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Ci muovemmo con bandiere al vento portate su biciclette…

Il materiale di documentazione di fonte orale, storico o etnografico, subisce a volte, in Italia, uno strano destino, che è quello di rimanere negli archivi, non utilizzato, dopo la sua realizzazione, anche per decenni. Così è stato per una serie di interviste sull’occupazione delle terre dell’Arneo, realizzate negli anni ottanta per l’Istituto Gramsci di Puglia, da Luigi Chiriatti e Dora Raho.

Solo nell’estate scorsa queste interviste hanno potuto essere rese disponibili al pubblico grazie a una bella pubblicazione delle edizioni Kurumuny: Terra rossa d’Arneo, le occupazioni del 1949-51 nelle voci dei protagonisti curata da Luigi e Paolo Chiriatti (un libro di 274 pagine e due CD audio, € 23).

Questa pubblicazione è un documento necessario per conoscere la storia delle lotte bracciantili che si svilupparono nel comprensorio dell’Arneo, uno dei più vasti latifondi del Salento che i proprietari lasciavano incolto e preferendo usarlo come pascolo di pochissimi bovini (le statistiche parlano di uno a kilometro quadrato).

Per capire le origini delle lotte dei braccianti nell’Arneo degli anni 49-51 del secolo scorso si deve prendere in considerazione la condizione di estrema povertà che essi vivevano e porla appunto a confronto con la presenza di terre non coltivate e con il decreto legislativo firmato il 19 ottobre 1944 dall’allora ministro dell’Agricoltura del secondo governo Badoglio, il comunista Fausto Gullo. Tale decreto stabiliva la possibilità per le associazioni di contadini regolarmente costituite di ottenere la concessione di terreni di proprietà privata o di enti pubblici che risultassero non coltivati o insufficientemente coltivati. La legge Gullo era molto complessa, poiché tendeva non solo alla redistribuzione delle terre ma anche a una riforma dei patti agrari, in modo da garantire ai contadini di poter fruire del 50% della produzione, un incoraggiamento ai lavoratori a consegnare i prodotti ai magazzini statali e, fatto di grande importanza, il divieto di intermediari tra contadini e proprietari (insomma, la fine dei cosiddetti “caporali”e di altri faccendieri). Inoltre, tale legge – osserva Dora Raho nel suo saggio – costituiva anche una spinta all’organizzazione collettiva dei contadini in cooperative o comitati, poiché, come si è scritto, le terre potevano essere date a loro associazioni regolarmente costituite. Un incentivo importante a uscire dall’individualismo e passare a una visione collettiva e cooperativa della propria vita lavorativa.

Purtroppo, nel secondo governo De Gasperi (luglio 1946) Fausto Gullo fu sostituito da Antonio Segni, ricco proprietario terriero democristiano, il quale introdusse modifiche che ebbero l’effetto di depotenziare quanto previsto dalla legge Gullo. In particolare, democristiani e liberali pretesero che le commissioni che decidevano la legittimità dell’assegnazione delle terre fossero composte da tre membri: il presidente della Corte d’Appello, un rappresentante dei proprietari e uno dei contadini; ciò provocava che in genere vi fosse una maggioranza precostituita a favore dei proprietari.

Ancor peggio andarono le cose dopo la vittoria elettorale democristiana del 18 aprile 1948, quando gran parte delle terre conquistate dai contadini con la legge Gullo furono perse in ragione delle modifiche introdotte da Segni: la maggior parte dei contadini si trovò senza terra.

Non valse, a riequilibrare la situazione, la proposta di un “Piano del lavoro” formulato da Giuseppe Di Vittorio, segretario della CGIL, che si occupava della bonifica agricola in un contesto più ampio, volto a favorire l’occupazione nell’ambito di una politica di sviluppo. Il pesante clima di guerra fredda, che aveva portato all’estromissione delle sinistre dal governo, la scissione sindacale cislina, il clima di attacco alle classi popolari da parte della Democrazia Cristiana portarono al sostanziale rifiuto del “Piano del lavoro” da parte del governo De Gasperi.

L’Arneo non era l’unico latifondo presente in Puglia, ma –osserva Remigio Morelli nel suo saggio in Terra Rossa d’Arneo – era, in questo contesto sociale e nell’immaginario collettivo, “il latifondo per antonomasia, la plastica metafora dell’ingiustizia sociale, dove ogni vacca delle mandrie dei massari disponeva di due ettari per pascolare, ma dove un bracciante disoccupato che si fosse introdotto senza permesso nella macchia a rimediare un fascina di legna o a raccogliere lumache, funghi o erbe, poteva essere bastonato dai guardiani o addirittura ucciso a colpi di fucile, come era accaduto, negli anni terribili del dopoguerra, al povero Antonio Contejanni di Nardò” (pag.35). Probabilmente fu proprio questa immagine simbolica che portò i braccianti a concentrarsi sull’Arneo rispetto ad altre zone salentine, nonostante che, dal punto di vista agricolo non offrisse terre particolarmente fertili.

