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Stati Generali della cultura in Campania: poco più di una passerella allestita dal sovrano De Luca

Il 21 e 22 Ottobre, nella prestigiosa location del Palazzo Reale di Napoli, si sono tenuti gli Stati Generali della Cultura della Regione Campania, convocati dall’amministrazione presieduta da Vincenzo De Luca.

Stati generali della cultura, nientemeno!  In teoria, quindi, un evento fondamentale e necessario, per riuscire finalmente a discutere dello stato dell’arte in Campania; per coordinare tutte le realtà artistiche e culturali della Regione; per progettare un intervento concreto su un ambito così importante per il territorio e la crescita sociale e civile dell’intera collettività.

Ma in realtà l’ennesima kermesse elettoralistica del monarca di Palazzo Santa Lucia.

E, pertanto, l’ennesima occasione perduta.

È bastato, infatti, leggere sommariamente il programma e assistere agli interventi – qualcuno, a dire il vero, anche condivisibile nel merito – per avere, netta, la sensazione di trovarsi dinanzi al pressoché vuoto e inutile rituale di sempre. Infarcito di retorica e grondante ipocrisia, pur nelle ottime intenzioni che lastricano la strada per l’inferno; ma, in sostanza, senza alcuna reale prospettiva progettuale e pianificazione programmatica.

Poco più di una passerella, insomma, con ospiti assemblati secondo un imperscrutabile criterio, tutto sommato elitario. Professori universitari, intellettuali, registi, giornalisti, imprenditori, produttori, divisi per tavoli tematici che, nella loro composizione generica, hanno palesato scarsa affinità con la complessa realtà di un tessuto sociale eterogeneo e sfaccettato, che presenta strati di disgregazione e marginalizzazione nei suoi lembi più periferici, proprio in virtù della mancanza di un’alternativa culturale significativa e capace di incidere nel profondo.

Un’assise, pertanto, che non ha offerto la possibilità a medie e piccole realtà regionali, impegnate nel settore, di interloquire e partecipare come ci si sarebbe potuto attendere da un convegno tanto pretenzioso, già a partire dal titolo.

Ci chiediamo, allora, come Tavolo Cultura di Potere al Popolo! Napoli, come soggetto politico impegnato in una inesauribile battaglia per una radicale riforma della cultura, che Stati Generali possano mai essere, quelli in cui manca una parte fondamentale della rappresentanza sociale, economica, produttiva e culturale della Campania.

Ci chiediamo perché non siano stati invitati e non siano intervenuti proprio quei soggetti e quelle associazioni che lavorano ogni giorno sul territorio e che da sempre costituiscono il motore della vita culturale e sociale della nostra Regione.

Ci chiediamo perché non ci fossero tutte quelle piccole e invisibili realtà e comunità che, attraverso la cultura, sostengono e rivalutano proprio quei lembi di territorio periferico, di cui tanto si discute ma di cui puntualmente ci si dimentica nei fatti.

In sostanza, la domanda legittima è una sola. Come si siano potuti convocare gli Stati Generali della Cultura in Campania senza la presenza di tutti i diretti interessati. E, a dire il vero, al netto delle piccole ed evidentemente “dimenticabili” realtà, mancavano anche nomi prestigiosi nel panorama regionale.

Non resta allora che trarre una sola conclusione. Gli sbadati e disorganizzati organizzatori dell’evento hanno inserito solo coloro di cui si sono “ricordati”. Un esiguo numero, parrebbe, di estratti a sorte, incaricati, loro malgrado, di decidere sulla e della pelle di tutti gli altri.

Un simulacro di Stati Generali dunque -convocati in assenza del Terzo Stato- sui quali De Luca e la sua amministrazione potranno scaricare, in futuro, le responsabilità quando i mali atavici di una cultura, oramai declinata esclusivamente secondo le regole del mercato, continueranno a palesarsi. Tanto sul versante della sempre minore qualità del prodotto, quanto su quello della ricaduta sociale, nei termini di una sempre crescente disoccupazione, che affligge un settore tra i più deregolamentati dell’economia italiana. Legato com’è, da anni, allo squalificante e oramai inesorabile concetto di industria dello spettacolo, che pone il guadagno e il bilancio dei conti come gli obiettivi primari delle politiche culturali.

Ospite d’onore di quella che si è delineata, come si diceva, a tutti gli effetti come una pomposa kermesse pre-elettorale -in vista delle regionali di Maggio, nelle quali De Luca punta alla riconferma del suo governatorato- è stato il Ministro della Cultura Dario Franceschini. Il firmatario, cioè, di quel cervellotico decreto che ha ridotto cinema, musei, arte e cultura in generale a una mera questione economico-finanziaria, legandone le sorti, principalmente, al Turismo e a quella che, in stile Usa, si definisce industria del divertimento.

Ma soprattutto, il ministro che si è reso responsabile, durante il governo Renzi, della polverizzazione di quasi la metà del Teatro italiano, riducendolo ad un’insulsa questione algoritmico-quantitativa.

Il Tavolo Cultura e Spettacolo di Potere al Popolo Napoli si oppone a questa visione mercantile, turistica ed elitaria della cultura, riaffermando la sua vicinanza alle piccole realtà culturali e creative del nostro territorio e alle lavoratrici e ai lavoratori del settore, sempre più precarizzati. Per una cultura che contribuisca alla rinascita di un pensiero critico, che svolga il suo importate ruolo sociale coinvolgendo in primo luogo gli abitanti dei nostri territori, anche quelli lontani dai circuiti ufficiali, e che sia capace di rompere il dominio intellettuale di quelle élites economiche e politiche, impegnate nella riaffermazione del proprio sapere e del proprio status di privilegio!

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