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Fukushima: sale la radioattività, evacuati i tecnici

Anzi col passare dei giorni appare palese che le autorità locali, e soprattutto la Tepco (la società che gestisce l’impianto) hanno ben poche certezze su quali siano i problemi interni ai quattro reattori in avaria.

Stanotte la radioattività dell’acqua al reattore n.2 è arrivata a livelli fuori di ogni controllo, pari a 10 milioni di volte i livelli normali. Lo ha riferito l’Agenzia per la sicurezza nucleare. Si è resa necessaria l’evacuazione immediata e totale dei tecnici al lavoro.

Il livello di iodio131 presente nel reattore n.2 è tale da far ipotizzare che l’acqua possa essere legata in qualche modo al nocciolo, visto che la radioattività registrata è di 1.000 millisievert/ora (il livello “accettabile” è stabilito in 0,3). L’emergenza contaminazione dunque cresce, mentre i tentativi di messa in sicurezza dell’impianto sono frenati dalla minaccia radiazioni. In pratica, se non si interviene in qualche modo a situazine peggiora; ma se si interviene si mandano a morire i tecnici e gli operai che devono compiere le operazioni.

Oggi, per esempio, era in programma il passaggio dalle autobotti dei pompieri alle pompe elettriche per iniettare acqua nei reattori, per accelerare i tempi ed evitare così ulteriori ritardi. Ma si è dovuto soprassedere ed evacuare il personale.

Non cì alcuna certezza nemmeno su quali siano le fonti di perdita del materiale radioattivo. Lo iodio è intanto salito a 1.850 volte i limiti legali nel mare vicino all’impianto di Fukushima.

Secondo il direttore generale dell’Aiea, il giapponese Yuyika Amano, se le vasche sono riempite d’acqua ma il sistema di raffreddamento non viene riparato, «la temperatura crescerà», ha osservato il direttore dell’Aiea, secondo il quale le autorità nipponiche non sono sicure se i noccioli dei reattori e le barre di combustibile esausto siano ora completamente immersi nell’acqua. Secondo Amano l’allarme nucleare potrebbe durare settimane, o mesi.

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Proponiamo qui di seguito anche l’articolo di Pio D’Emilia, da Tokyo, pubblicato su “il manifest” del 27 marzo 2011