Le agitazioni bracciantili in Puglia iniziarono nei primi mesi del 1949; giova ricordare che in tutto il Mezzogiorno si ebbero tra il 1947 e il 1951 occupazioni delle terre, che videro momenti drammatici in diverse stragi di lavoratori, come a Portella della Ginestra in Sicilia, a Melissa in Calabria, a Montescaglioso in Basilicata, e ancora proprio in Puglia a Torremaggiore.

E’ sempre Remigio Morelli che ci informa anche sui dilemmi vissuti all’interno dei gruppi dirigenti sindacali e comunisti sulla linea da seguire e sulle divergenze tra chi desiderava costruire un fronte unico dei lavoratori della terra (piccoli proprietari, coloni, mezzadri, coltivatori diretti) che anche attraverso una combinata azione parlamentare si proponesse di giungere a un’organica riforma agraria e la linea sostenuta invece da Federterra e Leghe bracciantili, rappresentanti dei settori più poveri, che vedevano nell’occupazione delle terre il modo più diretto di dare sollievo alla miseria.

Prevalse la seconda linea e, come narra l’ex deputato comunista Giuseppe Calasso, il dirigente più impegnato e più esposto nelle lotte bracciantili dell’Arneo, i lavoratori si mossero “con bandiere al vento portate su biciclette”, in modo quasi spontaneo e poco organizzato, ma inarrestabile: nei 45 giorni tra il dicembre 1949 e il gennaio 1950 una massa imponente di braccianti e contadini poveri occupò le terre dell’Arneo.

La rivendicazione dei lavoratori era chiara: non ci si poteva fermare a un possesso temporaneo, ma, su indicazione della CGIL e del responsabile agricoltura del PCI Ruggero Grieco, si puntava a ottenere dei contratti di enfiteusi1, che aprivano la prospettiva dell’acquisizione definitiva delle terre da parte delle cooperative bracciantili.

La lotta parve volgere alla vittoria quando una delle principali latifondiste, Tina Tamborino, accettò di firmare tali contratti con i rappresentanti dei lavoratori; tuttavia tali accordi contenevano una clausola dissolvente poiché la loro applicazione era subordinata all’approvazione della riforma agraria generale, che non avvenne mai. Altri agrari s’impegnarono con il prefetto di Lecce a cedere 4500 ettari di terra, ma alla fine quest’ultimo ne assegnò solo 1000 e quasi tutti a cooperative e associazioni riconducibili alla DC e alle ACLI. I lavoratori che avevano occupato le terre furono sistematicamente esclusi dall’assegnazione, operazione che fu condotta con criteri politici e clientelari. E’ chiaro quindi che gli occupanti si sentirono beffati e offesi, decisi ad aprire una nuova fase di lotta, che iniziò nel dicembre del 1950.

La seconda fase della lotta fu preparata con cura, attraverso una vasta campagna di sensibilizzazione e di popolarizzazione dei suoi obiettivi. Inoltre, nell’Arneo si concentrò un numero notevole di dirigenti sindacali e politici, non solo del PCI, ma in diversi casi anche socialisti che il 28 dicembre 1950 guidarono l’occupazione di diverse tenute agricole. Nelle intenzioni dei dirigenti e degli occupanti, l’occupazione doveva avere un significato quasi simbolico, poiché nell’ottobre precedente era stata varata una legge di assegnazione delle terre ai contadini (detta legge “stralcio” perché stralciata dal testo delle riforma agraria generale, poi mai votata) che riguardava diversi comprensori di Molise, Puglia e Lucania, ma escludeva l’Arneo. Si voleva quindi realizzare una protesta volta a ottenere l’ inclusione di tale comprensorio pugliese nella “Legge stralcio”. Purtroppo, questa rivendicazione che appariva politicamente semplice portò a una sottovalutazione delle intenzioni molto aggressive della polizia e del governo, rappresentato dal famigerato ministro degli interni Mario Scelba. La repressione poliziesca e giudiziaria fu di una brutalità enorme, caratterizzata da una violenza gratuita e vendicativa. Oltre alla violenza diretta, la polizia si avvalse anche dell’opera di agenti infiltrati, giunse a diffondere notizie di false riunioni che erano in realtà agguati ai manifestanti per arrestarli, avvalendosi anche di un apparecchio dell’Aeronautica militare usato per coordinare i movimenti dei militi e segnalare la posizione dei braccianti. La buona organizzazione dell’occupazione, l’alta partecipazione, la solidarietà dei lavoratori delle altre categorie, la presenza di parlamentari davano forza al movimento, che tuttavia non poté resistere a una repressione così brutale. Nei giorni dal 29 dicembre al 2 gennaio la polizia si scatenò contro gli occupanti ferendone un gran numero e procedendo ad arresti ingiustificati e pretestuosi.

