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L’eroe: un suicidio filmico con presunzione autoriale

Capita raramente, dopo aver visto un film, di uscire talmente indispettiti e irritati dalla sua visione, che ci si rifiuti, sulle prime, finanche di costruire una riflessione critica articolata. Ma è necessario provarci. Comunque.

L’Eroe, opera prima scritta e diretta da Cristiano Anania, uscita nelle sale nel 2018, con Salvatore Esposito (Gomorra), Cristina Donadio e Paolo Sassanelli, potrebbe, dunque, avere una trama interessante – per quanto basata su un soggetto certamente non originalissimo – se non andasse, progressivamente e con incomprensibile testardaggine, a sbriciolarsi contro i limiti di una scrittura e di una regia connotate da un velleitarismo autoriale, che finisce per smarrire ogni punto di riferimento, mandando alla deriva storia, attori e pellicola.

Con il penoso risultato, quindi, di un naufragio generale, prevedibile sin dall’inizio e causato da un impatto, violento e inevitabile, contro gli scogli aguzzi di un cervellotico e inconcludente intellettualismo formale. Di cui, francamente, in un film di genere, non si arriva a comprendere la necessità.

Giorgio è un mediocre ma ambizioso giornalista trentenne. La sua vita cambia bruscamente quando il direttore del giornale decide di trasferirlo in una redazione di provincia. Proprio quando crede di aver trovato la sua nuova dimensione di vita, il direttore del giornale annuncia a Giorgio il suo licenziamento. Solo lo scioccante rapimento, per mano di ignoti, del piccolo nipote della più importante imprenditrice locale restituisce a Giorgio il suo lavoro di corrispondente. L’intero paese si mobilita alla ricerca del “mostro”. Chi sará mai?

Dunque, L’eroe – dispiace doverlo evidenziare – risulta un film indecorosamente irritante, proprio nella sua pervicace presunzione autoriale.

Scritta cucendo insieme i cliché più banali, che si potrebbero incontrare in una qualunque sceneggiatura pseudo noir, si rivela una pellicola priva di senso narrativo e di coerenza drammaturgica. Disarticolata e scriteriata, nell’assenza consequenziale di immagini, il cui montaggio avrebbe la presunzione di apparire straniante, risultando, invece, sguarnito di un qualunque spessore e di una qualunque logica e verosimiglianza interna. Fino a stizzire per l’arroganza autoreferenziale.

Con una regia che pretende di mescolare a caso – sulla base di un eclettismo incongruo – gli stilemi, già di per sé capziosi e ridondanti, di un Sorrentino e un De Angelis. Rubando inoltre, senza alcuna capacità di contestualizzarme i linguaggi, da registi quali Garrone, Puglielli, Infascelli. E finanche, pretestuosamente, da qualche autore statunitense come Spike Lee.

Una pellicola recitata, infine, ai limiti dell’inespressività e della sciatteria interpretativa. Senza alcuno spessore psicologico ed emotivo, creato nei personaggi.

Nulla arriva, insomma, al di là dello schermo, se non mediocrità e monotonia.

Un film velleitario, soprattutto nelle intenzioni di denuncia sociale e politica. Che si vorrebbe indirizzare principalmente verso quel mondo della comunicazione e dei media, dei quali si pretenderebbe di smascherare il ruolo subdolo di moderni laboratori del pensiero egemonico, postmodernista e relativista.

Quei laboratori artificiali, in cui si creano, a freddo, figure di eroi eticamente ambigue, narcisiste, ciniche, machiavelliche al punto da commettere un crimine per poi svelarne il mistero e risolverlo. Acclamati finalmente quali eroi di una collettività oramai disorientata e narcotizzata.

Eroi identificati con l’essenza stessa del relativismo etico contemporaneo. Il giornalista!

Intenzioni positive, come si può intuire. Che però si arenano miseramente,come dicevamo all’inizio, sulla piatta confusione – mi sia consentito l’ossimoro – di una bassa marea linguistica che connota un lavoro sgrammaticato e asintattico.

Un suicidio filmico, che rappresenta un ulteriore passo nella direzione di un ormai inarrestabile e più generale suicidio compiuto dal cinema italiano!

Una nota personale, per concludere. Dispiace per un’attrice di grande esperienza, bravura e spessore artistico, come Cristina Donadio. Che meriterebbe, per la sua storia teatrale e cinematografica, ben altri ruoli.

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1 Commento


  • lando

    Vince hai buttato 8 euro ma un film con quel titolo io manco i trailers guardo. Poi l articolo gli dai importanza

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