader palestinese. Al Fatah ha annullato le commemorazioni per il decennale della morte di Arafat a Gaza. Lo ha annunciato il presidente palestinese Abu Mazen, dopo che le autorità di Hamas nella Striscia di Gaza hanno fatto sapere di non poter tutelare la sicurezza durante le celebrazioni. Nonostante che nello scorso aprile Hamas e Fatah abbiano firmato un accordo per l’unità nazionale, la situazione dentro Gaza ha visto una serie di esplosioni contro le abitazioni di dirigenti di Fatah.

Nel1 964, Yasser Arafat insieme ad altri leader palestinesi diede vita alla OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

Nel maggio del 1968 i fedayn palestinesi dell’Olp riscattano la sconfitta araba nella guerra dei Sei Giorni e infliggono una dura sconfitta militare all’esercito nella località di Al Karameh, in Giordania, respingendo una offensiva israeliana e dimostrando sul campo che era possibile battere sul campo le truppe sioniste.
Il 3 febbraio 1969, Yasser Arafat, leader di Fatah, venne eletto anche presidente dell’OLP, operando una aperta rottura rispetto al passato. L’OLP non era più una struttura che dipendeva dalle nazioni arabe, ma un’organizzazione indipendente e nazionalista. La sua base era in Giordania ma dopo la repressione del Settembre Nero del 1970 da parte delle truppe di Re Hussein contro i palestinesi, Arafat riparò in Libano dove l’Olp cominciò a strutturarsi con grande efficacia. Sia tra le centinaia di migliaia di profughi palestinesi cacciati nel 1948 da Israele, sia raccogliendo la diaspora palestinese da tutto il Medio Oriente. 

Il 13 novembre 1974, Arafat fu il primo rappresentante di un’organizzazione non governativa a parlare ad una sessione generale delle Nazioni Unite, ponendo in agenda la questione palestinese da un altro punto di vista. Erano gli stessi palestinesi – e non più i regimi arabi – a farsi portavoce delle loro esigenze. Lo stesso anno, Arafat ordinò all’OLP di sospendere qualsiasi azione militare al di fuori di Israele, e dei territori occupati della Cisgiordania e della striscia di Gaza. Ma gli Stati Uniti continuarono a rifiutare ogni dialogo con l’OLP – il goodbye di Brzezinski all’Olp caratterizzò questa fase . Il diktat era fin quando l’organizzazione palestinese non avesse riconosciuto il diritto di Israele ad esistere, non ci sarebbe stato alcun negoziato.

Nel 1982 Israele scatena una pesante offensiva militare contro le strutture palestinesi in Libano. E’ l’anno delle stragi nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila. Arafat e i fedayn sono costretti a ritirarsi. Ma lo stesso Arafat rientrerà in Libano l’anno successivo dove però sarà costretto a fare i conti con la scissione di Al Fatah/Intifada, ispirata dalla Siria e guidata da Abu Moussa, che innesca una guerra fratricida nei campi palestinesi, in particolare a Tripoli nel nord del Libano. Sembra la fine di Yasser Arafat e dell’Olp che si ritirano e si riorganizzano in Tunisia. Ma non è così. Quattro anni dopo, nel 1987 esplode la Prima Intifada contro l’occupazione israeliana in Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme est. La rivolta impegnerà le truppe sioniste per due anni. Nel 1988 ad Algeri l’Olp rende pubblica la sua dichiarazione di indipendenza della Palestina, uno Stato indipendente sui territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est capitale. Si apre in questo modo la finestra dei “due popoli per due stati”.

Nel 1990 Arafat appoggia i diritti dell’Iraq e l’invasione del Kuwait. Alla fine della prima guerra del Golfo e dell’intervento militare Usa nel 1991, Arafat e l’Olp sembrano nuovamente spacciati, ma anche questa volta non sarà così. Dall’isolamento dell’Olp seguito alla guerra del Golfo esce invece il negoziato di Madrid con Israele e mediato dagli Stati Uniti. Prima a Camp David e parallelamente – nei fatti – a Oslo, le due delegazioni raggiungono un accordo che consente la nascita di una Autorità Nazionale Palestinese sul territorio di Cisgiordania e Gaza. A Yasser Arafat e Itzak Rabin viene conferito il Premio Nobel per la Pace per l’accordo raggiunto.  Nel 1994 Arafat e la leadership dell’Olp rientrano, dopo più di quaranta anni di esilio, in Palestina. Ma gli accordi di Oslo aprono contrasti mai sopiti all’interno delle forze della resistenza palestinese che si trascinano tuttoggi.

Nonostante gli accordi di Oslo, la pressione coloniale israeliana diventa insopportabile. Nel 1990, il leader sovietico Gorbaciov aveva sbloccato i visti per gli “ebrei sovietici” e una migrazione di massa, più di 600mila persone, anche non ebrei ma immigrati economici, si riversa in Israele. Le autorità israeliane gli hanno promesso terre, case, lavoro ed ora dispongono della massa critica per rovesciarla sui territori palestinesi con nuovi insediamenti coloniali. Nel settembre del 2000, con la provocazione di Sharon alla spianata delle Moschee, scoppia la seconda Intifada. Questa volta i palestinesi non si limitano alla rivolta delle pietre ma, forti del successo della resistenza libanese, passano anche alla lotta armata e agli attentati suicidi.

L’offensiva israeliana è violentissima. Migliaia di morti, di case distrutte, di palestinesi imprigionati. Lo stesso Arafat viene assediato dentro il palazzo presidenziale dell’Anpo, la Mukata, dove resterà chiuso fino al 2004 quando, in base ad un accordo, viene fatto uscire dalle truppe israeliane per andarsi a curare a Parigi. In realtà, il piano per togliere di mezzo il più autorevole leader palestinese è già avviato e l’11 novembre del 2004 Yasser Arafat muore in un ospedale parigino. L’ex leader palestinese è stato avvelenato con polonio radioattivo. Al momento della sua morte in un ospedale di Parigi nel 2004, i medici francesi avevano parlato di ictus, senza entrare nei dettagli del decesso. Ma secondo i risultati di un laboratorio di Losanna resi noti dalla televisione Al Jazeera, nelle ossa e nei resti di Arafat, riesumati a novembre, sono state trovate “inaspettate alte quantità di polonio”- diciotto volte la Dlm (dose letale massima) – che confermano la tesi dell’avvelenamento del leader palestinese.

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