La mattina del Capodanno 1951 per tentare di rialzare il morale degli occupanti, esausti dalle violenze e dagli inseguimenti, la camera del Lavoro inviò centinaia d pacchi di viveri, vino e sigarette che vennero distribuiti ai presenti. Questi pacchi furono in parte distrutti e in parte sequestrati il giorno seguente, quando la polizia, alle otto del mattino, decise di “risolvere definitivamente la situazione” con l’ennesimo attacco. Indumenti personali, materassi coperte, generi alimentari inviati in solidarietà che gli occupanti dovettero abbandonare sul posto furono ammassati e incendiati. Ma ancora più grave fu l’incendio appiccato a 270 povere biciclette di braccianti, bene prezioso perché permettevano di evitare centinaia di kilometri a piedi per andare al lavoro e notti all’addiaccio nei campi. La distruzione delle biciclette rimane un simbolo della violenza vandalica dello Stato contro i contadini.

Tra i numerosi denunciati ci furono anche dei giornalisti, come Giovanni Modesti di Paese, portato in tribunale solo per aver denunciato la presenza di un aereo militare (che ovviamente molti avevano notato) nella repressione dell’Arneo e Cornelia Havas di Noi Donne, fermata e portata in questura perché si era introdotta in una zona militare quale era stata nel frattempo dichiarata l’Arneo. Il processo, in cui gli imputati sindacalisti, braccianti, contadini furono difesi da alcuni dei migliori avvocati militanti nella sinistra, si risolse con molte assoluzioni e qualche mite condanna, a testimonianza dell’inconsistenza delle accuse formulate dalla polizia e dei presunti danni procurati alle proprietà dei latifondisti.

Il movimento di occupazione delle terre dell’Arneo ottenne comunque un’almeno parziale vittoria: il 18 gennaio i latifondi di quella zona furono finalmente inclusi nella “legge stralcio”. Fu una vittoria costata un prezzo umano e materiale altissimo ai lavoratori e alle lavoratrici in cui fu stridente il divario tra l’intensità delle lotte e i risultati raggiunti. Infatti, le terre ottenute furono in gran parte marginali e di difficile trasformazione, e la loro cessione allo Stato fu alla fine un affare per i proprietari. Inoltre – come sostiene lo storico Valerio Castronovo – gli assegnatari non furono assistiti né tecnicamente né finanziariamente. Dalle testimonianze orali contenute nel primo dei due CD allegati al libro, emerge che anche chi si vide assegnata la terra non ebbe le risorse per poterla coltivare. Gli assegnatari presero a credito ciò che serviva per coltivare la terra, ma al momento del raccolto, a causa della sovrapproduzione, i prezzi dei prodotti crollarono e molti furono costretti, per pagare i debiti, a vendere la terra a qualche speculatore, a un prezzo molto basso poiché la massiccia disponibilità ne fece crollare il valore. Per quei lavoratori e lavoratrici che avevano visto nell’occupazione delle terre un riscatto della loro condizione, rimaneva solo la scelta dell’emigrazione.

Sin qui la vicenda raccontata nel libro Terra rossa d’Arneo, sia attraverso gli scritti dei ricercatori ma anche con una serie molto interessante di testimonianze orali incise nel primo dei due CD allegati. Testimonianze di protagonisti e protagoniste delle lotte: politici, sindacalisti ma anche semplici lavoratori e lavoratrici che si posero alla testa di quel movimento. . Queste testimonianze hanno la forza della narrazione orale, e danno il senso del perché sia oggi ancora importante parlare dell’Arneo, a distanza di tanti anni. Dalle parole dei protagonisti si comprende che quegli eventi hanno avuto il “valore di paradigma politico della lotta per le libertà, di mito moderno, di nostalgia e rimpianto per quello che poteva essere e non è stato” (pag. 80), e hanno oggi, quando ricordati , il valore di un recupero identitario e di senso di un movimento in cui crebbe la coscienza collettiva di persone che prima conoscevano solo la sottomissione e la rinuncia. “L’Arneo –scrive ancora Remigio Morelli – fu la nostra Resistenza, fu la variante salentina della lotta per la democrazia e la libertà, non solo una lotta per l’emancipazione economica delle classi subalterne” (pag. 81) .