Gli zingari dell’atomo
Pio D’Emilia
ONAGAWA
«Paura? No, dai. Ma preoccupati sì…dalla prossima settimana non si venderanno più sigarette in tutto il Giappone…ma ti rendi conto? Se ci tolgono le sigarette è finita!». Ridono, gli operai di Onegawa, «eroi» mancati – per stavolta – di un’altra delle centrali nucleari costruite, vattelapesca perché, sulla costa a più alto rischio sismico del mondo. Un giorno i giapponesi ci spiegheranno perché hanno deciso di concentrarle tutte su questo lato, le centrali, anziché sul più tranquillo Mar del Giappone. E’ stata una pessima scelta. E non è stata l’unica.
Li incontriamo per caso, a fine turno, in una delle poche bettole aperte di questa città famosa per le sue belle spiagge bianche – una rarità, in Giappone – e ora spazzata via dallo tsunami. Mezza città e mezza popolazione sono spariti. C’è chi ha ritrovato la sua casa a un paio di chilometri di distanza, sulla terraferma. Altri gironzolano, a due settimane dall’apocalisse, sulle macerie, in cerca di qualcuno, o almeno qualcosa.
Gli «zingari», lavoratori «stagionali» delle centrali nucleari, si riconoscono subito. Sono allegri, spavaldi, fumano continuamente e, soprattutto, non parlano il Tohoku-ben, i dialetto locale, incomprensibile a noi come alla maggior parte dei giapponesi «del sud». Non hanno voglia di parlare di lavoro, di pericoli, di radiazioni. Roba lontana, per loro. Hanno altri problemi, immediati, da risolvere. La busta paga dove manca sempre qualcosa. Le banche che hanno sospeso, o rallentato, il servizio bonifici, rendendo più difficili le rimesse alle famiglie. E ora il blocco delle sigarette, appena annunciato dal Monopolio di Stato (uno dei pochi rimasto al mondo): le aziende che forniscono i filtri sono tutte concentrate nel Tohoku, e non riescono a consegnare.
Dopo aver spezzato il ghiaccio con il solito Nagatomo, e con Zaccheroni che sta organizzando, per la prima volta in assoluto, la «partita del cuore» a Osaka per aiutare i terremotati, proviamo a insistere. Come vanno le cose? Emergenza rientrata? «Boh, dicono sia tutto tranquillo, qui. Abbiamo avuto un’emergenza il 13 marzo, due giorni dopo lo tsunami, la radioattività era schizzata a 21 millisivert l’ora…Ma nel giro di dieci minuti tutto è tornato normale. Hanno detto che l’impennata era dovuta all’incidente di Fukushima, non alla nostra centrale».
Dicono. Parola magica, di questi tempi. Dicono. Ne dicono – e se ne sentono – di tutti i colori. Con i media, locali e stranieri, che amplificano, distorcono, omettono, talvolta inventano. Non solo a Fukushima, anche a Onagawa, duecento chilometri più su, nel nord devastato, umiliato e un po’ dimenticato l’unica fonte ufficiale è la premiata Tepco, società ripetutamente coinvolta nel recente passato in errori, violazioni ed omissioni. Tra il 1986 e il 1991, per sua stessa ammissione durante una seduta pubblica della Commissione Nazionale per la Sicurezza Nazionale, questa società ha commesso 16 gravi violazioni delle norme di sicurezza. Violazioni per le quali è stata ripetutamente ammonita e multata. Senza contare l’incidente di Tokaimura, tenuto nascosto e poi fraudolentemente manipolato, per varie settimane, del 1999.
Fu in quella occasione che, per la prima volta, venne fuori la triste, tragica realtà dei «genpatsu gypsies», gli «zingari dell’atomo». «Dei circa 70 mila lavoratori del settore – spiega Kenji Higuchi, un collega giapponese che segue con attenzione questo fenomeno – circa 63 mila sono lavoratori precari, assunti stagionalmente o mensilmente per effettuare lavori di manutenzione o gestire le emergenze. Si tratta di lavoratori originariamente pescati nei ghetti di Sanya a Tokyo e Kamagasaki a Osaka, senza particolari specializzazioni, ma che negli anni sono divenuti, a prezzo di pesanti contaminazioni, in qualche modo esperti. Rappresentano quasi il 90% della forza lavoro, e sono pagati, alla fine dei conti, per essere contaminati».
Ryu, nome fasullo, è uno di questi. Lavora da due mesi a Onagawa, dove si occupa di mansioni tanto semplici quanto «pericolose» come pulire uniformi, aspirare le polveri e asciugare eventuali perdite d’acqua. In passato ha lavorato in altre centrali, compresa quella di Fukushima, che conosce a menadito. Sei in contatto con amici, compagni di lavoro? «Si, per i primi giorni ci sentivamo al telefono, ma poi più nulla. Non so cosa sia successo, fatto sta che non riesco più a parlarci». Com’è la vita di uno «zingaro dell’atomo»? Siete pagati bene? Siete consapevoli dei rischi cui andate incontro? «Il salario è quello che è, al massimo arriviamo sui 10 mila yen al giorno (90 euro , ndr) quanto alle radiazioni….beh, ci siamo abituati!» (ride).
Secondo Ryu, parlare dei «50 eroi» non ha senso. I «forzati» dell’atomo sono in realtà centinaia, tra i quali bisogna comprendere centinaia di vigili del fuoco «precettati» e letteralemente minacciati dal governo («non fate i conigli» aveva tuonato nei giorni scorsi il ministro dell’economia Banri Kaieda difronte al tentennamento di alcuni di loro, minacciandoli di licenziamento, salvo poi scusarsi in diretta Tv dopo essere stato pubblicamente criticato dal premier Naoto Kan). Trecento, fore più. Cinquanta è solo il numero di coloro che, di volta in volta, a turno, entrano nella centrale maledetta per turarne i buchi – letteralmente visto che oramai pare appurato vi siano vere e proprie lesioni nelle «camicie» del reattore – e raffreddarli.
Un lavoro pesante, faticoso e stressante. Un lavoro «sporco», per uomini a perdere. Tant’è vero che in passato, alla fine degli anni ’80, la Tepco era ricorsa perfino agli «zingari neri» – operai americani di colore «presentati» dalla General Eletric, una vicenda denunciata a suo tempo da un altro collega giapponese, Kunio Horie, fattosi assumere in una centrale (e lui stesso rimasto vittima di radiazioni) e autore di un agghiacciante documentario sull’universo nucleare giapponese.
Un sacrificio dunque solo apparentemente «volontario» ma di fatto indotto e provocato dalla disperazione, dalla necessità, a qualsiasi costo, di sbarcare il lunario. Una situazione di cui il governo non può che essere consapevole, visto che nel momento in cui la crisi è precipitata (lo scorso 13 marzo), ha improvvisamente elevato il limite massimo di esposizione giornaliera, portandolo da 100 a 250 millisivert. Dodici volte quello previsto per i lavoratori delle centrali inglesi e francesi. Limite che evidentemente deve essere regolarmente superato, visto che nei giorni scorsi almeno una ventina di lavoratori sono stati ricoverato d’urgenza, di cui tre in gravissime condizioni.
Mentre saluto gli «zingari» di Onagawa, mi ritorna in mente Mitsuo (altro nome fasullo) incontrato qualche giorno fa a Kawamata, alle porte della zona evacuata, nel centro di accoglienza. Oggi sarebbe dovuto ritornare a lavorare a Fukushima. Ricordo che era terrorizzato, quanto rassegnato. Come lo saranno, chi più chi meno, gli operai della fabbrica Nissan di Iwaki, situata a una sessantina di chilometri dalla centrale. A differenza di Honda e Toyota, che hanno rimandato la riapertura delle loro fabbriche a lunedì (ovviamente imponendo «ferie» ai lavoratori) la Nissan ha bruciato tutti. Da ieri tutti al lavoro. Del resto, siamo tutti «zingari», ormai. Del lavoro.

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