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Via Mubarak i generali lucidano le mostrine

La  rivolta contro  la paura è vinta, però la  paura può tornare e con essa un nuovo  regime. Nelle ore in cui sembra certa o  addirittura già avvenuta la partenza di  Mubarak dall’Egitto – con in mano 25, 40 o  70 miliardi di dollari – nell’attesa di  annunci ufficiali e sicuri festeggiamenti a piazza Taharir alcune riflessioni sono lecite anche in base agli scenari apparsi in queste settimane.

La transizione interna, pilotata dalla diplomazia internazionale, sta usando modi e personaggi in linea col passato. Rimpiazzare il dittatore col Capo della Sicurezza o con suoi simili suggella un piano di conservazione che forse potrà fare anche uso del classico strumento della democrazia: le elezioni. Ma è bene chiarirne la tipologia di possibili consultazioni. Se a organizzarle saranno Suleiman stesso, l’apparato politico del Partito Nazionale Democratico e quello repressivo di Polizia, Servizi e uomini dell’indotto della sicurezza sarà scontato che esse sarebbero tutto fuorché libere. I dati di appena tre mesi fa parlano chiaro: brogli e controllo del voto rappresentano la triste realtà che soffoca da decenni l’autodeterminazione degli egiziani. Quest’apparato potrebbe offrire su un piatto d’argento a un nuovo uomo forte la patente di democrazia già usurpata da Mubarak.

Non è un caso che si vociferi con insistenza come taluni generali dell’esercito, rimasti finora in ombra, guarderebbero alla nuova fase. Uno di loro potrebbe vestire i panni dell’ennesimo salvatore della patria a garanzia della casta, non del popolo. Col pretesto di uscire dal caos potrebbe farlo senza adempiere neppure al rito elettorale. E’ la storia del Paese da sessant’anni a questa parte, e sarebbe la migliore garanzia per Stati Uniti e Unione Europea che hanno sostituito l’iniziale silenzio all’avvio della ribellione con un’obbligata condanna del regime amico.

Ma l’Occidente guarda con malumore l’alzata di testa egiziano, una massa di ottanta milioni di anime e corpi esasperati che sommati alle altre etnìe maghrebine e arabe in subbuglio porterebbe il numero forse a duecento milioni di abitanti richiedenti nuova vita e nuova economia. Le Borse, i mercati, i parlamenti, le basi militari dell’Ovest sono in fibrillazione perché il controllo sulle nazioni stabilito grazie all’opera dei raìs può venire meno e determinare la fine della seconda fase del colonialismo. Quella che, aggirando le indipendenze nazionali strappate o ammesse, ha concesso a pochi clan locali di arricchirsi e continua a garantire gli affari del neocolonialismo occidentale sulla pelle di centinaia di milioni di cittadini ritrasformati in sudditi per legge e per la legge del capitale. Nei giorni scorsi la piazza simbolo del Cairo è stata teatro di violenze dei mercenari-straccioni, migliaia di galeotti fatti evadere e assoldati per uno, due, una manciata di dollari dai Servizi di Suleiman. Lanciati dal cinico mediatore contro i manifestanti che chiedono un taglio col passato e contro i giornalisti che ne narrano il coraggio. In queste ore Human Rigths Watch denuncia le violenze e le torture subìte dai dimostranti arrestati. Molti sono da giorni trattenuti, di taluni non si sa nulla. Polizia e Servizi non sono nuovi all’uso di metodi all’Abu Ghraib, è stata la Cia a insegnarglieli e magari ora gli suggerisce di proseguire. E’ bene dirlo: dietro il rilascio del blogger-simbolo Wael Ghonim si celano centinaia, forse migliaia (se ci sarà modo di proseguire l’informazione ne avremo testimonianze) di soprusi contro gli oppositori del sistema Mubarak-Suleiman. E occorre chiarire la posizione di copertura che l’establishment occidentale sta fornendo a una transizione che da Obama alla Merkel tutti vogliono in linea col passato.

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