Rimanendo nel campo della valutazione di ordine storico, ma anche politico, è bene andare alle parole di Luigi Chiriatti: “In un momento come quello attuale di grande crisi e sfiducia politica e culturale, le nuove generazioni, rileggendo l’epopea dell’Arneo, hanno un esempio di come alcune migliaia di uomini coperti di stracci siano stati capaci, mettendo in gioco se stessi e la propria dignità, di avviare un processo di grande risveglio di coscienze, di senso civico e di sentita appartenenza a un territorio che fino a quel momento aveva riservato loro amarezze e delusioni.” (pag. 14). Infine, a dare un’ultima motivazione del senso politico che motiva oggi il parlare di quei momenti della storia salentina, concorrono le parole di Paolo Chiriatti che ci ricorda come quelle lotte e quelle speranze siano ancora attuali come lo sono la repressione, le ingiustizie e i morti senza nome. “Alla vecchia classe padronale – scrive Paolo Chiriatti – si è sostituito uno spietato sistema di caporalato che obbliga, sfrutta, a volte fino alla morte, i nuovi braccianti “pugliesi”: una massa indistinta di uomini e donne senza volto e senza nome lontana e aliena rispetto al mondo circostante per cultura, lingua, religione, molto spesso attirata in Italia dalla possibilità di un futuro migliore, ma che quasi inevitabilmente, come in un ripercorrersi della storia, subisce silenziosa e inerme. Per questi motivi la vicenda dell’Arneo è viva, non può e non deve passare sottotraccia, ma va presa come modello di emancipazione resistenza, lotta. (Pag. 88)

In effetti, leggendo le parole di Paolo Chiriatti non si può non ricordare la disumana condizione a cui i nuovi braccianti, in grande maggioranza stranieri, sono sottoposti (ma in qualche caso ahimè anche italiani se si ricorda il caso recente di una donna morta di fatica nei campi); ciò che sembra dare speranza sono le lotte che i migranti stanno incominciando a condurre, con grande spirito di sacrificio, anche se in settori diversi da quelli dell’agricoltura, dove le condizioni sono obiettivamente più difficili. Ma non è un motivo per non sperare che presto queste lotte possano estendersi anche ai nuovi braccianti.

Il testo Terra Rossa d’Arneo contiene anche una vasta sezione iconografica (a cura di Mirko Grasso) , in cui sono raccolte fotografie e copie di documenti dell’epoca che consentono al lettore di visualizzare i volti e gli atteggiamenti dei protagonisti citati nel libro e un capitolo dedicato alla lotta dell’Arneo nella letteratura (curato da Simone Giorgino), in cui spicca la presenza delle opere del poeta Vittorio Bodini, che fu anche fisicamente a fianco dei lavoratori e scrisse alcuni vibranti articoli sulla rivista Omnibus.

In conclusione, è bene dedicare qualche riga al secondo CD allegato al testo. Questo CD è un percorso nel mondo bracciantile e popolare salentino da fine ottocento sino alle lotte del 1949-51.

Si inizia con un canto per la festa del Primo Maggio, del 1891, per passare quindi a un canto dedicato alla Repubblica Neretina, che visse un solo giorno, il 9 aprile 1920, in cui un corteo di cinquemila rivoltosi occupò il municipio di Nardò abbattendo i simboli della monarchia e proclamando la repubblica. La rivolta fu immediatamente repressa, ma rappresenta un fatto storico locale di grande significato, ben presente nella memoria popolare. I brani successivi narrano delle dure condizioni della tabacchine, dell’emigrazione e della guerra per giungere sino a La ballata delle terre occupate, con parole di Antonio Ventura, uno dei protagonisti delle occupazioni delle terre, su una linea melodica costruita invece da alcune donne che parteciparono al movimento, come Sara Alibrandi e Antonietta Pati. I canti sono proposti nei pregevoli arrangiamenti di Rocco Nigro ed eseguiti da alcuni dei migliori musicisti della scena folk del Mezzogiorno.

L’enfiteusi è un contratto che permette a un lavoratore che lo stipula con un proprietario la libertà di decisione sul raccolto e sui proventi, ma soprattutto permette, a certe condizioni, che il lavoratore possa acquisire nel tempo la proprietà della terra. Per questo era preferito politicamente alle altre forme di contratto agricolo.

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