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The Last Jedi e la Rivoluzione

Premettiamo per chi alzerà gli occhi al cielo dicendo “i soliti comunisti fissati che vedono bandiere rosse in ogni cosa”, persino in un film Star Wars, persino in una produzione Disney. Premettiamo che l’interpretazione fornita è (volutamente) provocatoria, vagamente ironica, fondata sull’esasperazione di certi elementi che, tuttavia, crediamo essere presenti davvero nel film. Inoltre ogni interpretazione è espressione di chi la da, ed è quindi normale trovare, persino in Hollywood, spunti di riflessione che rispecchino la nostra visione del mondo.

La nostra tesi è che uno dei film della saga forse più popolare della storia parla anche di teoria rivoluzionaria. Proprio per la dialettica su cui si basa Star Wars, guerra galattica tra Impero e Resistenza, non è così strano che quantomeno vengano sfiorati determinati concetti.

Nello specifico in Star Wars: The Last Jedi uscito in Italia lo scorso 13 dicembre gli spunti sembrano emergere più del solito. Già nel precedente Rogue One erano stati sollevati alcuni temi interessanti, come l’estremismo e il terrorismo rivoluzionario o la necessaria durezza della lotta partigiana. Qui però per come si svolge il percorso narrativo, i temi sono più pervasivi e, soprattutto, i concetti che traspaiono più avanzati.

Innanzitutto questo film rappresenta la presa di coscienza da parte della Resistenza che la fase che potremmo definire “carbonara” della stessa, ha raggiunto la sua fine, non ha più senso di esserci. La rivolta contro il Primo Ordine non verrà mai completata finché sarà portata avanti da un’élite illuminata (la Resistenza è formata perlopiù da mercenari, ex militari e vecchi detentori di titoli nobiliari), è fondamentale l’integrazione col blocco sociale.

La consapevolezza della necessità superamento di questa fase attraversa tutto il film, ma la possiamo vedere palesemente quando i pochi sopravvissuti dagli attacchi del Primo Ordine mandano una richiesta d’aiuto, molti ricevono il messaggio, ma non risponde nessuno. Come i fratelli Bandiera nei moti carbonari vengono catturati e giustiziati nel giugno del 1844 perché non seguiti dalla popolazione, la Resistenza rimane completamente isolata, lontana dal blocco sociale che vorrebbe rappresentare. Questo blocco sociale è quello degli ultimi e degli esclusi, rappresentati nel film dai lavoratori bambini di Canto Bight, a loro infatti è dedicata l’ultima scena di speranza.

Ma i riferimenti non finiscono qui. Se è vero come diceva qualcuno che la strada per la rivoluzione è fatta di sconfitte, in Star Wars: l’ultimo Jedi la Resistenza imbocca decisamente questa strada. Perde praticamente tutto quello che aveva conquistato, ogni sua azione si risolve in un fallimento, dall’evacuazione al sabotaggio sulla nave ammiraglia e la resistenza su Crait. C’è però una sola cosa che riescono a fare: sopravvivere. Per certi versi ricorda l’impervia strada verso la rivoluzione cubana, quando nel dicembre del 1956 i guerriglieri di Fidel e Raul Castro, dopo uno sbarco disastroso, non raggiungevano le 15 unità, ma da questo piccolo gruppo e dalla speranza di essere la scintilla nella prateria della provincia del Granma partirà il percorso rivoluzionario verso la liberazione e l’indipendenza della nazione cubana.

Un altro elemento che non è per niente scontato, soprattutto per un film hollywoodiano, è la rappresentazione del ruolo della dirigenza rivoluzionaria, in relazione specialmente con l’arco narrativo tutto spari e azione di Poe Dameron. In questo episodio di Star Wars c’è la vittoria del collettivo sull’intraprendenza del singolo, il messaggio nello specifico è che bisogna avere fiducia dei quadri rivoluzionari, in questo caso incarnati dall’Ammiraglio Holdo, un messaggio sicuramente inusuale in un film americano. Di solito il canovaccio in queste dinamiche è una dirigenza magari anche ben intenzionata, ma troppo rigida, che si contrappone ad un giovane eroe scavezzacollo che però ha il coraggio di agire, di fare quello che si deve fare. In questo film accade il contrario, si scopre che Holdo aveva ragione a tentare di fermare Dameron, il suo gesto individualista alla fine comporta gravi perdite per la Resistenza.

Se da un lato bisogna avere fiducia dei vertici organizzativi, è però anche vero che il quadro rivoluzionario deve meritarsi tale fiducia. L’importanza della formazione e per certi versi maturazione dei quadri la vediamo proprio nell’evoluzione di Dameron. La sua entrata in scena in Star Wars: l’ultimo Jedi è alla guida di una missione suicida che riesce a portare a termine disobbedendo ad ordini diretti e costando ingenti perdite, viene perciò retrocesso. Non c’è spazio in una rivoluzione per gesti individualisti che non considerano i reali rapporti di forza, Poe Dameron questo lo capisce finalmente durante la battaglia finale ordinando la ritirata. Capisce che quando non si perde il quadro generale e l’obiettivo a lungo termine nella propria testa, ritirarsi non è per forza una sconfitta. Solo allora viene considerato da Leia adatto a guidare la Resistenza.

