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L’Eresia Bolognese. Documenti di una generazione ribelle

“L’eresia bolognese”, a cura di Paolo Brunetti e pubblicato da Edizioni Andromeda, si compone di alcuni saggi critici, scritti a più mani, sulla situazione economica e politica attuale. Costituisce uno straordinario spunto teorico per riflettere sul presente, alla luce di ciò che accadde negli anni Settanta a Bologna e in Italia in generale. Ma il testo ha anche un importante valore storico: contiene un dvd con duemila pagine di giornali, manifesti e volantini dell’epoca e il video “Rivolta”, in cui viene narrata direttamente dalla voce dei protagonisti, quella particolarissima e credo irripetibile esperienza che coinvolse centinaia di migliaia di persone in un Movimento che coltivava il sogno di ribaltare l’esistente, proponendo nuovi contenuti e nuove categorie interpretative del reale.

Un movimento eretico per sua stessa composizione: accanto a studenti, donne e militanti, moltissimi operai, soprattutto quella maggioranza non garantita e non sindacalizzata. Un movimento che forse istintivamente e senza precise basi teoriche, intuì che il nodo delle rivendicazioni non era la richiesta di lavoro, ma di Reddito.
A Bologna, la città del Pci per eccellenza, quel movimento era il paradigma dell’Eresia. Infatti, sottolineano gli autori del libro, si infrange per la prima volta il mito del lavoro salariato come “orizzonte di vita, a vita”; si contestano le politiche di quel Partito Comunista che con Berlinguer, di lì a pochi anni, lancerà parole d’ordine quali Austerità ed Etica del sacrificio, sulla pelle dei più deboli.

Gli autori connettono magistralmente passato e presente; consentono al lettore di avere una visione prospettica ampia, rispetto ai problemi dell’attualità.
Gli Autonomi urlavano nelle strade “Rifiuto del lavoro”, avanzando richieste radicali come un reddito sociale garantito, aumenti salariali e la possibilità di lavorare tutti e meno per godere di maggior tempo da dedicare allo sviluppo pieno della propria personalità umana; nel frattempo il Partito Comunista avanzava a grandi passi verso la stagione della riduzione della Spesa pubblica, principale fonte di reddito per la maggior parte dei cittadini. Mentre in piazza si chiedeva la liberazione dalle fatiche del lavoro, il Pci imboccava la strada del neo-liberismo; non a caso tutti i principali provvedimenti di smantellamento del welfare, sono stati attuati proprio da Pci ed eredi.

Oggi, il debito pubblico viene indicato come il peggior nemico dello Stato, mistificando totalmente la realtà. Basterebbe possedere una superficiale conoscenza in ambito economico per ribattere a questa tesi. Il debito è la misura della ricchezza dei cittadini; è ciò che lo stato spende per produrre reddito sotto forma di beni e servizi. Finché una nazione ha una sua moneta, emessa dalla propria banca centrale, non ha nessun problema a rifinanziarsi. La questione cambia se, come nel caso italiano, si è abbandonata la propria sovranità monetaria. L’euro non è una valuta né nazionale né sovranazionale; è semplicemente la moneta di una mega-banca che emette prestiti e ne esige il pagamento con gli interessi a scadenze fisse.
Questo dato di fatto è sotto gli occhi di tutti. La questione centrale è che il principale responsabile della situazione è proprio quel Partito Comunista che ci ha traghettati nell’euro, sotto le ruote di quella gigantesca distruttrice di reddito che è la politica monetaria europea.

Oggi il lavoro non c’è e non si vedono grandi prospettive in tal senso; lo sviluppo tecnologico sta oggettivamente portando alla morte la civiltà fondata sul “Lavoro Vivo”. Allora, la richiesta di reddito avanzata dal Movimento dell’Autonomia negli anni Settanta, ci pare pregnante e attuale; un filo rosso lega le lotte di allora con quelle di oggi: diritto alla casa, alla salute e all’istruzione pubblica, alla sostenibilità ambientale sono tutti temi riconducibili alla voce, Reddito per tutti.

Come allora, qualsiasi movimento di lotta che pretenda giustizia sociale, viene criminalizzato e marginalizzato dai grandi media. Allora, non si ebbe la forza per imporsi; oggi, secondo gli autori, i tempi sono maturi per un cambiamento radicale di prospettiva.

È quindi giunto il momento di stravolgere il vocabolario, di sconfessare quei sindacati confederali che continuano a chiedere posti di lavoro e si accontentano del jobs act renziano.
E’ ora di reclamare, quale diritto sacrosanto dell’essere umano, un “reddito senza miniera”.

* Radio Machete (Bologna)

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