Al fianco di elementi di teoria rivoluzionaria disseminati nel film, si possono trovare anche delle vere e proprie posizioni politiche che emergono in questo episodio. Innanzitutto l’addetta alle tubazioni Rose che accompagna Finn alla ricerca dei codici di disattivazione degli scudi della nave di Snoke, definisce Canto Bight “casa della peggior gente della galassia”. In questo episodio però la peggior gente non sono, come al solito, ladruncoli e piccoli truffatori: sono i grandi mercanti di armi che si arricchiscono sul sangue di migliaia di morti e sfruttano la forza lavoro in condizioni di semi schiavismo. Rose stessa si scoprirà che viene da li e che si è unita alla Resistenza proprio per sfuggire a questa condizione. Insomma, se non un messaggio direttamente anti-capitalista siamo comunque vicini.

Considerando prese di posizione più elaborate, è interessante un aspetto che tocca uno degli elementi fondativi della mitologia di Star Wars. Nonostante la generica definizione di “energia generata dalle cose viventi” e “forza che tiene la galassia insieme”, nei fatti nei precedenti film di Star Wars è stata utilizzata sostanzialmente come un super potere utilizzabile dai Jedi e dai Sith, qualcosa che li rendeva speciali e superiori al resto della popolazione.

Nella trilogia prequel vediamo il potente Ordine degli Jedi ricercare in tutta la galassia individui dotati di una particolare sensibilità alla Forza per addestrarli sin da piccoli, un potere che scopriamo essere fortemente legato al sangue. Le due prime trilogie sono sostanzialmente la saga di una dinastia di eletti, una famiglia reale di super uomini, gli Skywalker, da cui dipendono le sorti della galassia, in virtù del loro potere innato. Questo aspetto viene fortemente ribaltato in questo episodio della saga. Il senso delle (non) origini di Rey in quanto ultimo Jedi – ha scandalizzato tanti fan tanto che molti si aspettano si scopra qualcosa di più in questo senso – è che il sangue non conta più. Rey è figlia di nessuno come anche il ragazzino di Canto Bight nella scena finale.

Luke mette definitivamente in chiaro la questione: la Forza è ovunque, in tutte le cose che vivono e che muoiono. Dalle sue lezioni a Rey possiamo addirittura desumere che la possibilità di usare la Forza è nelle capacità di chiunque, non soltanto da chi viene addestrato da un antico ordine monastico. Pensare che se scomparissero gli Jedi scomparirebbe la Luce è vanità, come sostiene lo stesso Luke Skywalker. Potremmo quasi parlare quindi di un processo di “democratizzazione” della Forza.

Infine, uno dei grossi temi di Star Wars: The Last Jedi, in parte collegato al precedente punto, è la necessità del nuovo di prendere il posto del vecchio, tra i buoni (Rey dopo Luke e Poe Dameron dopo Leia), come nel lato oscuro (Kylo Ren al posto di Snooke che tra l’altro si libera del fantasma di Darth Vader distruggendo il suo casco). Viene scomodato persino il fantasma di Yoda per bruciare l’antico tempio Jedi, simboleggiando la necessità di non rimanere ancorati al passato. È interessante inoltre, vedere come Kylo Ren cerchi di presentare questo necessario passaggio come un superamento in toto e totalmente emotivo delle vecchie categorie: né più Jedi, né più Sith, né Luce, né Lato Oscuro, né “destra” né “sinistra”. Vi ricorda qualcosa?

Rey però rifiuta la sua proposta “antipolitica”, e pur rappresentando il rinnovamento prende una posizione di parte ben precisa. Il messaggio che passa, l’equilibrio tra l’importanza di non rinnegare la propria storia senza però rimanere feticisticamente attaccati a tradizioni e simbologie, è un messaggio che dal nostro punto di vista potrebbe essere utile al movimento comunista.

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1 Commento


  • Bruskard

    La netta contrapposizione tra bene e male tra la luce e ombra tra la forza e il lato oscuro, possono come tutte le cose esistere in ogni aspetto della vita, e quindi anche nella nostra, e visto che in un modo o in un altro la politica fa parte ,anche quando meno te lo aspetti tipo in certi casi prendere banali decisioni, si possono quindi mettere tranquillamente ideali di destra e di sinistra che sono ,sono stati e saranno per fortuna sempre in opposizione insieme alla pseudodestra e sinistra ,cioè forza e lato oscuro,anche loro da sempre in un ferocecontrasto

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